I professori di Camaldoli di Francesco Rosso

I professori di Camaldoli C'È UN RITORNO AGLI ORDINI CONTEMPLATIVI I professori di Camaldoli Tra i molti ospiti del famoso eremo figurano Fanfani e La Pira - Un giovane frate ideologo spiega perché bisogna aggiornare la regola antica: il silenzio e l'isolamento si riducono a brevi periodi del giorno - Le celle non bastano alle molte vocazioni (Dal nostro inviato speciale) Camaldoli, agosto. La strada verso l'eremo è oià un'avventura, un viaggio , attraverso memorie scolastiche e di amate letture. Da prima c'è il Chianti, con vigneti che gonfiano al gran sole estivo, "poi il Casentino con Poppi, Bibbiena, la Piana di Campaldino, per cui te citazioni della Commedia diventano quasi di rigore. La strada continua a salire e a poco a poco alla boscaglia succede la foresta, l'ombra diventa tolta per querce, faggi, castagni, ma soprattutto per gli abeti eretti in verticale come scure canne d'organo campite nel cielo luminoso di Toscana. Tra gli alberi, lievi rumori di cascatene richiamano i rivoletti del Casentino che scorrono all'Arno « facendo lor canali freddi e molli ». Vien voglia dì inoltrarsi nella densa foresta, in cui la caccia è vietata, ed ì daini vivono sicuri con l'altra selvaggina, ma sconsigliano le j gite cartelli perentori: «At! tenzione, vipere ». Coloro che s'avventurano sono armati di lunghi bastoni per difendersi dal morso dei rettili. Continuiamo a salire, l'eremo si trova a 1111 metri, una quota di ristoratrice frescura in estate. Non c'è molta gente in giro e gli eremiti pare abbiano deciso di celarsi nel chiuso delle loro celle. Ma nel vialetto lastricato che taglia in due corsie le venti celle, passa alla fine mi monaco disposto a conversare un poco, a raccontarmi qualcosa dell'eremo più famoso d'Italia, forse del mondo. Venne a fondarlo da Ravenna, dov'era nato, San Romualdo, intorno al ini!). Il fondatore «Il nostro fondatore, dice il monaco, era un inquieto; ha girato tutta la penisola a fondare eremi, poi si è spostato nell'Oriente d'Europa, fondandone altri in Ungheria, Polonia, Romania ». Il mio interlocutore è un eremita giovanissimo, di Cremona, un personaggio spinoso non perché scortese, ma perché subito si arrampica su argomenti teologici di difficile comprensione. Inoltre, io non sono qui per parlare di teologia ma per cercare dì comprendere come, ancor oggi, l'eremitaggio possa esercitare un'attrazione, soprattutto sui giovani, e indurli ad abbandonare tutto per chiudersi in ima cella a condurre un'esistenza di pura contemplazione. « Qui è l'errore, dice il gioI vane eremita; viviamo una vita contemplativa, d'accor| do, ma non ci estraniamo dalla vita attiva, non ci sen| tiamo estranei al mondo ohe I è fuori dall'eremo ». Durante | la conversazione mi rendo conto che il giovane eremiì ta non si adagia sulle regole dell'ordine cui appartiene, ma le analizza e le interpreta secondo intenzioni che non saprei dire se condivise da tutti i suoi confratelli. Ho l'impressione di ascoltare uno di quei giovani cattolici integralisti, o anche extraparlamentari che, a intervalli quasi regolari, introducono la frase d'obbligo: « Noi vogliamo portare avanti un certo discorso ». Il discorso che il mio interlocutore intende portare avanti è quello dì determinate correnti cattoliche progressiste che del monachesimo, o del sacerdozio, accettano i valori essenziali, non quelli marginali, come la tonaca o il mangiare di magro. « La nostra vita, dice il giovane eremita, si regge tuttora su alcuni principi di San Benedetto, ohe rimane ancora il nostro padre spirituale, anche se riformati da San Romualdo. Il primato della parola di Dio, della preghiera liturgica, dello studio, del lavoro, dell'ospitalità sono ancora la nostra regola, ma attualizzati, resi vivi dall'uomo di oggi. San Benedetto ha dettato certe regole seguendo principi adatti agli uomini del secolo VI e San Romualdo le ha riformate adeguandole agli uomini del secolo XI. Oggi si tratta