Un accidente della storia di Ferdinando Vegas
Un accidente della storia Un accidente della storia La guerra civile infuria a Timor, nella metà orientale dell'isola, appartenente al Portogallo, mentre l'altra metà, già olandese, fa ora parte dell'Indonesia. Anche in un territorio di entità così modesta (14 mila 925 chilometri quadrati, 650 mila abitanti) il processo della decolonizzazione sembra dunque avvinto a realizzarsi a prezzo di sangue e di distruzione, nonostante la migliore volontà portoghese di operare lina transizione pacifica. Ritiratasi, o costretta ti ritirarsi, dalle maggiori e minori colonie in Africa, Lisbona, evidentemente, non aveva alcun interesse a mantenere gli ultimi frammenti asiatici dell'impero, appunto Timor e Macao (ma quest'ultimo è un caso particolare, poiché attualmente alla Citta fa comodo che resti portoghese). A chi passare, però, le consegne? Solo con la prospettiva della fine del regime coloniale e cominciata a Timor una dialettica politico, dalla quale sono sorte diverse organizzazioni, ciascuna con un suo progetto per il futuro del territorio. Quelle che hanno acquistato maggior credito nel confronto così sviluppatosi, ed ora impegnate nella guerra civile, sono tre: una, l'Apodeti (Associazione popolare democratica timorense), è favorevole all'unione con l'Indonesia; le altre due, e cioè l'Udt (Unione democratica timorense) e il Fretilin (Fronte rivoluzionario per l'indipendenza di Timor), sono invece per l'indipendenza. Con questa differenza: che il Fretelin richiede l'indipendenza totale immediata, laddove per l'Udt l'indipendenza dovrebbe venire a termine d'un periodo di transizione, durante il quale sarebbero mantenuti stretti legami col Portogallo. L'orientamento dell'Apodeti, per l'unione con l'Indonesia, sembra a prima vista il più naturale: i timorensi tutti quXinti, infine, sono etnicamente indonesiani e solo un «accidente della storia» ne ha sottoposto una parte al dominio portoghese (dal 1586), separandoli così per quasi quattro secoli dall'altra parte e dall'intera massa degli indo- nesiani. La divisione, per quanto artificiale, non poteva tuttavia non produrre i suoi effetti, nel se?iso di un condì- ziónamento culturale e religio- so dei timorensi orientali, da parte dei colonizzatori porto- ghesi; ed è precisamente questa realtà storica uno dei motivi che dissuadono molti timorensi dall'annessione all'Indonesia. Un altro motivo deriva dallti realtà politica attuale: perché unirsi ad un Paese dove domina un regime dittatoriale, sorto da uno dei più sanguinosi colpi di Siato? Ma proprio il regime indonesiano alletta certi gruppi sociali timorensi: l'Apodeti, infatti, come scrive Relazioni Internazionali, «ha raccolto molte simpatie negli ambienti più retrivi, legati a Lisbona fino al 25 aprile (1974) ed oggi disposti a far si che tutto cambi perché ogni cosa resti come prima». L'alternativa dell'indipendenza ha quindi un chiaro significato politico sociale, specie per il Fretilin l'organizzazione che la vuole subilo, in rispondenza al suo orientamento di sinistra. Eppure, a quanto se ne sa, non è stato questo movimento indipendentista radicale a dare il vìa alla guerra civile, bensì l'altro movimento indipendentista, quello gradualistico dell'UdU Anche in questo contrasto tra indipendentisti il motivo dì fondo si ritrova sul piano politico-sociale, dato che l'Udt raggruppa notabili di orientamento moderato, ostili al «gauchismo) del Fretilin (sì vedano anche i rapporti di questo col Frelimo del Mozambico). Sul piano internazionale, l'Indonesia, pur affermando che rispetterebbe una scelta indipendentistìca di Timor, ha però proclamato che non tollererebbe ima «destabilizzazione» della regione, ad opera di «simpatizzanti comu- nistb>; oltretutto potrebbero COSi trovare una base locale gu avversari del regime di Su hario. E può darsi che questa condizionatura internazionale abbia incoraggiato l'Udt ad agire. Ferdinando Vegas «móm |glji|i i ^.....iS^ff
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