Il malato di mente non è un "recluso,, di Edoardo Ballone

Il malato di mente non è un "recluso,, Voghera: nuovo esperimento al "neuro,, Il malato di mente non è un "recluso,, Aboliti le celle di isolamento e i letti di contenzione - Si cerca di recuperare il degente e non di escluderlo in modo definitivo (Dal nostro inviato speciale) Voghera, 31 luglio. Nell'ampia sala un grammofono lancia musica, alcune donne parlottano e sorridono sedute su un divano, in un angolo un uomo di mezza età appiccica con lo scotch sul muro disegni dai forti colori, li ha fatti lui; un ragazzotto sui venti anni, olivastro e in pigiama, s'avvicina a una signora dai capelli bianchi, la accarezza sul viso, sorride e si allontana. Siamo nel reparto sperimentale dell'ospedale neuropsichiatrico di Voghera, diretto da un anno dal prof. Gian Franco Goldwurm. E' da poco passato mezzogiorno e la refezione è appena terminata. Il professore è lì con noi e sembra soddisfatto. Ex direttore del manicomio di Trento, ha raggiunto la sonnacchiosa Voghera dove ha cominciato a sperimentare, nel locale « neuropsichiatrico », i metodi terapeutici più avanzati per il recupero dei malati mentali. I letti di contenzione sono stati aboliti, le celle d'isolamento sono scomparse, le donne sono slate ammesse a frequentare gli uomini senza più una rigida ed anacronistica separazione in locali distinti ed incomunicabili. Basaglia, una decina d'anni fa, aveva predicato il concetto del manicomio aperto dove il degente è curato e seguito con metodi umani per nulla lesivi della sua personalità. Goldwurm ha recepito questo insegnamento ma è andato oltre. Ed oggi Voghera è all'avanguardia nel delicato settore della terapia mentale. « Ormai è tramontato il "ruolo custodìalistico" della vecchia psichiatria — sottolinea il prof. Goldwurm — oggi il tradizionale manicomio non ha piti una ragione d'essere: è stato sconfitto dai tempi e dalle nuove concezioni terapeutiche. La nostra società crea stimoli che talvolta si dimostrano patogeni per molti individui. La scuola, la famiglia, la fabbrica possono diventare dei veri e propri strumenti di devianza mentale per molti soggetti deboli e instabili. Spetta a noi, ossia all'intera comunità, prevenire le eventuali situazioni anomale e sconfìggerle ». In poche parole, per il prof. Goldwurm, il malato mentale non deve più essere considerato il «pazzo» che disturba chi vuol vivere tranquillo od essere definito lo «scemo» che non provoca altro che derisione e curiosità. Il debilitato psichico è uno come noi che per un «incidente» è momentaneamente «atipico» rispetto ai comportamenti comuni di una società; e così va curato, senza drammi o inutili pietismi. Da qui l'istituzione dell'«ospedale aperto» dove il degente rimane uomo nonostante la sua mente sia obnubilata ed inferma. Il «neuro» di Voghera ha lasciato intatte le mura esterne ottocentesche ma all'interno s'è completamente rinnovato. I letti sono stati abbassati per evitare le cadute dei malati, le pareti sono state dipinte con colori vivaci, il cuoio sulle sedie ha sostituito il freddo marmo o il legno soggetto al facile deterioramento. Ma la vera rivoluzione, quella che Goldwurm ama definire «dei contenuti», sta in altro. Da circa un anno gruppi di infermieri e di medici, servendosi di pulmini messi a disposizione dalla amministrazione provinciale, vanno a fare visita ai malati nelle case. Infatti, uno dei punti più interessanti dell'esperimento vogherese è il decentramento dell'ospedale nel senso che si tende sempre meno a ricoverare i malati preferendo curarli nei propri domicili. «Ciò evita enormi traumi — spiega il prof. Goldwurm — difatti come si potrebbe reinserire un malato dopo anni di manicomio senza vedere gente dell'altro sesso, senza toccare forchette