La dolceria delle monache di Francesco Rosso

La dolceria delle monache C'È UN RITORNO AGLI ORDINI CONTEMPLATIVI La dolceria delle monache Il convento delle carmelitane di Palermo difende la clausura invalicabile d'antichi tempi - L'austerità ha sostituito la tradizione mondana anche nella sala dove escono dalla "ruota" i dolci famosi - La fanciullesca serenità delle "cappuccinelle" (Dal nostro inviato speciale) ! Palcrnio, luglio. | Nel gran sole che l'investe, il monastero stempera un poco la sua tetraggine di fortezza, sia pure della lede. I cinque piani dello sterminato edificio eretto su speroni sghembi aprono le finestre su una delle più affascinanti piazze del mondo, che in tempi andati dev'essere stata il cuore della vita religiosa palermitana: San Cataldo, con tre rosse cupo le arabe innestate su un toz- zo corpo di chiesa dai ghi rigori bizantini e. di fiatico, la Martorana, bizantino il corpo del tempio, normanno il campanile. L'una chiesa e l'altra sono sorte tra il 1140 ed il 1160; fatale che di fronte a loro sorgesse anche: un monastero. Infatti, il monastero fu fondato nel 1400, dedicato a Santa Caterina d'Alessandria d'Egitto, affidato alle Car¬ mentane, di rigidissima clau stira. Dovettero essere mal- te le monache venute a chiudersi entro questa fortezza, imprendibile se non con l'assedio, a giudicare dalla imponenza dell'edificio, dal numero delle finestre. Oggi molte di quelle finestre sono sprangate, e quelle dietro le quali s'indovina qualche segno di vita sono difese dall'esterno da invalicabili inferriate che dònno la sensazione del carcere. La doppia grata Il portoncino del monastero è aperto ed al primo piano incontro una domestica laica. Desidero parlare con la madre badessa; quella, a sentire tale richiesta, annichilisce. Tuttavia, preme un campanello ed alla monaca che intravedo dietro la grata fittissima urla in palermitano: « C'è uno che vuol parlare con la reverenda madre superiora ». Lo scatto di una serratura automatica mi dice che la porta del parlatorio s'è aperta. Entro, richiudo, e attendo. La parete di fondo del salottino addobbato con mobili di vimini è occupata interamente da una doppia, fitta, solidissima grata; la fresca penombra dell'ambiente ripaga dal caldo rovente sofferto nella piazza. Si apre una porticina e una monaca tutta bianca avanza tra il frusciare del | j j i \ saio ed il tinnire del rosario | che le cinge la vita. « Desidera? ». La voce è tagliente, gli occhi inquisitori. Non è più giovane, ha i denti irregolari guasti; rimane eretta contro lo sfondo buio con guardinga rigidità. « Vorrei parlare un po' con lei. del monastero, della vostra vita d'ogni giorno, dei vostri interessi, della clausura in genere ». La vedo chiudersi ancor più in una difesa che intende essere impenetrabile. « Siamo fuori dal mondo, non possiamo dire nulla di noi; si rivolga ai nostri superiori, a Roma ». Dopo il Concilio che ha sospeso ogni decisione sugli ordini contemplativi, pensavo che le carmelitane, I come altre monache già in- i contrate, avessero mitigato il loro concetto di clausura, invece mi trovavo di fronte ad una monaca badessa forse dilaniata dalle stesse angosce che Bernanos ha affrontato nel Dialogo delle Carmelitane; una vita intera trascorsa « nel deserto » | e la prospettiva di tornare forzatamente al mondo volontariamente fuggito. Insisto per avere almeno qualche dettaglio. Quan- j te monache sono rimaste? \ Trenta in tutto. C'è un chio- | stro vasto, un altro più pie- I colo, c'è un orto in cui col- ! tivano pomelie dai fiori can- ! didi che poi vendono. La \ grande chiesa rinascimentale che si affaccia anche su piazza Pretoria è soltanto una cappella per le monache. Che fate durante il giorno? Si rinchiude ancor più, come se dovesse