Un altro quotidiano rischia di morire
Un altro quotidiano rischia di morire Tipografi e redattori schierati contro la chiusura di "Bresciaoggi,, Un altro quotidiano rischia di morire (Dal nostro inviato speciale) Brescia, 31 luglio. A poche settimane dalla conclusione della lunga vertenza per la Gazzetta del Popolo di Torino, il mondo dell'editoria sta per essere investito da un nuovo «caso». A Brescia gli editori hanno deciso di sospendere le pubblicazioni del quotidiano locale Bresciaoggi, quindicimila copie tirate ogni giorno, oltre ottomila vendute. Dopo averlo sostenuto per sedici mesi (era nato nella primavera dello scorso anno come voce alternativa al moderatissimo Giornale di Brescia), dopo avere sborsato oltre un miliardo per lanciarlo, in un mercato quieto e scontroso, diffidente verso le novità, i fi nanziatori del giornale hanno deciso di chiuderlo. «Si sono accorti subito dopo le elezioni — dice Giorgio Piglia, 35 anni, capocronista ed esponente del comitato di redazione — che il giornale costava troppo rispetto alle previsioni, ed hanno deciso di chiedere subito il fallimento della società editrice sospendendo le pubblicazioni. Il fatto è che un anno fa erano stati proprio loro, gli editori, a sballare i preventivi. S'erano dimenticati di mettere in conto le spese per gli stenografi, per i correttori di bozze; avevano preventivato costi di redazione con stipendi di gran lunga inferiori ai minimi previsti dal contratto di lavoro». Ora la situazione s'è fatta I difficile per i 18 giornalisti e i 55 tipografi che in un anno e mezzo hanno «creato» a Brescia ottomila nuovi lettori di j quotidiano (la nascita del nuovo giornale infatti non ha | portato via nemmeno una co i pia alla testata già esistente). Senza stipendio da due mesi, «con molti contributi previ- \ deliziali non versati», spiega : Piglia, giornalisti e tipografi, si sono avventurati sulla strada dell'autogestione. Un cammino irto di ostacoli. Hanno ripreso le pubblicazioni con un titolo a tutta pagina «Bresciaoggi non muore». Il giornale è firmato dall'Associazione stampa lombarda. Dopo la richiesta di fallimento della società editoriale la situazione ora è difficile: molte garanzie sono venute meno, la raccolta della pubblicità si presenta problematica, le riserve di carta si esauriranno presto. E c'è il problema della distribuzione: prima era curata da una società affiliata all'editrice, si occupava solo di Bresciaoggi. Dopo la decisione della proprietà di smobilitare, alla richiesta dei redattori, che volevano continuare le pubblicazioni, di proseguire nelle consegne alle edicole, i responsabili della distribuzione hanno chiesto garanzie di solvibilità personali agli stessi dipendenti. «Non potevamo accettare questa richiesta — spiega Piglia —; così oltre ai grattaca¬ pi per la confezione d'un gior-1 naie in condizioni d'emergen-1 2a ci siamo anche accollati I l'onere di portarlo alle edico- \ le. Ogni notte, finito il lavoro in redazione e in tipografia, giornalisti e operai portano con le loro auto i pacchi di ! copie nelle rivendite di Bre- \ scia e provincia». Dietro alle motivazioni eco- j nomiche che giustificano uffi-1 cialmente la richiesta di falli- \ mento ( la società ha già con-1 sumato 900 milioni e ha accu- ! mutato 350 milioni di passi 1 vo; per il '76 il deficit minac- j ciava di raggiungere i due mi-1 liardi ) vi sarebbero però ragioni politiche. Il pei a Brescia ha guadagnato il 5,5 per | cento dei voti, il psi il 2 per I cento, la de ha mantenuto gli stessi seggi, ma ha registrato un ricambio interno degli elètti, con una netta preferenza verso la destra. La linea di Bruno Boni, ex sindaco democristiano della città, ritenuta politicamente molto vicina al nuovo giornale, è uscita ridimensionata. Del piccolo terremoto politico — secondo i redattori del giornale — sarebbe stato chiamato a far le spese anche Bresciaoggi, nato alla vigilia della strage di piazza della Loggia (uscì con edizioni straordinarie continuate per due giorni, qualificando subito nettamente la sua posizione antifascista, e poi divorzista in occasione del referen dum). Il giornale, che è finanziato da un gruppo di solidi industriali bresciani (Luigi Lucchini, proprietario di diverse industrie fra cui la Whurer, Adamo Pasotti, industrialo del tondino, Evaristo Gnutti, industria metalmeccanica, Armando Becchetti, titolare d'una grossa tipografia) s'è lentamente staccato dagli iniziali protettori — dice an¬ cora Piglia — arrivando ad abbracciare un'area politica che va dai partiti di centro-sinistra al pei. «Con un quotidiano non più docile politicamente — dicono ancora alla redazione di Bresciaoggi — ma, anzi, per alcuni aspetti divenuto ingombrante, i proprietari, in particolare Lucchini, hanno cominciato ad accorgersi che il passivo di bilancio pesava, e hanno deciso di chiudere bottega nonostante si fossero impegnati a garantire le pubblicazioni per tre anni». A difendere il posto di lavoro di un centinaio di persone, ma soprattutto il patrimonio civile e ideologico rappresentato da un giornale che non vuol morire, si sono mossi in molti adesso a Brescia. E' stato creato un comitato fra i partiti, i sindacati cercano di sciogliere il nodo della distribuzione, squadre di volontari si sono affiancati a giornalisti e tipografi per distribuire la notte il giornale, una raccolta di fondi iniziata in piazza ha già consentito di raccogliere oltre mezzo milione. Comincia una lunga, faticosa trattativa. Alla Gazzetta di Torino, 130 anni di storia, un passato da prima della classe in anni non lontanissimi, hanno tirato il primo respiro dopo oltre un anno di disperanti trattative. Giorgio Battistini
Persone citate: Adamo Pasotti, Bruno Boni, Evaristo Gnutti, Giorgio Battistini, Giorgio Piglia, Lucchini, Luigi Lucchini, Piglia
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