Gli zingari giunti da tutto il mondo hanno rinnovato al Papa l'atto di fede di Liliana Madeo

Gli zingari giunti da tutto il mondo hanno rinnovato al Papa l'atto di fede Pellegrinaggio internazionale per l'Anno Santo a Castel Gandolfo Gli zingari giunti da tutto il mondo hanno rinnovato al Papa l'atto di fede Dopo la preghiera nella basilica di San Pietro, sono stati ricevuti da Paolo VI - Oggi i "figli del vento" ripartiranno, disperdendosi per ogni Paese - Le difficoltà e la crisi della condizione nomade nella società Roma, 28 agosto. «La giornata del Papa», l'ultima del pellegrinaggio internazionale degli zingari in occasione dell'Anno Santo, è incominciata di buon'ora stamane al camping di Torresina, dove i nomadi sono stati ospitati. Fin dalle prime ore del giorno c'è stato un gran via vai tra le roulottes e le tende. Tutti si sono messi gli abiti migliori. I bambini più piccoli sono stati sistemati in fantasiosi cestini spumeggianti di tulle, e in allegri «porteenfant» tutti ricci e colori. Anche i ragazzetti con le ginocchia scure e i piedi scalzi sembravano tirati a lucido. : Una lunga fila di pullman at- j tendeva i pellegrini sulla strada, all'estrema periferia della città. I primi ad arrivare in piazza San Pietro sono stati gli spagnoli. «Gitatios de Espana », diceva un loro cartello. Si sono radunati intorno all'obelisco, cedendo il passo a una comitiva di pellegrini dell'Uganda. A due a due questi sono avanzati con passo lento, i vecchi brandendo crocefissi di legno, le donne con i capi ricciuti e gli abiti sgargianti. Quando il corteo si è allontanato, compatto nell'intensità del raccoglimento, gli zingari si sono trovati padroni della piazza e hanno incominciato a chiamarsi, a riconoscersi, ad ammiccare, a suonare le chitarre, a posare compunti per i fotografi e le telecamere, ad abbracciarsi con larghi gesti, a intrecciare discorsi con gli idiomi più diversi. Via via sono arrivati i francesi, gli inglesi, i tedeschi, i polacchi, gli italiani. Le differenze fra loro non derivavano dall'appartenenza a questa o quella nazionalità, ma piuttosto dal diverso «status» economico e da un fatto di età. Vi sono gli zingari ricchi e gli altri, ci è stato spiegato. I primi viaggiano su belle automo¬ bili e confortevoli roulottes, svolgono attività che rendono (antiquariato, commercio, produzione artigianale di qualità) e hanno residenze abba- stanza stabili, riprendono il nomadismo soltanto per una parte dell'anno e per ragioni rituali, per conservare i legami con la propria identità originaria, per mantenere i rapporti con la propria gente, «perché questo è il nostro istinto» essi dicono. I giovani sono i meno riconoscibili, come zingari. Spes- so non adottano gli abiti tipi- ci della comunità, tendono a non parlarne la lingua, aspirano ad integrarsi. Il loro atteggiamento, pare, è fonte di conflitti e di meditazioni, all'interno delle tribù. Nella condizione di nomade essi ve- dono la mancanza di speranze e di prospettive per il futuro, j la condanna all'ignoranza e alle condizioni igieniche disastrose che rendono cosi breve I la vita dello zingaro, la discri- minazione sociale, gli intralci burocratici che lo Stato (quello italiano, ad esempio) crea quando il cittadino zingaro ha l'età per andare a scuola (e non gli garantisce il diritto all'istruzione), per avere la patente (spesso, per evitare ncie, evitano di richiederla e così alla minima in- i frazione passano grossi guai), per fare il servizio militare (a volte il nomade, denunciato all'anagrafe italiana, cresce all'estero: quando poi ripassa la frontiera, viene condannato come disertore). Sono gli zingari più giovani j che pongono ai non zingari le domande più imbarazzanti: che cosa fate per noi, per permetterci di vivere degnamente la nostra vita? Non siete voi che da quattro secoli alimentate i pregiudizi sul nostro conto, ci costringete all'accattonaggio e al furto, ci accusate di praticare il malocchio e di adescare i bambini? La Chiesa oggi ci viene incontro. Ma quale Chiesa? Sono tante, infatti, le Chiese che troviamo sulla nostra strada. Noi chiediamo il rispetto della nostra diversità. Ma questo che cosa significa per voi? Rispetto per la nostra cultura? Progetto di integrazione nella vostra società? Strumentalizzazione dei nostri bisogni? Lo Stato oggi ci offre alcune scuole. Ma perché sono segreganti? Perché dobbiamo lottare per frequentare gli stessi corsi che frequentano gli altri? Le leggi sono uguali per tutti. Ma perché noi andiamo in galera sulla base di semplici sospetti, per aver rotto un vetro, appena un fatto delittuoso si è verificato nel circondario? Perché, per tirare fuori la nostra gente dalle carceri italiane, ci vuole tanto? Sembra che le persecuzioni secolari inflitte agli zingari adesso siano diventate un nodo fatale. «I giovani non hanno più l'orgoglio di essere zingari e la cultura zingara sta per morire» dice don Bruno Nicolini, uno dei sacerdoti italiani che vivono fra i nomadi. «Oggi nella vita non c'è più fraternità. Oggi anche fra noi si cerca l'interesse. E noi dobbiamo lottare per essere liberi, lottare contro la tentazione del possesso e il potere del denaro», incalza Giulio Levak, 80 anni, l'anziano della comunità italiana, capostipite di duecento famiglie. E la cultura zingara che rischia di morire non è solo un fatto di lingua, di musiche, di tradizioni folcloristiche, di credenze religiose. «Voi non amate ì vecchi, li abbandonate. Per noi sono la forma più alta di saggezza: loro ci guidano. Quando uno zingaro muore, centinaia di nomadi si recano dalla famiglia dello scomparso. Nessuno dorme. Nessuno si allontana. Nel nostro comportamento non c'è altro che amore e consolazione», dice Derek Tipler, zingaro inglese, che ha studiato in un «college», ha fatto il giornalista per la Bbc, e a quarantanni è ritornato a vivere fra la sua gente. Le facce si aprono al sorriso, davanti a un viso incoraggiante. Tutti sono disposti al dialogo, anche al dibattito. Il pellegrinaggio è stato per i tremila nomadi che sono venuti (una minoranza, chi ha potuto affrontare le spese del viaggio e del soggiorno) una grossa occasione per ritrovarsi fra loro anzitutto, ma anche per vivere un'esperienza di inserimento sociale più vasto senza le solite barriere della diffidenza e dell'ostilità. Il programma delle manifestazioni religiose è stato intenso. Questa mattina c'è stata la preghiera nella basilica di San Pietro, per acquisire il Giubileo: in cinque lingue, ad alta voce, gli zingari hanno chiesto perdono dei loro peccati e rinnovato la solenne professione di fede. Nel pomeriggio si sono recati in pellegrinaggio a Castel Gandolfo, dove il Santo Padre li ha ricevuti. Gli hanno portato vari doni, fra cui una lastra di rame con inciso a mano il «Padre nostro» in lingua «rom». Dopo la visita che Paolo VI fece dieci anni fa in un accampamento di Pomezia, l'occasione era attesa con particolari aspettative. Domani i «figli del vento» ripartiranno, Liliana Madeo : j

Persone citate: Bruno Nicolini, Derek Tipler, Paolo Vi

Luoghi citati: Castel Gandolfo, Pomezia, Roma, Torresina