Il duce: "Voglio che si trovi,,

Il duce: "Voglio che si trovi,, Il duce: "Voglio che si trovi,, ii Il cittadino che nulla ha mai fatto contro le leggi né da altri ha subito dei torti per cui invocarle; il cittadino che vive come se la polizia soltanto esistesse per degli atti amministrativi come il rilascio del passaporto o del portodarme (per la caccia), se i casi della vita improvvisamente lo portano ad avervi a che fare, ad averne bisogno per quel che istituzionalmente è, un senso di sgomento lo prende, di impazienza, di furore in cui la convinzione si radica che la sicurezza pubblica, per quel tanto che se ne gode, più poggia sulla poca e sporadica tendenza a delinquere degli uomini che sull'impegno, l'efficienza e l'acume ili essa polizia. Convinzione che ha una sua parte di oggettività: più o meno secondo i tempi, più o meno secondo i Paesi. Ma nel caso di una persona scomparsa, nell'ansietà e impazienza di coloro che vogliono ritrovarla, può anch'essere del tutto soggettiva — e dunque ingiusta. E senz'altro riconosciamo di essere anche noi ingiusti nei riguardi della polizia italiana, del modo — che ci appare svogliato e senza acutezza — in cui la polizia italiana condusse le indagini per la scomparsa di Ettore Majorana. Non le condusse affatto, anzi: lasciò che le conducessero i familiari, limitandosi — come nella « nota » è evidente — a « collaborare » (e ad un certo punto, è lacile immaginarlo, a fingere di collaborare). E lo siamo anche noi, ingiusti, perché anche noi, dopo trentasette anni, vogliamo « ritrovare » Majorana — e per « ritrovarlo » non abbiamo che poche carte, e pochissime nel fascicolo della Direzione Generale di Pubblica Sicurezza a lui intestato. Su questi pochissimi fogli riviviamo l'ansietà, l'impazienza, la delusione, il giudizio sulla inintclligenza e inefficienza della polizia che certamente allora, e più dolorosamente, e più drammaticamente, vissero i familiari di Ettore Majorana. Ma ci sono anche le ragioni degli altri, le ragioni della polizia. Il caso era, per come definito burocraticamente « in oggetto ■>. e dunque oggettiva¬ mente, quello di una scomparsa con proposito di suicidio. C'erano due lettere — una alla famiglia, l'altra ad uri amico — che dichiaravano nettamente il proposito; e in quella all'amico anche il modo e l'ora in cui sarebbe stato attuato. Che poi il proposito non fosse stato attuato la sera ilei 2t marzo, alle undici, nel golfo di Napoli, alla polizia diceva soltanto — per esperienza, per statistica — che era stato attuato dopo e altrove. Impegnarsi a scoprire dove e quan- i do, sarebbe stata una pura per- : dita di tempo. Non c'era da prevenire né da punire: il problema era solo quello di trovare un cadavere. Ora la soluzione di un tale problema era importante per la famiglia — e veniva pirandellianamente a consistere nella dolorosa e rassegnata (sempre più rassegnata negli anni) certezza, nei funerali, nei necrologi, negli abiti da lutto ila indossare, nella tomba da elevare e visitare; non era importante per la polizia né, americanamente parlando, per la totalità dei contribuenti. E anche ad ammettere che Ettore Majorana non si tosse suicidato, che si fosse nascosto: il problema diventava quello di trovare un folle. Insomma: non valeva la pena « distrarre » uomini per cercare un cadavere che solo per caso poteva esser trovato o un lolle che presto o tardi sarebbe stato notato e segnalato (ancora l'esperienza, ancora la statistica). Che Majorana non fosse morto o che, ancora vivo, non losse pazzo, non si sapeva né si poteva concepire: e non soltanto da parte della polizia. L'alternativa che il caso poneva stava tra la morte e la follia. Se da questa alternativa fosse uscita, per darsi alla ricerca ili Ettore Majorana vivo e, come si suol dire, nel pieno possesso delle proprie facoltà mentali, sarebbe stata la polizia a entrare nella follia. Peraltro, nessuna polizia in quel momento, e tantomeno quella italiana, poteva essere in grado di sospettare un razionale e lucido movente nella scomparsa di Majorana; e nessuna polizia sarebbe stala in grado ili lar qualcosa « contro » di lui. Perché ili questo si tratta¬ va: di una partita da giocare contro un uomo intelligentissimo che aveva deciso di scomparire, che aveva calcolato con esattezza matematica il modo di scomparire. Fermi dirà: « Con la sua intelligenza, una volta che avesse deciso di scomparire o di far scomparire il suo cadavere. Majorana ci sarebbe certo riuscito ». Soltanto un investigatore avrebbe accettato di giocare una simile partita: il cavaliere Carlo Augusto Dopili, nelle pagine di un racconto ili Poe. Ma la