L'abbandono della Venaria

L'abbandono della Venaria UN ITINERARIO NEL PIEMONTE DA SALVARE L'abbandono della Venaria Nel grande parco ridotto a boscaglia, i miseri resti della «piccola Versailles» sono affidati al demanio militare, che ne ha fatto caserma e deposito protetti da cani e sentinelle - Da anni si parla di restauro: è diffìcile trovare i 5 miliardi necessari La Venaria Reale durante i restauri parziali del 1961; ora la reggia, un tempo splendida, è in sfacelo (Foto «La Stampa») II cancello cadente della Venaria Reale si apre su una pozzanghera. Un temporale d'estate rovescia valanghe d'acqua sul parco ridotto a boscaglia. Nella galleria di Diana, immensa e sontuosa, la pioggia entra dai vetri rotti, dilaga sui pavimenti di marmo. Ancora acqua dai soffitti del castello sgretolato, giù dagli affreschi della grande sala di caccia, dalle finestre murate della sala delle armi. La tristezza più buia esaspera gli incubi di questa reggia in sfacelo, misero resto della piccola Versailles progettata nel 1658 dal Castellamonte per « le cacce e i piaceri » del duca Carlo Emanuele II. I soli segni di vita: poche stanze marginali utilizzate dalle associazioni dei marinai, dei fanti e dei bersaglieri. Anche la cappella di Sant'Uberto, disegnata dal Juvarra, e chissà perché finita all'autorità militare, ha le porte murate e le finestre a pezzi. L'abbandono della Venaria Reale sembra inspiegabile. Da moltissimi anni si parla inutilmente del suo restauro. Non ci sono gli ostacoli della proprietà privata, dell'acquisto o dell'esproprio; tutto appartiene allo Stato. La parte che un tempo ebbe dignità di reggia è amministrata dalla soprintendenza ai monumenti; la cappella di Sant'Uberto, la famosa « citroniera », i padiglioni di raccordo, le scuderie monumentali e il verde residuo di quel che fu un parco con trenta chilometri di circonferenza, sono nelle mani del demanio militare. Ne ha fatto caserma e deposito, con un velleitario aeroporto. Ogni sopralluogo è impedito da sentinelle, cani feroci, reti di sbarramento. Il progetto di restaurare la Venaria Reale come sede della Regione autonoma è ormai un lontano ricordo. Sem- bra in letargo il progetto di un insediamento universitario, oltre tutto discutibile. Il soprintendente ai monumenti prof. Chierici, mi dice: « E' fin troppo facile metterci sotto accusa. Ma chi dà alla soprintendenza i cinque miliardi che occorrono per il restauro? E a che serve il restauro, se non si sa che uso fare della Venaria, come mantenerla? Veda la galleria di Diana: un restauro polemico e dimostrativo già condannato dalla mancanza di manutenzione ». Chierici ha una sua idea: museo del giornalismo italiano, con centro di ricerca e di informazioni. Va subito detto che il ripristino della parte monumentale non deve restare isolato. La Venaria Reale è un fatto ambientale e culturale unico, con la parte antica della città (l'asse principale diretto al castello), il parco, la tenuta della Mandria. Giulio Einaudi, tenendo conto di questo carattere unitario, aveva proposto di creare un centro ecologico, trasferendo da Torino i musei di Scienze naturali e creando una serie di istituti di ricerca. Dovevano essere riguadagnati all'uso sociale i terreni oggi militari e la tenuta della Mandria. Vediamo per un momento cos'era la Venaria Reale. Una fastosa creazione di Carlo \ Emanuele II. amantissimo della caccia al cervo. La reggia fuori città era l'espressione tipica del potere nell'età barocca. Carlo Emanuele II, dopo aver ritirato al hanno ridotto la Venaria Reale a un fantasma. Splende la sola galleria di Diana, restaurata «polemicamente» come ho già detto. « I soli frequentatori sono i soldati del vicino campo militare. Qualche volta rompono le finestre del padiglione per prendersi una libera uscita clandestina, di notte », mi dice il vigile che ha anche funzione di custode unico. Per entrare nella galleria di Diana, o reggia di Diana, ci arrampichiamo su una scaletta di legno e passiamo da una finestra. Dai vetri di fronte lo scenario militare: un cortile asfaltato, reti metalliche, depositi, un distributore di benzina. Il castello è allo stato di rudere. La facciata non ha più una fisionomia. Al piano terreno mancano i gradini, i pavimenti hanno perduto i marmi e sono di sola terra. Pochi soffitti conservano affreschi e stucchi, visibili con fatica perché le finestre sono chiuse da mattonate. Lo scalone è crollato; saliamo al primo piano per una scaletta di servizio e restiamo bloccati: pochi tavolacci coprono le volte inferiori, dei soffitti non sono rimaste che poche travi. Che fare? Molto dipenderà dalla nuova amministrazione regionale. La Regione dovrebbe aprire un serio dibattito, con larga partecipazione dei piemontesi, uscendo dai limiti delle trattative di vertice. Lo stesso discorso va fatto per la tenuta della Mandria, quasi contigua al castello. Un'azienda agricola vastissima (2600 ettari) in origine di un solo proprietario e ora suddivisa fra diversi, ma interamente vincolata con decreto ministeriale del 31 marzo 1952. Nel caso della Mandria si era parlato di parco regionale al servizio dell'area torinese, con acquisto o esproprio da parte della Regione. A prezzo agricolo, senza tener conto delle attese speculative (nella zona dei due laghi un grande lotto è stato acquistato anni fa dalla Bonomi-Bolchini, forse non stimolata dal solo interesse per i cervi e i caprioli), si tratterebbe di qualche miliardo. La Regione Piemonte non ha compiuto il passo, dopo averlo annunciato. Riassumendo: per la tenuta della Mandria la Regione deve trovare la volontà e i quattrini necessari all'esproprio, per la Venaria Reale, che già appartiene allo Stato, mancano larghe intese sulla destinazione d'uso. La nuova amministrazione I regionale sarà subito messa i alla prova. Per ora il qua- ! dro è grigio, come quella ! giornata di pioggia della mia visita alle porte di Torino, | cosj orgogliosa delle sue memorie, ma così debole e divisa nei tentativi di conservarle come parti vitali di un tessuto sociale e culturale rinnovato. Mario Fazio Bernini l'incarico di progettare una dimora estiva a Mirafiori, acquistò un vasto podere ad Altessano Superiore, affidando l'opera al conte di Castellamonte. In tre anni il castello fu pronto. Il duca arrivava due volte la settimana, accompagnato da dame e gentiluomini, per la caccia al cervo. Probabilmente lo sfarzo era sproporzionato alle possibilità dei Savoia. Morto Carlo Emanuele nel 1675, il complesso rimase incompiuto. Il parco non assunse una forma definitiva. Nel 1693 i francesi misero a ferro e fuoco la Venaria Reale. Poi le truppe di Napoleone si accanirono ancora una volta sul castello provocando tali danni da scoraggiare la corte a farne l'uso antico. Nel 1888 un nobile piemontese, Vittorio Enrico Gianazzo di Pamparato, de¬ dico a « sua maestà la regi- na » una storia della Venaria Reale, edita dal Paravia in cinquanta esemplari, che de- nunciava il restauro della facciata tatto « barbaramen- te » e lamentava l'abbandono della proprietà reale ormai irriconoscibile. Il cattivo uso. le distruzioni dei nazifascisti, i vandalismi, l'amministrazione militare per la sua parte,