In un'armonia delicata di ambiente, forme, colori di Marziano Bernardi

In un'armonia delicata di ambiente, forme, colori In un'armonia delicata di ambiente, forme, colori La segnalazione del lacrimevole stato in cui versa la facciata del nobile palazzo castellamontiano che per due secoli fu sede in via Po dell'Ospizio e Ospedale della Carità (ha Stampa dello scorso 15 luglio), ed il commento fattone per il nostro giornale (19 luglio) dal consigliere Dondona della scaduta amministrazione civica, hanno interessato molti lettori, i quali seguono compiaciuti l'opera in corso di ripulimento d'un certo numero di edifici torinesi piii o meno illustri, più o meno degradati dal sudiciume. Se davvero questo numero salirà a 500 nello spazio di parecchi mesi e forse di qualche anno, vai la pena di riprendere l'argomento con alcune osservazioni. Dondona ha auspicato, per la suddetta operazione, « provvedimenti urbanistici omogenei ed organici i> per via Po e piazza Vittorio; e tra questi vorremmo fosse contemplato un rigoroso controllo del municipio e della soprintendenza Belle Arti sulle ritinteggiature. E' noto che ogni città ha il suo « colore », e che quello tipico di Torino è il giallo; ma non vivace, squillante come un girasole, bensì un po' spento, attutito, quasi sfumato nel grigio delle pietre dei palazzi austeri, intonato alla luce lievemente nordica che, specie d'autunno e d'inverno, avvolge la capitale subalpina. Ed ecco che già avvertiamo qua e là, in piazza Vittorio Veneto, in piazza Castello e altrove, degli stridori di toni alquanto arlecchineschi persino nella medesima « isola ». E v'è di peggio: in via Carlo Alberto s'è voluto sottolineare con un bianco brillante modanature e cornici delle fronti gialle lodevolmente ripulite; ed è un errore che ci fa invocare, ahimè, la correzione dello smog. (A meno che non si tratti soltanto di una « preparazione » di tinta, che allora l'osservazione cadrebbe). Ma veniamo a casi singoli e a incongruenze che speriamo non rimangano tali. Piazza Bodoni sta acquistando un nitido aspetto uniforme, che dovrà però essere completato al più presto dall'in¬ dispensabile intervento sull'edificio verso ponente dove in tempi lontani si trovava la celebre tipografia Pomba. Quanto all'adiacente breve tratto porticato di via Pomba (in origine via La Marmora), il cui fondale è costituito dalla neoclassica facciata della palazzina Rossi di Montelera, creata dal giovane Alessandro Antonelli nel 1825 su precedenti disegni del Lombardi, i suoi palazzi ottocenteschi progettati verso la metà dell'Otto¬ cento dall'architetto Felice Courtial (autore del bellissimo contiguo Teatro Nazionale, poi ridotto a cinematografo) — palazzi tutti decorati da medaglioni di uomini illustri — sono stati in gran parte ritinteggiati, tranne il risvolto d'uno di essi sulla piazza, per il quale si invoca una pronta « toilette ». E' un'invocazione da ripetere in così numerosi punti di Torino, che proprio non sì saprebbe da dove comìn! dare. Dal « centro storico »? Difficile stabilire i suoi limiti, che per conto nostro vorremmo assai più estesi di quelli fissati dal piano del restauro conservativo; ma anche il comune passante, alzando gli occhi sulle tante facciate annerite di dozzine di palazzi sei-settecenteschi che costituiscono il magnifico patrimonio barocco di Torino, potrebbe indicare le necessità più urgenti di un « lavaggio ». Ci lasciamo condurre da lui davanti al solenne palazzo Graneri, via Bogino 9, sede del Circolo degli Artisti, opera di Gianfrancesco Baroncelli circa il 1683, ma di cui quasi certamente il Guarini disegnò lo splendido scalone. Ripulita a dovere, quest'antica dimora del marchese Marcantonio Graneri della Rocca, che vide adunati nel suo salone la sera del 7 settembre 1706 i vincitori della battaglia di Torino, ci riporterebbe nel pieno della più alta civiltà artistica torinese. E poiché s'è citato il Baroncelli, una buona rinfrescata all'esterno del suo capolavoro di via delle Orfane 7, il palazzo del conte Ottavio Provana di Druent, poi passato per via ereditaria ai marchesi Falletti di Barolo, valorizzerebbe il mirabile esempio di architettura barocca dell'ultimo decennio del Seicento, che nell'interno già è stata ripristinata per l'encomiabile iniziativa privata; e analogo intervento sarebbe auspicabile per il palazzo Biandrade di San Giorgio, al numero 6 della stessa via. Siamo a due passi da via Garibaldi, e forse i torinesi non sanno tra quali incantevoli quinte, oggi così offuscate che nemmeno si possono apprezzare le facciate settecentesche ai numeri 23 e 33 disegnate da architetti insigni come il Gallo e il Martinez, si prospettasse il lungo rettilineo della contrada Dora Grossa. Chi voglia farsene un'idea ricorra alla squisita tempera (Galleria civica d'arte moderna) dipinta da Carlo Bossoli nel 1847 per rappresentare la processione del Corpus Domini. Allora i torinesi erano orgogliosi della bellezza cittadina: un sentimento tramontato. Che lo sia ne abbiamo prove ad ogni passo. Non diremo che la fronte del palazzo Birago di Borgaro. poi Dalla Valle e adesso Calvi di Bergolo, al numero 16 di via Carlo Alberto, una delle più raffinate costruzioni (1716) di Filippo Javarra giunto da due anni a Torino, sia deperita; è semplicemente sporca; e se all'edificio si « lavasse la faccia » meglio si godrebbe l'impeccabile ritmo delle finestre alternate a lunette e timpani triangolari, la sobrietà dell'armonioso portale che sulle colonne regge la loggia. E per finire, si può vedere qualcosa di più lercio della facciata, sulla piazza Carlina (la piazza Carlo Emanuele II che Amedeo di Castellamonte aveva disegnato con pianta ottagonale, ma che Madama Reale fece ridurre a quattro lati) del palazzo già Coardi di Carpeneto, rielaborato nel Settecento dal Bonvicino? La facciata verso via Maria Vittoria, con l'elegante atrio del numero 26, è stata ripulita e nuovamente tinteggiata. Occorre eliminare subito la orrenda stonatura. Marziano Bernardi