Bestie rare in libertà nella foresta di Circe

Bestie rare in libertà nella foresta di Circe Il prezioso e assediato Parco del Circeo Bestie rare in libertà nella foresta di Circe (Dal nostro inviato speciale) San Felice Circeo, agosto. A poco più di un centinaio di chilometri a mezzogiorno di Roma, là dove un tempo la dea Febris immitis (che era poi la zanzara anofele dal duro pungiglione) regnava solitaria su stagni e paludi, su marcite e canneti, esiste ancora lungo la costa del Tirreno, sia pure ridotto e striminzito, accerchiato e assalito da ogni parte, un «piccolo lembo del giardin d'Armida». Giardino, s'intende, dal punto di vista dì chi ama la natura così come creata dal lungo, spontaneo travaglio dei millenni e non alterata dalla mano ora brutale e ora carezzevole dell'uomo; non dunque il bel prato verde ombrato d'olmi di cui favoleggiava D'Annunzio, con aiole pettinate e fiori disposti in bell'ordinanza e viali e giochi d'acqua, ma semplicemente un esiguo — molto esiguo — tratto superstite dell'antica foresta mediterranea, spinosa e ombrosa e contorta, selvaggia e a volte quasi impenetrabile, animata (soprattutto la notte, la sonante e ronzante notte della vita invisibile) da mille diverse forme di esseri grandi e minuti, uccelli e rettili, insetti e vermi e anfibi che si inseguono e si predano e si amano e giocano e svolazzano e saltellano e strisciano fra le erbe e le felci, sotto il terriccio umido e nel cielo azzurrissimo, tra le fronde delle querce, sulle cime dei tronchi più alti come negli anfratti e nelle tane e nei cunicoli nascosti. Di questo luogo incantato è stato fatto (anno 1934) il Parco Nazionale del Circeo, il più piccolo come territorio (meno di ottomila ettari) ma forse il più prezioso d'Italia, là dove, come dice la leggenda dei tempi omerici, sorgeva il bosco profondo della maga Circe, la grande ammaliatrice. Sono tre zone nettamente distinte ma che confluiscono in un unico complesso: la foresta demaniale di Sabaudia, spaccata in due da un'autostrada assassina ma per il resto recintata e difesa dalla Forestale con caparbia ostinazione e diuturna sorveglianza (e vada ai bravi militi un grazie da tutti gli italiani, per le multe che fanno pagare senza pietà e misericordia) e altre due «aree protette». La prima è il monte Circeo, vale a dire il promontorio sul mare con le sue grotte preistoriche e la sua flora atipica, unica nell'intero bacino mediterraneo per la natura del terreno e la posizione geografica che la espone nello stesso tempo ai venti infocati dell'Africa e alle gelide soffiate invernali di Borea. Il risultato è un insieme di contrastanti vittorie e armistizi tra specie oriunde dall'Africa e generi tìpicamente nordeuropei, in una misura che non ha ancora finito di stupire i botanici. Ultima zona, infine, è l'affusolata e piatta striscia lagunare, con i quattro pescosissimi, calmi, azzurri stagni lacuali che si allineano ad occidente di capo Santa Felicita fin quasi alla torre di Foce Verde, ricchi di plancton e di alghe e di sale, separati dal Tirreno dalla sola esile duna litoranea. Più lontani, come su tutta la costa tirrenica, i resti spesso ancora imponenti delle torri erette nel Medioevo a difesa dai Saraceni. Di fronte, sullo sfondo, i monti Lepini pallidi e dolci, sfumati al tepore estivo, con gt mtichi e nuovi borghi di Lira. Norma, Sezze, Sermoneta. La foresta è grande circa la metà dell'area totale del Parco e ne costituisce il cuore, un quadrato di quasi sei chilometri di lato. Incautamente rimboscata negli Anni Venti e Trenta con due specie arboree entrambe fondamentalmente estranee all'ambiente originario, il Pinus domestica e l'eucalipto (questo doveva servire a fornire bellissime traversine per le ferrovie, ma poi si scopri che il legno, così duro e resistente in Australia, qui da noi addolcisce, chi sa perché, la propria natura e diventa inservibile), da qualche tempo la si va ripristinando secondo quello che era in origine, abbattendo dopo severi controlli gli alberi vecchi e malati e non lasciandone comparire dei nuovi, se non delle specie originarie del posto. In questa circostanza i tecnici del Parco hanno avuto una gradita sorpresa: la loro azione «protettiva» si è rivelata quasi del tutto superflua, è la natura stessa (del terreno, del clima?) che favorisce di per sé l'attecchimento delle querce, dei càrpini, delle farne, dei lecci, degli olmi e degli ontani e si oppone agli abitatori venuti dal di fuori. A parte alcune ristrette zone periferiche, la foresta di Sabaudia è così oggi il più bel relitto (insieme ai monti dell'Uccellino, presso Grosseto, dove pure è stato stabilito un