Ventimila a Napoli i ragazzi sfruttati di Filiberto Dani

Ventimila a Napoli i ragazzi sfruttati Inchiesta sul "racket dei calzoni corti,, Ventimila a Napoli i ragazzi sfruttati Primi risultati dell'indagine della magistratura sui bambini-operai avvelenati da un collante - Dodici ore di fatica al giorno pagate mille lire La piaga dei "collocatori", intermediari senza scrupoli - Rimedi proposti (Dal nostro inviato speciale) Napoli, 23 agosto. Le cronache dell'infanzia continuano a proporre motivi di pietà, di sdegno e di vergogna. Dopo l'amara storia del bimbo di sette anni che, abbandonato dai genitori, & finito in un istituto per subnormali, dopo quella del «racket degli angeli» che compra e vende neonati come merce di largo consumo, eccone un'altra non meno angosciante: il «racket dei calzoni corti». E' lo sfruttamento intensivo del lavoro minorile che rende alti profitti a chi lo esercita, il dramma dei ragazzi costretti ad inserirsi nell'ingranaggio produttivo familiare, l'illusione di vincere una disperata battaglia contro la miseria sul fronte del portare a casa una manciata di lire. Napoli, estate 1975, un giorno qualsiasi. Due fratellini, Salvatore e Giovanni Conte, 14 e 16 anni, vengono ricoverati all'ospedale Cardarelli, sono tutti e due affetti da polineuropatia, una deformazione degli arti. E' una malattia che si sono buscati in una fabbrica clandestina del rione del Tribunale: qui, per trentacinquemila lire al mese, appiccicavano suole di scarpe, tomaie e borse di plastica, maneggiando un micidiale collante acquistato dal padrone a basso prezzo, in grosse scatole di latta prive di etichette. «La polineuropatia provocata da questo collante — spiega il dottor Vittorio Tecce, aiuto del primario della divisione neurologica — può presentarsi in forme tenui. come quelle d'una estrema debolezza, o in forme gravi che si manifestano con la paralisi totale degli arti». I due fratellini non sono che l'avanguardia d'una serie che, in poche settimane, è costretta ad approdare all'ospedale: una ventina di ragazzi e ragazze, tutti fra i 12 e i 16 anni, e tutti colpiti dallo stesso male. Le organizzazioni sindacali fanno rumore, magistratura e Ispettorato del lavoro aprono un'inchiesta. I primi risultati, venuti alla luce in questi giorni, rivelano l'esistenza d'un vero e proprio «racket dei calzoni corti». Quanti sono gli sfruttati nel lavoro minorile? V'è chi parla di non meno di ventimila nella sola Napoli, ma la cifra esatta non la sa nessuno perché è impossibile compiere un censimento. Si sa, invece, che l'economia di molti quartieri popolari (Stella, Sanità, Cristallini, Mater Dei) si regge quasi esclusivamente sul lavoro delle giovani braccia. Con orari da schiavi, fino a dodici ore al giorno, questi ragazzi fanno gli apprendisti, i manovali, i fornai, i fattorini, i camerieri, guadagnano da cinquemila a diecimila lire la settimana, non godono di nessun tipo di assistenza. Sanno alcune cose: che se capita un'ispezione devono nascondersi, oppure dire che quello è il primo giorno che lavorano, che sono li per dare una mano per un paio d'ore o addirittura per curiosare. Devono dimenticarne altre: per prima cosa, e nel modo più assoluto, il nome del «collocatore» che ha trovato loro il lavoro, facendo da tramite tra la famiglia e il padrone. «La nostra inchiesta — mi dicono alla procura della Repubblica — urta proprio contro il muro sordo e elastico dell'omertà. Questi "collocatori", che hanno la potenza di autentici boss, non riusciamo a farli saltare fuori». Parlo con il padre di uno dei ragazzi che sono stati ricoverati all'ospedale per colpa del micidiale collante, chiedo se ritiene giusto che suo figlio paghi così duramente l'ingordigia degli sfruttatori, ma ottengo una sola risposta: «Ho altri otto figli da sfamare, moglie e suocera a carico, e sono disoccupato». E di seguito, in napoletano: «Signurì, nun vulimmu arrubà, vulimmo fatica» (non vogliamo rubare, vogliamo lavorare). E' un po' il drammatico slogan di una delle città più malgovernate del Paese, che ha come sfondo una disoccupazione storica, una sottoccupazione vergognosa, il fardello di una miseria che non conosce pietà. Come si può sanare questa piaga del «racket» che ingrassa padroni senza scrupoli, intermediari, approfittatori? «Anzitutto dando lavoro agli adulti che non Ihanno — rispondono i sindacalisti — poi inasprendo le pene per i reati di lesioni colpose dovute agli infortuni, e, ancora, chiudendo immediatamente le aziende responsabili in maniera da far intendere ai trasgressori che il fine di lucro che essi perseguivano viene inesorabilmente colpito». Ciò che non avviene con la legge attualmente in vigore (è del 1967) che, disciplinando il lavoro degli adolescenti, punisce l'avido imprenditore con un'ammenda «da lire duemila a lire diecimila per ciascuna persona abusivamente occupata». Una cosa da ridere, insomma. Bene o male, comunque, le inchieste della magistratura e dell'Ispettorato del lavoro vanno avanti. E' chiaro che nell'episodio del collante ci sono responsabilità penali, oltre che morali e di sistema. La legge vedrà perché i venti ragazzi hanno corso il rischio della paralisi. Rimane il problema del «racket» perché migliaia e migliaia di giovani braccia continuano ad essere ricercate e ingaggiate. Adesso c'è un fremito di coscienza nei cosiddetti benpensanti, ma è facile prevedere che passerà presto senza lasciare tracce. Il nostro è un Paese che dietro la maschera della benevolenza pacioccona nasconde una crudele indifferenza per l'infanzia. Filiberto Dani

Persone citate: Giovanni Conte, Mater Dei, Vittorio Tecce

Luoghi citati: Napoli