polizia com'era, com'è, come non può non essere... Ecco: è un po' come il discorso sul professor Cottard, sul medico, sui niellici, che Bergotte la nella Recherche: « E' un imbecille. .Immettendo che ciò non impedisca di essere un buon medico, il che mi pare diffìcile, certo impedisce di essere un buon medico per artisti, per persone intelligenti... Le malattie delle persone intelligenti per tre quarti provengono dalla loro intelligenza. Per loro ci vuole un medico che almeno si renda conto di ciò. Come volete che Cottard vi possa curare? Ha previsto la difficoltà di digerire le salse, l'imbarazzo gastrico; ma non ha previsto la lettura di Shakespeare... Vi troverà una dilatazione di stomaco, non ha bisogno di visitarvi per trovarla, poiché l'ha già da prima negli occhi. Potete vederla, gli si riflette negli occhiali ». Proust non era dell'opinione che ('ottani fosse un imbecille; né noi vogliamo dire che la polizia di imbecillità sia alletta. Ma ci riesce impossibile immaginare che il dramma di un uomo intelligente, la sua volontà di scomparire, le sue ragioni, possano avere avuto altro riflesso, negli occhiali ili un commissario di polizia, negli occhiali dello stesso Bocchini, che quello del dissenno, della pazzia. * * « // resto è silenzio ». Che Mussolini, intorniato e sollecitato da una « supplica » della signora Majorana e da una lettera di Fermi, abbia chiesto a Bocchini il fascicolo dell'inchiesta e vi abbia sciabolato sulla copertina un voglio the si trovi così poi postillato, con grafia più dimessa. ila Bocchini: / morti si trovano, sono i vìvi che possono scomparire: che sia stato sospettato Il rapimento o la tuga all'estero; che del caso si sia interessato il servizio segreto; che le ricerche siano state particolarmente alacri e persino febbrili — di tutto questo altri documenti non restano, presso la famiglia Majorana, che copie della « supplica » della madre e della lettera di Fermi. Ed è possibile la « supI plica » abbia avuto un certo efletto su Mussolini; ma certamente non ne ebbe la lettera di Fermi. Siamo alla fine di luglio del Vm. Il 14 era stato pubblicato il manifesto della razza. Fermi si sentiva insicuro, pensava già di emigrare. E il regime era, nei suoi riguardi, in un certo imbarazzo: come Meazza nel n primato » del calcio. Fermi era nel « primato » della tisica: e poi accademico d'Italia, e il più giovane. Un nodo ila sciogliere o da tagliare: e c'è ila immaginare il sollievo, quando Fermi prese il Nobel senza fare il salmo romano e filò negli Stati Uniti. La lettera di Fermi, dunque, era in quel momento inopportuna, controproducente. Ed anche per come era scritta: da addetto ai lavori che si rivolge al non addetto. 10 non esito a dichiararvi, e non lo dico quale espressione iperbolica, che fra tutti gli studiosi italiani e stranieri che ho avuto occasione di avvicinare, 11 Majorana è quello che per profondità di ingegno mi ha maggiormente colpito. Capace nello stesso tempo di svolgere ardite ipotesi e di criticare acutamente l'opera sua e degli altri, calcolatore espertissimo e matematico profondo che mai per altro perde di vista dietro il velo delle cifre e degli algoritmi l'essenza reale del problema fisico, Ettore Majorana ha al massimo grado quel raro complesso di attitudini che formano il tìpico teorico dì gran I classe... Più azzeccato, per quel che si voleva conseguire, sarebbe stato scrivere: Voi benìssimo sapete chi è Ettore Majorana...; poiché nessuno in Italia, in quel 1('.58, poteva essere sfiorato dal dubbio che Mussolini non sapesse qualcosa. E' lacile immaginare come tutto si sia esaurito in poche battute, durante uno dei quotidiani rapporti che il capo della polizia portava al capo del governo. Mussolini avrà domandato del caso Majorana, del punto cui erano arrivatele indagini. E Bocchini avrà risposto che si era ormai a un punto morto: nel doppio senso della polizia ormai rassegnata all'impossibilità di risolvere il caso e della convinzione sua e della polizia che il professor Majorana fosse morto. Avrà anche detto che alle normali indagini seguite alla denuncia della scomparsa, altre se ne erano aggiunte, più accurate, per raccomandazione di Giovanni Gentile: e da parte della polizia politica, di cui il duce ben conosceva ed apprezzava la sottigliezza e lo scrupolo. Se Mussolini non si contentò, se ordinò che si cercasse ancora, se davvero disse voglio che si trovi, Bocchini anchequesta velleità gliela avrà mes- | sa in conto della pazzia da cui, I con crescente apprensione, lo vedeva ormai preso. Leonardo Sciascia ( 1 - continua) e e

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