Un rischio per Soares di Sandro Viola

Un rischio per Soares SCELTE E DILEMMI DEI SOCIALISTI PORTOGHESI Un rischio per Soares Passato a guidare una forte opposizione di massa, è applaudito dalle sinistre europee, ma ha perso qualsiasi possibilità di dialogo con i gruppi al potere a Lisbona - Il minaccioso commento di Carvalho Lisbona, 1 agosto. Dunque, « Mario Soares è una delle principali speranze della destra e della reazione», A dirlo non sono questa volta (e d'altra parte non lo avevano mai detto in modo così esplicito e rude) i comunicati del partito comunista: è il generale Otello Saraiva De Carvalho, il più potente dei triumviri di Lisbona. Il leader del par¬ tito socialista portoghese (38 per cento alle elezioni per la Costituente, ma oggi — secondo un sondaggio — almeno il 45 per cento) smette così d'essere un interlocutore, sia pure scomodo, del movimento militare. E' un avversario, il cuneo «della destra e della reazione » nel processo politico del Paese. Un curioso destino perso- naie, oltre che politico, comincia a pesare sull'uomo Soares. Applaudito e persino un po' viziato dalle sinistre europee, il segretario del Csp ha invece perso qualsiasi possibilità di dialogo con le sinistre portoghesi, il partito comunista, le Irange gauchistes, la corrente « goncalvista » e la corrente «militar-populista» (leader De Carvalho) dell'Mfa. Da un lato giungono le lodi e gli incoraggiamenti dei partiti socialisti e socialdemocratici, e dei pc italiano e spagnolo; dall'altro gli attacchi violentissimi della Pravda, i comunicati (con tono di bollettini di guerra) dei partito di Cunhal e dell'Intersindical, i rappels à l'ordre della 5' divisione (diretta da ufficiali « goncalvisti ») e l'accusa di De Carvalho. Sul piano personale, a I Soares sarebbe molto facile controbattere le affermazio- I ni di chi lo identifica con la destra e con la reazione. A parte Cunhal e un gruppo di altri dirigenti comunisti, nessuno dei personaggi apparsi alla ribalta di Lisbona in questi quindici mesi ha le carte in regola come lui, entrato e uscito varie volte dal carcere fascista, esiliato una prima volta da Salazar (nell'isola di Sao Tome) e la seconda volta costretto all'esilio parigino da Marcelo Caetano. Gli sarebbe facile ritorcere accuse di questo tipo, come fu facile a noi, una mattina dello scorso maggio, costringere al silenzio un ufficiale di Marina che lavora a stretto contatto col ministro delle Informazioni Jesuino Correio. L'ufficiale si stava dilungando da un bel po' su uno dei temi fissi delle componenti di sinistra dell'Mfa, e cioè l'equazione socialdemocrazia ■ capitalismo internazionale; da lì passò a definire il partito socialista portoghese come « socialdemocratico », e infine a indicare Soares come il rappresentante « degli interessi capitalistici e neocolonialisti » in quella fase del Portogallo post- salazariano. A sentire l'ufficiale parlare di neocolonialismo, decìdemmo di replicare: e allora gli raccontammo come in tutta Lisbona fosse soltanto nell'ufficio di Soares a Rua De àuro che i giornalisti stranieri potevano raccogliere, negli Anni Sessanta e nei primi Settanta, le notizie sulle atrocità dell'esercito portoghese nelle colonie africane, e i primi documenti dei movimenti di liberazione. Soares era divenuto un « neocolonialista »? Lasciavamo a chi la aveva avanzata la responsabilità dell'affermazione: la cosa certa è che non era stato un colonialista. E l'ufficiale tacque. Eppure, sul piano politico, Soares può avere oggi qualche difficoltà a respingere un'identificazione tra lui (e il suo partito) e le destre. Certo, al momento delle elezioni si vide che una parte consistente dell'elettorato socialista usciva dalle zone operaie e dai centri del bracciantato agricolo nel Stid. Ma la vittoria del psp fu quella d'una alleanza elettorale, e non d'un partito. Dietro Soares si accodarono (per fiducia nell'uomo, per calcolo) strati moderati e persino conservatori, che si riconoscevano perfettamente in un partito il cui gruppo dirigente è composto per due terzi di avvocati, e che andava conducendo una campagna elettorale molto abile, tutta fondata sulle libertà, da quella religiosa a quella di iniziativa economica. Che rivoluzione? Se questa « alleanza » finì col sentirsi già scomoda in un contesto come quello postelettorale, ormai marcato dalle nazionalizzazioni e dai discorsi sulla « transizione al socialismo », è certo che essa si trova oggi in una posizione anche più difficile. Perché i suoi principi e interessi sono in netto contrasto col passo rivoluzionario (incerto, confuso, ma rivoluzionario) del regime, e perché gli uomini