È il possidente Lovati rapito a Caorle I'uomo carbonizzato nel baule dell'auto di Gino Mazzoldi

È il possidente Lovati rapito a Caorle I'uomo carbonizzato nel baule dell'auto È il possidente Lovati rapito a Caorle I'uomo carbonizzato nel baule dell'auto II riconoscimento fatto dai familiari attraverso due medagliette - Forse fu ucciso perché si era ribellato e poi bruciato (Dal nostro inviato speciale) Brescia, 19 agosto. L'uomo carbonizzato trovato ieri mattina nel baule dell'«Alfetta» data alle fiamme in un campo nei pressi di San Martino della Battaglia, ha un nome: è il possidente agricolo Gianfranco Lovati Cottini, di 37 anni, rapito il 13 agosto scorso nella sua tenuta modello di Bruzza di Caorle in provincia di Venezia: all'identificazione del cadavere, si è giunti attraverso il riconoscimento effettuato da parte della moglie e della sorella della vittima, di due medagliette, una catenina d'oro, un mazzo di chiavi Yale e la fibbia di una cintura per pantaloni. Rifacciamo la cronaca di questo raccapricciante delitto. Verso runa dell'altra notte Niccodemo Zanmichele, un agricoltore di 49 anni proprietario della cascina « Co'Bue di Sotto » a 300 metri dalla torre di San Martino (costruita per ricordare la battaglia combattuta sulle colline moreniche del Lago di Garda dai piemontesi e dai francesi contro gli austriaci) viene svegliato dal prolungato abbaiare dei cani: si affaccia alla finestra e vede in un campo di granoturco divampare delle fiamme e un camioncino allontanarsi sulla strada che porta alle Colombare di Sirmione. In quel momento su tutta la zona stava abbattendosi un violentissimo temporale. Niccodemo Zanmichele torna a letto. Intanto alcuni automobilisti che stanno percorrendo l'autostrada «Serenissima» vedono a loro volta le fiamme e dal casello che dista meno di due chilometri dalla cascina « Co'-Bue di Sotto » telefonano al « 113 ». Una pattuglia viene mandata sul posto da Desenzano ma le fiamme sono ormai spente: ogni accertamento viene rinviato al giorno dopo. Ieri mattina alle 7, due contadini trovano una macchina bruciata: corrono dal proprietario della cascina che manda un suo incaricato ad avvertire i carabinieri. In attesa dei militi, Niccodemo Zanmichele dà un'occhiata alla macchina: il calore ha mandato in frantumi i cristalli, tutto l'interno è distrutto dal fuoco. Sulla vettura nessuna targa: quella posteriore era stata tolta, quella anteriore strappata. L'agricoltore vuol dare un'oc¬ chiata al baule: preme il bottone della serratura e il coperchio si solleva. Niccodemo Zanmichele è allibito: dentro c'è qualcosa di irriconoscibile, una specie di moncherino con un cranio annerito avvolto in uno straccio e un pezzo di telo di plastica. Da Brescia giungono sul posto il sostituto procuratore della Repubblica dott. Giancarlo Zappa, il capitano dei carabinieri Francesco Delfini, comandante del nucleo investigativo e un medico di Desenzano. Si stabilisce subito che il cadavere, in posizione prona, aveva le mani legate dietro la schiena con fili della luce, un bavaglio fissato con cerotti sulla bocca, un cappuccio in testa e un tampone — risultato cloroformizzato — in bocca. Spostando il cadavere i carabinieri trovano una catenella d'oro con due medagliette: una con l'immagine di Cristo e la scritta « Dio t'aiuta ». L'altra con l'effigie della Madonna di Lourdes e la parola « Ansi » che ha poi permesso di identificare la vittima. Si cerca ancora e si trova un mazzo di chiavi Yale, la fìbbia di una cintura da pantaloni e le chia¬ vi della vettura tenute insieme da una medaglia triangolare d'acciaio con la scritta: « Fir (Federazione italiana rugby) - ottobre '70 - Rovigo - incontro Italia-Romania ». Esaminando la bocca del morto gli inquirenti scoprono infine che il quinto molare dell'arcata inferiore era stato otturato di recente. Per sistemare il cadavere nel baule gli assassini hanno tolto la ruota di scorta: poi hanno dato fuoco alla macchina, il cui funzionamento è a gas, sperando che lo scoppio della bombola potesse rendere impossibile ogni accertamento sul cadavere. Invece la bombola non è esplosa e le fiamme hanno solo ridotto il corpo martoriato ad un moncherino. Gli inquirenti, pur non i scartando a priori le ipotesi di un regolamento di conti, o di una vendetta, hanno subito pensato alla vittima di un rapimento ed hanno chiesto particolari sulle persone che non sono ancora state rilasciate. Da Venezia è subito giunta l'informazione preziosa: Gianfranco Lovati Cottini, in famiglia veniva chiamato « Ansi », il soprannome che la governan¬ te tedesca gli aveva dato da bambino. Con tutte le cautele la scorsa notte venivano convocate a Brescia Amalia Lovati Cottini e Carla Colleoni, rispettivamente sorella e moglie dell'imprenditore agricolo di Caorle e un dentista di Portogruaro, il dott. De Goeza. Alle due donne, giunte al nucleo investigativo nel cuore della notte, sono state mostrate le due medagliet| te, ii mazzo di chiavi — tra ' cui quella della cassaforte della fattoria modello — e la fìbbia della cintura per pantaloni che sono state subito riconosciute: «Le abbiamo trovate — hanno pietosamente detto gli inquirenti — in un cespuglio in un prato della periferia ». Ma davanti alle pressanti domande della moglie e della sorella di Gianfranco Lovati Cottini, che erano state raggiunte dall'avvocato di famiglia Francesco Rosica incaricato di trattare l'eventuale riscatto, non è più stato possibile nascondere la verità: le due cognate affrante dal dolore sono ripartite all'alba accompagnate da alcuni congiunti. Dal canto suo il dott. De Goeza ha aggiunto che l'otturazione del molare pote¬ va essere stata fatta da lui anche se non era in grado di confermarlo con estrema precisione. Spetterà al perito settore stabilirlo in modo definitivo. In serata all'Istituto di medicina legale di Milano, dove i resti di Gianfranco Lovati Cottini sono stati trasportati, i professori Antonio Farvetti e Francesco De Ferraris hanno eseguito una prima necroscopia, attraverso la quale è stato possibile stabilire che il possidente è stato ucciso con un colpo alla testa vibrato da un corpo contundente, una sbarra di ferro o il manico di una chiave inglese, che gli ha spaccato il cranio. Secondo gli inquirenti l'uccisione di Gianfranco Lovati Cottini sarebbe un omicidio preterintenzionale: l'imprenditore deve essersi ribellato provocando la reazione dei malviventi che non dovevano certo avere l'intenzione di ucciderlo dal momento che non era ancora stato trattato il riscatto. Ma quando è stato ucciso? Secondo gli inquirenti non subito dopo il rapimento ma qualche giorno fa. Gino Mazzoldi