di vivere quegli stessi valori, ma adattandoli al nostro tempo. Non possiamo fare dell'archeologismo monastico ». Queste rivoluzioni ideologiche in convento sono oggi un po' alla moda, ma sono generate da un sìncero desiderio di dare un nuovo lievito al cristianesimo? A Camaldoli. ospiti nella bella foresteria, passano molte personalità della gerarchia ecclesiastica e politica. Il giorno in cui mi sono recato a Camaldoli, ara ospite dell'eremo il cardinale Michele Pellegrino, arcivescovo di Torino. Talvolta, da Roma arriva fin quassù il senatore Fanfani, ma più sovente, da Firenze, arriva Giorgio La Pira, il monaco laico che ha fatto ammattire una generazione di giornalisti. « Si trova bene con noi, dice il giovane eremita: trascorriamo insieme molte ore in preghiera ». Mi racconta che l'ex sindaco di Firenze, bene accetto anche dall'estrema sinistra, tiene un'intensa corrispondenza con tutte le comunità contemplative del mondo, soprattutto con quelle situate nell'Europa orientale, nei Paesi satelliti di Mosca. Tanti operai Per alcuni aspetti, il giovane eremita con il quale converso somiglia a La Pira, anche negli sguardi penetranti, quasi allucinati, con cui mi fissa, nella magrezza emaciata del volto, nel rapido gestire delle mani usate come succhielli per dare maggior incisività alle parole. « La riforma liturgica, dice, non c'è stata per nulla; se vogliamo insegnare la preghiera a coloro che vengono qui, anche molti operai, non possiamo mettergli in mano un breviario in latino. Ed anche il canto liturgico non può più essere quello gregoriano; altre comunità eremitiche lo conservano; noi cantiamo ir. italiano, anche se c£.rchiamo di adattare il più possibile le parole al gregoriano ». I camaldolesi non lumno paura delle riforme, anche se hanno provocato ' j I : , ; \ j : I ! ; I ì i 1 ! ■ ] ; ; ' | ; | j j | ! j I I ! I \ i ! profonde scissioni nel loro ! ordine, com'è accaduto, del resto, in altre congregazioni \ monastiche. « Il mutare del tempo e : degli uomini, dice ancora il giovane eremita, non deve indurci a mutare le idee-for- i za della comunità monasti- I ca; però noi dobbiamo essere vicini all'uomo di oggi, modernizzare le antiche idee perché egli possa compren- ì derle ed assorbirle. Noi dobbiamo essere un segno di Cristo che vive oggi, e la comunità monastica vive in quel segno. Una comunità eremitica non annuncia mai se stessa, ma l'evangelizzazione ». Tento di arrestare l'empito oratorio del mio giovane \ interlocutore proponendogli ! temi accessibili anche a un J profano di teologia come sono io. ma lo sento irrigidir- \ si. gli aspetti esteriori della vita eremitica non gli dico- 1 no nulla, si direbbe che egli j li consideri folklore religioso. Ne parla controvoglia. Qui. all'eremo, ci sono venti : celle, occupate da altrettan- I ti eremiti; c'è, quindi, un tut- \ to esaurito. « Non possiamo accettare altri novizi per ; mancanza di posti, dice; le vocazioni sono molto numerose, soprattutto fra i giovani, di varia estrazione sociale. Studenti universitari che abbandonano il mondo, ma anche molti operai ». .4 che ora incomincia la giornata dell'eremita camaldolese? « E' un aspetto mar- j ginale della nostra vita, dice. Uno non è eremita per- J che si alza nel profondo della notte. Oggi ci alziamo alle 5,30, ma domani potremmo alzarci alle tre. Magari si sta svegli gran parte della notte, però durante il giorno si ha sonno e non c'è resa nell'attività. Un tempo ci si alzava presto perché le vocazioni erano fornite da giovani del mondo rurale abituati ad alzarsi di buon mat- ' tino; oggi dobbiamo tener j con'io della provenienza dei j giovani che vengono da noi, | che hanno abitudini diverse. Bisogna demitizzare questi I aspetti esteriori della vita I : eremitica, le processioni nel, la notte a lume di torce, gli ! ; eremiti che scavano le tom- j \ be per i loro morti. Abbia- i j mo un cimitero, come tutte j : le comunità, ed è compren- sibile che facciamo i becchiI ni dei nostri