del nuovo ordine hanno capito di avere nelle masse che acclamano il leader socialista la grande forza oppositrice, l'antagonista che potrebbe bloccare il progetto di trasformazione economico-sociale e insieme ricacciare l'Mfa nelle caserme. Soares « una speranza della destra e della reazione»? E' un'affermazione grave, moralmente ingiusta. Ma se ci si mette nei panni del più rivoluzionario dei triumviri (non a caso colui che ha per primo parlato di «morte dei partiti», il leader dell'Mfa guardato con più sospetto e diffidenza da Alvaro Cunhal), bisogna dire che nella battuta c'è un elemento obbiettivo. Le folle che si stanno muovendo nel centro e nel Nord del Portogallo, si muovono dietro due bandiere: ad Aveiro e a Braga hanno sfilato (prima di dare la caccia ai comunisti) dietro i gonfaloni della diocesi, e nel resto dei paesi piccoli e medi in cui si sono verificate violenze, dietro le bandiere del psp. I moti avvenuti in una ventina di località, in una decina delle quali si è giunti alla devastazione delle sedi del pc (mentre la gente gridava « abbasso i comunisti e l'Mfa»), non devono essere sottovalutati. Sotto il profilo storico, sono il primo movimento di massa con caratteri violenti che il Portogallo conosca da oltre un secolo. Bisogna rifarsi infatti, per trovare un fenomeno per molti versi equivalente, alla rivolta di « Maria da Fonte » (così chiamata da una popolana di Fonte Arcada, nel Traa-os-Montes, l'estremo Nord) che scoppiò nel 1S44. Una jacquerie sostenuta dalla vecchia nobiltà « miguelita », accesasi attorno alla proibizione di sotterrare i defunti nelle chiese, ma il cui segno politico era ben più preciso: l'opposizione al primo governo «liberale », costituzionale, di Lisbona. Le violenze Beninteso, il paragone potrebbe essere superficiale. Ma colpisce che mai, per un tempo tanto lungo (neppure alla caduta della monarchia, o all'avvento nel 1926 della dittatura militare che sarebbe sfociata nel salazarismo ), il Paese fosse stato agitato da un moto dì protesta simile all'attuale, in cui non è difficile ritrovare alcuni dei caratteri tradizionalisti, conservatori, di quel lontano episodio.' Certo, le fiamme poste alle sedi comuniste sono il risultato di tanti errori dei governi provvisori (demagogia più inefficienza), e della foga dottrinaria del pc: per fare un solo esempio, il maggiore gruppo editoriale dì Lisbona, quello del Diario de noticias, ha una stia rivista agraria in cui si leggono regolarmente (destinati a un mondo agricolo dove il 40 per cento delle «aziende» non raggiungono l'ettaro, e il 19 per cento stanno tra i quattro e i venti ettari: dun¬ que un mondo di proprietà piccola e medio-piccola) articoli di tecnici sovietici sulla « collettivizzazione che ha garantito in Urss la creazione d'una agricoltura autenticamente sviluppata ». Ma la spinta di massa, il serpeggiare della violenza in un corpo sociale per tradizione tutt'altro che violento, sono anche stavolta di segno tradizionalista e conservatore, un moto di paura di fronte al progetto di trasformazione socio-economica. E la forza politica che più o meno coscientemente, più o meno consapevole dei rischi di sbandamento a destra, sta raccogliendo tale spinta, è il partito socialista. Chi ha conosciuto Soares (col suo viso un po' gonfio, le guance cadenti che a Sulzberger hanno fatto pensare a Dumas padre) sa bene come sia assurdo pensarlo alleato — un alleato morale e culturale — della reazione. Tra l'altro, nel suo partito egli non rappresenta la linea decisamente socialdemocratica ma posizioni più avanzate: una dozzina d'anni fa era un ammiratore di Nenni, adesso guarda a Mitterrand. Ma sarebbe far torto alla sua intelligenza politica credere che Soares non si sia accorto della natura, degli umori che pervadono la mobilitazione che s'è creata dietro la sua persona e gli slogan del psp. Egli se ne rende conto pienamente. Si dirà che Soares ha poche scelte, convinto com'è che il Portogallo andrebbe — senza una forte opposizione dì massa — verso « un comunismo burocratico e repressivo » o « un socialismo della miseria », e che il grande tema delle libertà giustifica persino gli accostamenti politici più pericolosi. Ciò che sotto molti aspetti è vero. Ma la partita che gli tocca di giocare si è fatta estremamente rischiosa: essa è l'unica che i comunisti e i militari gli abbiano consentito di impostare (per loro stolidità, per i non pochi errori dello stesso Soares). ma è anche quella seguita in questo momento con più interesse da chiunque sogni una « restaurazione » in Portogallo. Sandro Viola \ Lisbona. Il leader socialista Soares, a un comizio (G. Neri)