perché ritenute pericolose e costretto a passare da una stanza all'altra dietro comando? ». A Voghera, l'ospedale neuropsichiatrico ha messo a disposizione di gruppi di malati (cinque o sei) alcuni alloggi in città. In essi vivono e si sentono liberi. Una volta alla settimana o, se non è il caso, ogni quindici giorni, una équipe di sociologi, medici ed infermieri va a visitarli. E così si avviano alla guarigione senza problemi di reinserimento. Ma questa terapia domiciliare non è possibile per tutti; ci sono malati mentali che devono essere seguiti da vicino, costantemente. Per costoro c'è tuttora l'ospedalizzazione, ma è ben diversa da quella tradizionale, autoritaria e pietistica. Schizofrenici, etilisti, depressi possono usufruire liberamente del centro sociale dove c'è un bar, dove si gioca a carte, dove si balla. C'è poi un centro culturale diretto da una signorina definita «animatrice»: è suo compito organizzare cinefonim, scegliere i libri, offrire iniziative. Un malato che per venti anni si era autoisolato nella sua stanza ora scende quotidianamente in biblioteca e legge. Gabriella Gazzaniga, l'animatrice, ci assicura che questo uomo è tornato a sorridere. Infine c'è un campo sportivo con allenatore in tutta regola, un pallone, un arbitro e maglie sgargianti. E' stato organizzato un minicampionato e ad esso partecipano le squadre con giocatori selezionati in base alla loro provenienza geografica. Il prof. Goldwurm, nella sua terapia, tende infatti a raggruppare i malati a seconda dei paesi d'origine. Quelli di Mortara tra di loro, così per quelli provenienti dal Vigevanese, così per quelli del Pavese e del Vogherese. Si sentono in famiglia, parlano con la stessa cadenza e diventano amici. Il «neuro» di Voghera ospita circa mille malati provenienti dall'intera provincia di Pavia. « Sono troppi — s'affretta a rilevare Goldwurm — ed i quadri dovranno essere sfoltiti ». Ma come? Il rimedio c'è e si chiama comitato sanitario di zona. Il Csz sarà la valvola di scarico. La Lombardia è la prima regione italiana ad averli adottati e la provincia di Pavia è stata la prima a sperimentarli. Il servizio a domicilio rientra appunto nella loro attività. I comitati sanitari di zona sono composti da medici, infermieri, assistenti sociali che sono in continuo contatto con i sindacati e le forze politiche. Secondo Goldwurm, nel giro di pochi anni, in attesa di una più organica riforma sanitaria, dovrebbero sostituire il tradizionale ospedale psichiatrico. Per il momento, però, 10 coadiuvano. Con i Csz molti malati potrebbero essere seguiti a domicilio non necessitando un loro ricovero. Già si pensa di mettere su alloggi per ospitare anziani oggi spediti in manicomio dalle famiglie anche se in realtà non hanno la jattura di essere pazzi ma solo la colpa di essere vecchi. E questa popolazione senile rappresenta circa il 60 per cento dei ricoverati al «neuro» di Voghera. Sino a pochi anni fa varcare il portone di un manicomio era superare il confine della vita, mesi o anni dopo c'era la morte. Oggi le cose stanno cambiando ed 11 ricovero in manicomio sta diventando soltanto un triste «incidente» che però non preclude un completo recupero sociale. Giorni fa, nel parco del «neuro» di Voghera, è stata organizzata una faraonica «grigliata». L'ingresso era libero anche per i cittadini di Voghera. Sono accorsi a centinaia. Hanno parlato con i malati, hanno pranzato al loro fianco, si sono scambiati battute ed esperienze. A sera i vogheresi sono tornati nelle loro case in città, i malati sono risaliti nelle stanze dell'ospedale. Così, come se si fosse sciolta una compagnia di vecchi amici dopo una giornata trascorsa in baldoria. Edoardo Ballone

Persone citate: Basaglia, Gabriella Gazzaniga, Gian Franco Goldwurm