confratelli ». Andiamo un po' in giro a j ! visitare l'eremo; le celle so- I ; no più confortevoli di quelI le certosine, con un arredaì mento semplice, ma con | i qualche concessione al buon 1 gusto, come l'alcova in le! gno, coperta da una tenda, ■ in cui è sistemato il letto. ] C'è una stanza per lo stu; dio, una per la toeletta, un ; bel portico che sì affaccia ' sul giardino che l'eremita | coltiva con le sue mani. A questa altezza la vegetazione è più scarsa che nella Cer; tosa di Lucca, e i giardini | sono più spogli, cioè meno fioriti. Libri e codici L'inverno dev'essere molto rigido, lo testimoniano la stufa a cherosene sistemata in ogni cella e le fotografie che testimoniano di nevicate degne delle Alpi. La bij blioteca è abbastanza ben fornita, ma il meglio, prezioj si incunaboli e codici miniati di gran valore, è anda| lo disperso parte a Poppi e parte a Firenze, nel secolo scorso, quando ci fu la soppressione degli ordini monastici. Gli eremiti dispongo- I no di circa ventimila volu- \ mi. e sono sufficienti ai loro i interessi culturali. Valichiamo il cancello che delimita la clausura, oltre il quale le donne non sono am- ! messe. Possono però entrare \ nella chiesa adorna dì ope- \ re pregevoli; un bellissimo i bassorilievo di Mino da Fie- \ sole, una ceramica invetria- \ ta di Andrea Della Robbia. Sono il ricordo rinascimenta le lasciato da devoti che cercavano di aprirsi le vie del I cielo con lasciti ed opere d'arte, ma badando che si sapesse bene chi le donava, i Su quasi tutte le celle, ad esempio, ci sono stemmi ! gentilizi in marmo con le insegne delle famiglie che le hanno fatte costruire, sem- \ pre per beneficenza. Ma il giovane eremita non ha interesse per queste esteriorità, ne parla per soddisfare i la mia curiosità. Anche quando cerco dì avviare un di- \ scorso sulla clausura sento che divaga. « Che cosa vuol dire clausura? ». Risponde: ! « Potrei essere in clausura j anche in mezzo a folle enormi; il mio angolo di deserto l'ho dentro di me, e lì posso isolarmi ». E' però chiaro che la clauI sura dei camaldolesi si è di molto attenuata negli ultimi I anni. Il silenzio, l'isolamen! to, si riducono a brevi periodi del giorno. I pasti li I consumano in comune da sei \ anni nel refettorio rìcoperi to di legno adorno di pre! gevoli intagli. Escono dalle- ! remo con eerta frequen¬ \ : i I ì za per recarsi in missione, a tenere corsi di teologia, o seminari religiosi, ma tornano sempre a Camaldoli perché, come i certosini, pronunciando i voti si fissano anch'essi all'eremo o al monastero in cui entrano. A Camaldoli c'è l'eremo, quasi in cima al monte, ed il monastero, duecento metri più in basso. Anche nel monastero, fondato da San Romualdo come ospizio e o- I ; | | I I ! | ' j spedale, vìge la clausura, che però esclude solo le donne. Ma mentre nell'eremo i monaci vivono isolati, nel monastero i trenta camaldolesi che lo popolano vivono in cenobio, cioè in refettori, studi e camerate come quelle militari. Hanno maggiori contatti col mondo esterno perché il monastero è il centro spirituale, ma anche economico del piccolo paese. I frati distillano ancora le erbe, ma non vanno più a cercarle nei boschi; le comperano dai grossisti. Il commercio dev'essere piuttosto redditizio, a giudicare dai moltissimi turisti che comperavano bottiglie di elisir camaldolese nella cinquecentesca farmacia dei frati. E sì che i prezzi sono piuttosto elevati: settemila lire per una bottiglia di liquore dal colore giallastro che, credo, ha sapore di arquebuse. « L'anno scorso, mi dice il giovane eremita, abbiamo avuto in convento ottocento ospiti; è segno di un notevole risveglio spirituale ». Forse egli ha ragione, ma non bisogna trascurare il dettaglio che Camaldoli esercita anche una grande attrattiva turistica; non è da escludere, quindi, che molta spiritualità sia in effetti curiosità camuffata. Francesco Rosso

Persone citate: Andrea Della Robbia, Fanfani, Giorgio La Pira, La Pira, Michele Pellegrino