I due detenuti attendevano bombe a mano ed un mitra di Francesco Santini
I due detenuti attendevano bombe a mano ed un mitra Un complice aveva preparato l'evasione I due detenuti attendevano bombe a mano ed un mitra (Dal nostro inviato speciale) San Gimignano, 11 agosto. Quindici agenti di custodia per cento detenuti. Quindici cina: c'è il portinaio e il tele¬ che P01 51 "ducono a una de fonista, l'agente addetto alla mensa e l'altro allo spaccio, quello dell'infermeria e il magazziniere; in pratica non hanno contatti con i reclusi. I Nell'ex convento medioevale ■ cne a San Gimignano vanta di avere ospitate Savonarola, l'organico del carcere di San Domenico è di sessantacinque uomini. «Ma — dice il direttore — si sa come vanno le cose, ci sono i turni, le ferie, i I permessi, i recuperi». Così, ! quando Turrini e Mistroni i hanno impugnato le armi, in ' un attimo otto agenti sono di! ventati otto ostaggi. Nella storia degli istituti di pena, la rivolta solitaria e irrazionale di Turrini e Mistroni dovrebbe restare un punto fermo. I fatti di San Gimignano evocano il ricordo di Alessandria e di Brescia, ma questa volta il ministero ha ordinato un'inchiesta severa e l'ispettore giunto da Roma nell'antico centro toscano promette un'indagine attenta perché almeno stavolta la lezione resti e serva a scongiurare che le ore di ieri possano ripetersi in un altro edificio carcerario, in un'altra parte del Paese. «Ma — dice il funzionario romano — è una promessa difficile da mantenere: il male delle nostre carceri è endemico: è l'intera struttura da rivedere». Poi passa ad una piccola lezione con risvolti sociologici: «Una società permissiva non può esprimere istituti repressivi, come una società repressiva non può consentirsi il lusso di istituti aperti. Di qui gli squilibri, i pericolosi scompensi». Intanto è al lavoro per accertare se ci sono responsabilità e, even-1tualmente, di chi siano. L'inchiesta ha confermato le notizie delle prime ore. Le armi sono arrivate in un pacco postale, ma tutto poteva essere evitato se il rivelatore magnetico del carcere di San Gimignano avesse funzionato. L'impianto è in avaria. Si tenta di sapere come Turrini e Mistroni siano riusciti a sorprendere l'agente Tammaro che apriva l'involucro in presenza dei destinatari. Si è saputo che già da tre o quattro giorni Turrini andava dicendo in giro che avrebbe ricevuto un pacco, ma tutto appariva normale. «Arrivano i viveri — diceva il detenuto ai compagni —. Siate contenti, io divido con gli altri». Invece c'erano le armi, ma non quelle che si aspettavano. Proprio alle guardie prese in ostaggio ieri, i due l'hanno detto: «Con le pistole, ci avevano promesso un mitra Sten ì e delle granate: tutto allora \ sarebbe finito prima». Il pro- getto iniziale di evasione non contemplava gli ostaggi. Con le armi in pugno, i due volevano lasciare immediatamente il carcere: glielo ha impedito l'agente Galluppi. Turrini gli ha puntato la rivoltella ordinandogli: «Dì al portiere di aprire la porta». Galluppi ha alzato le mani, ma con un gesto degli occhi ha fatto capire al collega di non obbedire. All'esterno, per Turrini e 1 Mistroni c'era pronta una vet- a . o - o i o a io a l a e e e re e ol a r uia i l tura: a bordo, Pierluigi Monticchio, uno dei detenuti evasi il 17 febbraio dal carcere di Reggio Emilia. Lo ha detto Turrini mentre eravamo a colloquio con lui, poco prima che i colpi dei cecchini lo freddassero dietro le inferriate. «Siamo scappati assieme da Reggio Emilia — aveva detto — e Monticchio lo aveva promesso: non mi avrebbe abbandonato». Aveva aggiunto: «Era qui fuori, si è dovuto allontanare quando ha capito che le cose non si mettevano come previsto: è lui che ci ha mandato le armi, è lui che ci aiuterà quando saremo fuori di qui». Il senso di quanto è accaduto lo dà oggi, a ventiquattro ore di distanza, l'agente Andolfi. Indossa la camicia che aveva ieri e mostra la macchia nera lasciata dall'unto della rivoltella di Turrini. E' stato lui, assieme al collega Becucci, a disarmare il bandito. Ha impedito al ribelle di uccidere magistrati e giornalisti come andava dicendo quando ha sentito i cecchini sparare. «Avevano voluto i magistrati ed i cronisti — dice — perché gli davano maggiore sicurezza. Turrini ce lo aveva detto: "Voi militari siete carne da macello e, una volta usciti di qui, non esiteranno a sparare; prima di colpire un magistrato ci penseranno". E io dico che aveva ragione: non avrebbero esitato a colpirci». Freddo, distaccato, l'agente di custodia fa una denuncia: «I fatti di San Gimignano — dice — si possoìio ripetere da un giorno all'altro, ovunque, in un carcere qualsiasi. Allora è bene provvedere: non si possono lasciare otto agenti allo sbaraglio; ci vogliono, in questi casi, direttive precise, dobbiamo sapere come ci dobbiamo comp^ 'tare, vogliamo essere tranquilli, poi, che chi è fuori sa che cosa decidere». Il ricordo di ieri sembra esasperarlo: «Per sei ore — dice — nessuno ha chiesto come stavamo, nessuno si è preoccupato, dall'esterno, di sapere quale fosse stata la nostra fine: parlavano al telefono con i detenuti, ma nessuno chiedeva niente di noi. A che cosa servono tanti cervelloni quando nessuno si assume le proprie responsabilità?». Poi conclude: «Certo, il magistrato non può consentire che la legge venga calpestata, non si può sottomettere al ricatto, ma ci dev'essere qualcuno, qualcuno soltanto che si assuma la responsabilità di quanto, man mano, si deve decidere». Francesco Santini
Luoghi citati: Alessandria, Brescia, Reggio Emilia, Roma, San Gimignano
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