Il "colpo" dei colonnelli le paure di Costantino

Il "colpo" dei colonnelli le paure di Costantino Atene: continua il processo ai golpisti Il "colpo" dei colonnelli le paure di Costantino (Dal nostro inviato speciale) Atene, 1 agosto. Quarta udienza al processo di Atene contro il dittatore Papadopulos e i suoi diciannove compagni, quarta sfilata di generali e ammiragli — tutti in borghese, naturalmente — nell'aula dì Korydallos di fronte ai giudici del tribunale speciale. Ancora una volta essi hanno raccontato che cosa è accaduto in quell'alba nebbiosa del 21 aprile '67, la sorpresa di sentire due ufficiali inferiori battere imperiosamente alla porta di casa, l'arresto, il trasferimento d'imperio al «pentagono», rincontro con il re che non sapeva che pesci pigliare, le consultazioni affannose, l'adeguamento più o meno rapido alla nuova situazione. A tutti questi personaggi fa da sfondo un ambiente politico giunto ormai in quella lontana primavera — almeno a sentire certi testimoni — ai limiti del disfacimento. I colpi di Stato — ha detto per esempio il generale Papadatos, che allora comandava le truppe di stanza nell'Attica — sembravano volteggiare sospesi nell'aria. Nulla dì concreto, certo, ma si parlava con bella tranquillità di stato d'assedio, di interventi d'emergenza, di ricorso al sovrano. Ci furono anche inchieste e controinchieste, che venivano regolarmente insabbiate e comunque non davano alcun risultato. Il giorno prima del golpe, Canellopulos, che da allora fu premier, e il leader dell'opposizione Giorgio Papandreu avevano da poco raggiunto un accordo per smussare ogni accento polemico in vista delle elezioni, ed eventualmente dar vita ad un governo tecnico di transizione. Cinque generali si erano riuniti di propria iniziativa nella sede del comando supremo per esaminare, come ha dichiarato un teste, il modo, se un modo c'era ancora, di salvare la situazione. Si diceva che i comunisti avessero ammassato ingenti depositi di armi, si vociferava d'una imminente sollevazione a Salonicco, si accennava a misteriosi provocatori pronti ad entrare in scena sulle piazze. I cinque generali, riuniti sotto la presidenza dell'ineffabile capo di Stato maggior generale delle tre armi, Spandidakis (che alcuni indicano oggi come il supertraditore, mentre altri lo qualificano semplicemente di arrivista della prima ora), decisero di tenersi pronti ad applicare il così detto «Piano Prometeo», studiato come contromisura ad un eventuale tentativo eversivo dell'estrema sinistra, e di chiedere intanto il consenso del re o più probabilmente di esigerlo ad ogni costo. Tutto nell'ambito della Costituzione, per via d'un articolo 91 che concedeva poteri straordinari al sovrano in caso di necessità; ma è appunto questa necessità estrema che ora è contestata da tutti i testimoni non militari. La situazione era difficile, dicono i politici, ma tutt'altro che disperata, le elezioni si sarebbero potute tenere regolarmente; Canellopulos, il premier defenestrato quel mattino, non ammette neanche, su questo punto, il minimo dubbio. Ciò che emerge dall'insieme del dibattito (dopo Panadatos hanno parlato oggi l'ex comandante del secondo corpo d'armata, Manettas, e l'ex ispettore generale dell'esercito, Marantos), è che i generali superiori intendevano agire soltanto su ordine espresso, o almeno con il consenso del sovrano. Furono i colonnelli, invece, ad agire fulmineamente di contropiede. Papadopulos, Pattakos, Maarezos e compagni sono ufficiali d'una generazione più giovane dei grandi generali, provenienti dalle file della piccola borghesia, intinti d'un anticomunismo viscerale (nessuno di loro afferma di aver partecipato alla lotta armata degli anni '45-'47) e accesi di un nazionalismo estremo. Populisti, anche: non per nulla Papadopulos era chiamato dai colleghi « il nostro piccolo Nasser», niente affatto teneri nei confronti d'una monarchia che qualificano sempre come straniera. Tutti e tre gli alti ufficiali interrogati oggi dichiarano di aver consigliato al re di resistere al colpo di mano («Ma chi può controllare Pattakos e compagni? — avrebbe detto Costantino al generale Marantos —. Chi deve tenerli a freno?». «Voi, maestà, naturalmente», sarebbe stata la risposta). In realtà il sovrano non aveva già più alcun potere, non aveva truppe ai suoi ordini diretti, tutto era già finito. A suo onore si può aggiungere che respinse categoricamente il consiglio datogli da un suo aiutante, che oggi afferma dì non ricordare, di chiedere l'aiuto della VI Flotta americana. Sta di fatto che nessuno degli alti ufficiali (e questa è la nota umanamente più triste che viene in luce dai dibattiti processuali in cui si rivoltano tanti panni sporchi e sporchissimi) ebbe il coraggio, o la prontezza di spirito o la capacità, quel mattino di aprile, di reagire con la forza. Ed è emerso anche, con sufficiente chiarezza, che l'opinione pubblica, la quale pure temeva un colpo di Stato «addomesticato» da parte del sovrano, non si aspettava assolutamente un simile capovolgimento del regime. Molti parlavano d'un governo militare che sarebbe stato costituito dal re, scegliendo come «superministri» cinque generali dì brigata, per procedere a delle elezioni dentro il termine di sei-otto mesi. Nessuno pensava ad una dittatura che avrebbe messo fuori legge, praticamente, tutti gli uomini politici. E' fuori dubbio che il colpo dei colonnelli riuscì perché molti credettero, in un primo tempo, che esso fosse stato autorizzato dal sovrano e ritennero che esso non avrebbe sovvertito l'ordine costituzionale. Quando la realtà assunse il suo vero volto, con gli arresti, le epurazioni (trenta alti magistrati vennero espulsi dal Foro soltanto ad Atene), gli esili, allora fu troppo tardi. Umberto Oddone Stylianos Pattakos

Persone citate: Giorgio Papandreu, Nasser, Papadopulos, Pattakos, Umberto Oddone Stylianos Pattakos

Luoghi citati: Atene, Salonicco