A Siena, ricordando Dallapiccola di Massimo Mila

A Siena, ricordando Dallapiccola SI E INAUGURATA LA XXXII SETTIMANA MUSICALE A Siena, ricordando Dallapiccola L'elogio affidato a Gavazzeni - L'opera-pasticcio « La villanella rapita » non ha potuto giovarsi dell'aria aperta /Dal nostro inviato speciale) Siena, 26 agosto. Sotto la direzione artistica di Luciano Alberti, la Settimana musicale che conclude i corsi estivi, frequentatissimi, dell'Accademia chigiana, viene ogni anno perfezionando la sua nuova formula di mescolanza del nuovo e dell'antico: que- j st'ultimo era invece, in pas- i sato, suo unico campo di at- j tività. Il tema per l'inaugu- i razione quest'anno era ov- i | viamente segnato: ricordare Luigi Dallapiccola, che se i non era toscano, ha però trascorso quasi tutta la vita ! a Firenze, e con la cultura j e il paesaggio di Toscana ha l avuto così ricco scambio di umori. Un po' mefistofelico Uno spirito un poco mefistofelico deve avere suggerito a Luciano Alberti la scelta di Gianandrea Gavazzeni come oratore ufficiale. E' vero che i due furono profondamente amici, ed è vero che Gavazzeni, poco più che giovinetto, fu tra i primissimi ad accorgersi della realtà artistica chiamata Dallapiccola, nel primo fe- I stivai veneziano della Bien- I naie 1932. Ma è anche vero ; che in seguito Gavazzeni ha maturato una sua posizione ; polemica e quasi capriccio- l sa di divorzio dalle tenden- | ze dominanti della musica contemporanea e di difesa ad oltranza di quel verismo italiano del tardo Ottocento che Dallapiccola aborriva. Era viva in tutti la curio- i sita di sentire come se la sarebbe cavata Gavazzeni a I tessere l'elogio del promoto- j re della dodecafonia in Ita- I Ha. Ecco così creato un abi- i le clima di attesa intorno a j un fatto generalmente poco I eccitante come un'orazio- j ne ufficiale: forse nemmeno ! nella prossima esecuzione I della Ifigenia in Tauride di Gluck — il massimo maestro della drammaturgia musicale nel Settecento — ci sarà tanta suspense. Gavazzeni è stato molto bravo ed ha aggirato l'ostacolo con eleganza. « Sto citando più gli scritti che la musica. Ma ciò era nel mio disegno ». Poiché Dallapiccola è stato un « musicista culturalmente totale », Gavazzeni ha affermato la coincidenza della faccia compositiva e della faccia critica nella sua personalità, per cui farne la storia della cultura equivale a farne, « per speculum et imaginem », la storia delle opere. E poiché anche Gavazzeni è altrettanto colto e fine letterato quan to musicista, ha avuto buon gioco a cesellare un'orazione di alta classe, intessuta di documenti inediti, lettere, ricordi, testimonianze proprie e altrui, per delineare quello ch'egli chiama il «nordicismo gotico » dell'arte di Dallapiccola, che è poi la sua apertura europea, anzi mitteleuropea, di triestino. Ma non è che Gavazzeni abbia interamente messo la sordina alla sua vis polemica nei riguardi della musica moderna e del suo cammino che a lui pare aberrante. Per gli ascoltatori più avvertiti è stato un momento drammatico quello in cui Gavazzeni, che in partenza aveva già cercato di annettere in qualche modo anche Dallapiccola al Parnaso della sua diletta Bergamo, attraverso la figura d'uno dei suoi primi maestri, il Casiraghi, ha mostrato di volerlo dissociare dalle colpe di Mahler e degli altri malfattori viennesi: « Ritengo non sia rintracciabile alcuna analogia tra i viennesi e Dallapiccola ». Tutt'altro materiale culturale, tutt'altro il clima « nativo », per usare un aggettivo che a Gavazzeni è caro. Quasi quasi stava per balenare l'ipotesi di un compromesso storico tra Luigi Dallapiccola e Pietro Mascagni, sì che per un momento non abbiamo nemmeno più disperato della possibilità di un accordo cordiale tra palestinesi e israeliani i L'orazione di Gavazzeni è | venuta dopo le comunicazioni ufficiali del presidente della fondazione chigiana, av- ! vocato Danilo Verzili, del direttore artistico Luciano Alberti e del senatore Vedovato, in rappresentanza del governo, ed è durata assai più dei cinquanta minuti annun- | ciati o minacciati in principio: ma nessuno si è mosso, e saremmo stati ben contenti di divertirci altrettanto la sera, alla esecuzione della Villanella rapita di Bianchi e C. La malasorte si è accani ta contro questo esemplare d'un vero e proprio genere teatrale settecentesco qual era l'« opera-pasticcio », cioè rimpolpata o addirittura messa insieme coi contributi di vari compositori. Persino Mozart Un Francesco Bianchi, cremonese, aveva fatto rappre- I sentare nel 1752 a Venezia ! (o a Firenze?) un'operiha comica, La villanella rapita, su libretto dell'ottimo Giovanni Bertati, ed aveva avuto buon successo. Tanto I successo che, ripresa a Vienna nel 1785, vi era stata ar- j ricchita dell'inserzione d'un terzetto e un quartetto scrit- i ti espressamente da Mozart, che stava allora lavorando alle Nozze di Figaro (il che J si sente benissimo nel quartetto « Dite almeno in che mancai», K 479). A Parigi, poi, nel Théàtre de Mon- ' sieur, gestito dal Piemonte- I se Viotti, l'opera divenne un ! vestito d'arlecchino, con pez- I zi di Paisiello, di Sarti, Guglielmi, Martini e soprattutto del roveretano Giacomo Goffredo Ferrari, che la fornì pure di una vivace ouverture, pubblicata una trentina di anni fa da Felice Quaranta. Di questo cibreo avremmo dovuto vedere una ricostruzione certamente appetitosa, all'aria aperta, con scene e costumi di Tono Zancanaro e regia attesissima di Bussotti. Ma piovigginava e ci si dovette rifugiare nel Teatro dei Rinnuovati a causa dello scioperetto — sacro e intangibile, ben inteso, ma antipatico — di quei quattro gatti dei sindacati autonomi. Sicché dovemmo ascoltare la musica, cantata da Cecilia Valdenassi, Anastasia Tomaszewska. Maura Aliboni, Antonio Bevacqua, Alessandro Corbelli, Giancarlo Montanaro e Ibrahim Moubayed, istruiti da Mario Salerno, responsabile del corso d'opera dell'Accademia chigiana, e diretta a turno da quattro giovani allievi del corso di direzione tenuto da Franco Ferrara: Margherita Castrilli, Francesco Leonetti, Lorenzo Muti e Gilbert Varga, uno dei quali particolarmente dotato. L'orchestra era quella giovanile di Russe, in Bulgaria. Bussotti stava sul palcoscenico, insieme all'attrice Gigliola Funaro, e leggeva con verve i recitativi e i collegamenti delle scene. L'operina non vai niente, a parte le due gemme mozartiane e ima delle arie di Paisiello. Può darsi sia un esempio di quel «tessuto connettivo» che agli storici della musica si rimprovera di trascurare quando fanno la storia «per i vertici». Ma se si tratta di questo, essi fanno invece benissimo ad approfondire lo studio di Mozart, di Paisiello, di Pic- cinni, di Pergolesi e di Alessandro Scarlatti, invece di perdere il loro tempo a rincorrere in Bianchi e Ferrari i cascami di quei grandi. Massimo Mila