parco regionale) di antica selva mediterranea integrale. E' proibito accedervi con l'auto, la si deve percorrere soltanto a piedi. Protetta contro ogni intrusione del¬ l'uomo, la vita animale vi è prospera e ricca. Chi scrìve ha avuto l'emozione (il giovane agente della Forestale che mi accompagnava si è lasciato scappare: «Ma sa che lei è un uomo ben fortunato? C'è della gente che si aggira nel parco per delle settimane senza riuscire a vedere il cinghiale, e lei lo incontra subito»;, ho avuto dunque l'emozione di sorprendere un maschio adulto attraversare lento lento il sentiero davanti a me, guardarmi fissamente (e si vedevano le grosse zanne e il grugno possente) poi scuotere il corpaccio come per liberarsi d'una noia e andarsene nuovamente nel fitto del bosco là donde era comparso all'improvviso. E ho visto le lepri danzare di notte in una radura, sotto la luna. Uno spettacolo magico, che sa di fiaba infantile ed è invece realtà, fenomeno d'una vita animale che è ancora per noi un mistero quasi del tutto celato. E ho potuto vedere il cervone, il più grosso serpente d'Italia dalla bella livrea argentea, lungo fino a due metri e innocuo come un agnellaio, svolgere lentamente su uno spuntone di roccia le sue spire e poi ripiegare in giù la testa, come se avesse deciso dì mettersi a dormire senza curarsi affatto di chi l'osservava. E ho ammirato il tasso affacciato alla sua tana, come chi prende il fresco alla porta di casa. E i daini, a qualche centinaio di metri da me, cauti e saltellanti o immobili a fissare chissà quale punto nell'infinito. E ho seguito di ramo in ramo il volo ira ì cornioli della bellissima ghiandaia marina, uno degli uccelli ormai più rari, dai colori vivacissimi, risplendenti come una gemma rosso-azzurra ai raggi del sole che già declinava verso il mare. Ma il vero paradiso degli uccelli è la vasta distesa delle lagune costiere. Purtroppo uno solo dei quattro laghi che si allineano lungo il Tirreno e costituiscono un'unica entità biogeografica è oggi compreso nell'area del Parco. I patetici sforzi del direttore dottor Ortese per ottenere un allargamento (è disposto a cedere «in cambio» una parte del monte Circeo, là dove sorge l'abitato di San Felice, che purtroppo non è più recuperabile a fini naturistici, e sarebbe persino inopportuno il volerlo, ricco com'è di alberghi e fattorie e ville) sono rimasti assolutamente infruttuosi, o forse si sono soltanto perduti nei meandri della burocrazia romana. Qualche speranza c'è ancora. Si è potuto ad esempio ottenere la proibizione della caccia e dell'uccellagione in tutto il territorio lacustre. In soli tre anni i risultati, con buona pace dei cacciatori, sono stati prodigiosi. Molte specie che erano considerate scomparse da decenni hanno fatto ritorno. Per ragioni tutto sommato misteriose, la zona costituisce una tappa obbligata negli itinerari di migrazione. E molte specie, anche, hanno ripreso a nidificare sul posto. Rinunciano all'ultimo balzo verso l'Africa settentrionale. Una ricerca sistematica portata a termine da poche settimane da un gruppo di ornitologi, e ancora inedita, riferisce sulla presenza accertata di duecento specie diverse di uccelli, alcune delle quali rarissime. Il cavaliere d'Italia, per esampio. E il falco di palude, e il mignattaio e il rigogolo e il tuffetto e il picchio rosso maggiore. E altresì molti rapaci notturni, come l'allocco e il gufo reale, praticamente ormai estinti in tutta la penìsola. Per descrivere tutte le bellezze e il valore scientifico del Parco, bisognerebbe parlare a lungo anche delle grotte del Circeo. Certamente molte sono sconosciute. Una esplorazione sistematica non è stata ancora intrapresa. Ma quel poco che si conosce, e quel poco che ho visto, è di una bellezza senza eguali. Sono stati ritrovati in questi anfratti (nati dal lento movimento del suolo che sì alza e si abbassa ritmicamente rispetto al mare, un fenomeno bradisismico analogo a quello più famoso di Pozzuoli) resti di animali del clima glaciale alternati a resti dì animali del clima caldo, in un succedersi di mutamenti geologici e geofìsici. Orsi delle caverne e rinoceronti, mammuth e ippopotami nani, elefanti e buoi primigeni. E' staio scoperto anche uno scheletro quasi completo di Uomo di Neanderthal. unico nell'Europa meridionale, a testimonianza di una 1 stirpe di homo sapiens forse scomparsa trentamila anni fa sotto le frecce e i colpi di bastone, si può credere, del più evoluto e civile — per così dire — Uomo di Cro-Magnon, il nostro diretto e prepotente antenato. Umberto Oddone

Persone citate: Borea, D'annunzio, Ortese, Saraceni, Sermoneta, Sezze, Umberto Oddone