Il settore "chiede,, una ristrutturazione

Il settore "chiede,, una ristrutturazione Il settore "chiede,, una ristrutturazione La grande distribuzione è un "mostro,, immobile Uno studio della Rinascente afferma che in Italia le grandi "catene" sono messe in crisi da quelle più piccole - Gli impianti sono sfruttati poco - Il problema dei costi L'inefficienza del settore distributivo è alla base di molti mali della nostra economia. Polverizzazione dei punti di vendita, molteplici passaggi delle merci, aumento dei costi, prezzi al dettaglio quadruplicati e in alcuni casi persino decuplicati rispetto al valore d'origine dei prodotti. Il problema di una ristrutturazione s'impone. Lo hanno capito i commercianti, che, specie lo scorso anno di fronte ad una contrazione dei consumi, hanno sentito l'esigenza di proporsi l'associazionismo come rimedio al frazionamento e come nuovo modello di sviluppo del commercio al dettaglio con costi contenuti e prezzi al consumo più competitivi. Anche la grande distribuzione sente la necessità di studiare a fondo il problema e di proporre soluzioni. «Non ci nascondiamo — sostiene un dirigente della società Rinascente — che in Italia ci troviamo in una situazione atipica: il grosso è in realtà più debole. La grande distribuzione copre appena il 5-6 per cento dei consumi medi nazionali. I "piccoli", riuniti in tenacissime catene, sono in grado di mettere in difficoltà il colosso. Rispetto al commercio tradizionale noi siamo come strangolati: difficoltà di ubicazione nelle grandi città fi centri storici, dove di solito si trovano i grandi magazzini, sono congestionati dal traffico, privi di parcheggi e spesso tappe della prima immigrazione); mancanza di capacità di adattamento alle reali esigenze socioeconomiche per la lentezza con cui sono concesse le licenze (questo fa della grande distribuzione un mostro immobile, un perenne grande ammalato); impossibilità di sfruttare al massimo gli impianti a causa del regime vincolistico degli orari d'apertura al quale siamo costretti». L'incidenza del costo del lavoro sulle vendite della grande distribuzione ha assunto un peso sempre più gravoso. «In sei anni — dicono alla Rinascente — ha sfiorato un aumento del 145 per cento. Razionalizzare gli organici usufruendo meglio delle forze di lavoro diventa un'esigenza insoppromibile». Un confronto tra Italia e Francia è significativo: l'incidenza del costo del personale sul fatturato ha raggiunto nelle aziende italiane di supermercati il 12 per cento contro il 7,97 per cento di analoghi supermercati francesi e ha superato il 22 per cento per grandi magazzini e magazzini a prezzo unico contro il 14,36 e il 10,36 dei rispettivi punti di vendita in Francia. L'ostacolo maggiore per la grande distribuzione, secondo gli esperti, è la sua scarsa presenza sul mercato dei consumi italiani. Uno studio eseguito dalla direzione ricerca della Rinascente, «Sviluppo della distribuzione moderna e riflessi sull'occupazione e sui prezzi», esamina il caso della regione lombarda. Dopo un'analisi della situazione di mercato si giunge a questa conclusione: «Se la quota della grande distribuzione, che rispetto al commercio al dettaglio era nel '72 in Lombardia del 9.5 per cento (superiore alla media nazionale, ma molto inferiore ai valori tipici dell'Europa occidentale che si aggirano sul 30 per cento), salisse al 50 per cento, l'indice dei prezzi della grande distribuzione potrebbe scendere di quasi il 25 per cento, anche di più se si desse spazio a formule distributive più avanzate come ipermercati, shopping centers, ecc.; e l'indice dei prezzi di mercato potrebbe ridursi di circa l'S-12 per cento rispetto ai valori attuali, con notevole risparmio per il consumatore». Premesso che il costo di distribuzione relativo al 1972 è pari al 24,6 per cento sulle vendite nelle catene di supermercati, grandi magazzini, ecc. contro il 37,5 per cento del canale di commercio tradizionale (grossista - dettagliante; i ricercatori della Rinascente valutano in 170 miliardi (lire del '72) il risparmio annuo che si potrebbe realizzare se la quota di distribuzione moderna arrivasse al valore europeo del 30 per cento. «Sarebbe l'equivalente di una caduta dei prezzi del 4 per cento». Una piacevole sorpresa per il consumatore, se tra lo studio e la realtà non si interponessero sempre mille altre considerazioni. «Se poi la quota della grande distribuzione arrivasse al 50 per cento della rete commerciale — sostengono gli esperti della Rinascente — si raggiungerebbe un livello ottimale». Questo verrebbe provato dall'analisi della situazione lombarda. Alle condizioni attuali, quota 9,5 per cento rispetto al commercio tradizionale, la grande distribuzione assorbe il 24,6°o dei costi; in caso di espansione fino al 50 per cento della rete totale, i costi, oggi pari a 99 miliardi per la Lombardia, risulterebbero di 483 miliardi, una cifra in proporzione di gran lunga inferiore a quella attuale, cioè costi più contenuti. Rispettivamente per il commercio tradizionale i costi scenderebbero dai 1444 miliardi di oggi a 736 miliardi. Anche qui dunque un notevole contenimento. Risultato: «L'indice dei prezzi si ridurrebbe dell'S per cento». Ma una simile ristrutturazione del commercio provocherebbe effetti negativi sulla formazione del reddito e sull'occupazione? Secondo gli studiosi «la soluzio7ic del problema dipende dall'esistenza in Lombardia di condizioni sufficienti ad assicurare all'eccesso di forze di lavoro, attualmente occupate nel commercio, impieghi alternativi in altri settori carattei'izzati da una più elevata produttività». Non è un segreto che il commercio è da anni nel nostro Paese una valvola di sfo¬ go per forze di lavoro che non riescono ad essere assorbite dalle attività industriali. Né è un mistero che la grande distribuzione moderna occupa assai meno manodopera di quella tradizionale. Qui è la parte meno convincente dello studio. L'ipotesi, prospettata dopo un esame dell'evoluzione della popolazione, delle forze di lavoro e dell'occupazione in Lombardia nel periodo tra il 1967 e il '72, è: calo dell'occupazione nel commercio di 43.800 unità nell'arco del periodo dal 1972 all'80, se la quota di mercato della grande distribuzione arrivasse nel 1980 al 30 per cenj to, cioè 5480 unità l'anno; il fabbisogno netto di nuova I manodopera nei settori extraI -commerciali è valutato in \ 13.700 unità l'anno, di cui 11800 lavoratori proverrebbero dalle nuove leve e circa 4 miI la dalla contrazione del «fon' do di disoccupazione». Il guaio è — e forse gli autori dello studio non ne hanno tenuto abbastanza conto — che manca ancora nella nostra società una vera e propria qualificazione di chi lavora nel settore commerciale. Che altro può fare chi chiude negozio? Dove possono essere integrati gli anziani che spesso, non reggendo il ritmo della concorrenza, si sono visti costretti negli ultimi anni a cercare di vendere la licenza commerciale di un punto di vendita ormai improduttivo per la cattiva ubicazione, la pessima disposizione interna (poco spazio in cui si ammassano merci e mancanza quasi totale di un magazzino per le scorte), l'organizzazione di acquisti attraverso troppi passaggi, la clientela ridotta a poche decine di vecchi affezionati? Su queste maglie si è inceppato il commercio tradizionale. Simonetta Conti

Persone citate: Simonetta Conti

Luoghi citati: Europa, Francia, Italia, Lombardia