svelare chi sa quale segreto. « Non posso rispondere, la prego, la nostra regola lo vieta ». C'è sul suo viso un'espressione tormentata, lo leggo nei suoi sguardi ora meno ! | I ! I ; inquisitori; che posso fare? j La saluto ed esco nel corridoio, sorpreso dall'atmosfera di totale chiusura che ancora si respira fra quelle mura. Lo spirito delle carmelitane è sorretto da una regola inflessibile, ma tutte le monache nascoste dietro la porta su cui è scritto « Clausura » condividono la rigidità della badessa? Ve ne sono certamente alcune ancora giovani, forse desiderose di una vita contemplativa che non le trasformi in recluse. Ma sono curiosità che non potrò appa¬ | gare. Eppure, lo so da amij ci, questo convento in temj pi nemmeno lontani è stato i il centro, e forse lo è tutto\ ra, di una vita meno claustrale. I I I I I conventi palermitani era- ] no tutti celebri per i dolci preparati dalle monache e venduti al pubblico, ma quello di Santa Caterina era il più celebre di tutti. Poi, col | con una produzione limitata. diminuire delle vocazioni, gli ì altri monasteri hanno chiù- \ so la « dolceria »; quello di ] Santa Caterina è il solo che ! continui la tradizione, però \ I i | j \ | I ! ! \ Niente più « minne di vergine », piccoli rigonfi di pa- I sta di mandorla rosea come teneri petti di fanciul- j le, né cannoli alla crema; richiedono troppo impegno, e le monache non possono I più attendere per lungo tempo al forno: sono così po- I che ormai. La « dolceria » del monastero di Santa Caterina è | un saloncino lindo e disadomo, con alcuni scranni di legno scuro, un tavolino al centro, alcune sedie. E' aper- j to tutta la mattina, un'ora i al pomeriggio, quella canonica per il tè. In tempi andati ci venivano le dame bene di Palermo, con gli accompagnatori. Cannolo, una sfoglia margherita, una conchìglia con marmellata, un panotto? Mettevano i soldi sulla ruota e la suora, dal- 1 l'altra parte della grata, tan- 1 to fitta da sfumarle i con- j notati, girava, metteva i dol- \ ci richiesti, girava di nuovo. I Nel saloncino fioriva il pet- \ tegolezzo, si rideva anche j delle monache recluse, le j dame fingevano d'invidiarle. \ si creava un'atmosfera di \ frivola mondanità, esterna al convento, ma da esso ospitata. Fra le Clarisse Mentre attendevo il mio ! turno per le paste guardavo in giro; due donne con | bambini, tre ragazze in abiI ti succinti, un giovanotto sgranocchiano golosi le loro pasterelle. Non era più l'atmosfera di monastero spagnolo come quello descritto da Zorin, col diavolo della tentazione mondana ! cfte aguzza gli occhi fin olI tre le grate, ma una qualun; que « dolceria », con quel tanto di esotico per il lai¬ j tQ che le paste sonQ p[a smate dalle dita delle monache. La ruota gira, gira incessante, e ad ogni giro entra nel saloncino, arroventato dal caldo esterno, un soffio d'aria fredda; le mura del convento respingono anche la canicola di Palermo. Esco da questa fortezza della fede e vado a cercarne un'altra, so già dove dirigere i passi; Piazza Pretoria, i fastigi ispano-barocchi dei Quattro Canti, la piazzetta splendida e fatiscente col bel monumento equestre a Carlo V. la cattedrale arabo-normanna con deformanti sovrastrutture spagnolesche. Li dietro, ancora entro i massicci bastioni aragonesi, il convento delle cappuccinelle ha conservato anch'esso l'aspetto un po' torvo di ridotto della fede. Avevo scelto questo monastero perché sede delle Clarisse, e ricordavo l'impressione provata ad Assi- i i si quando, nella chiesa di - 1 Santa Chiara, la monaca che - j faceva lo spiegone da dietro i j la grata celava anche il voi- i to dietro un impenetrabile -1 velo nero. Invece trovai tre o | ilari monache chiuse nel saio - francescano, non più giova- j nissime. ma dai volti calmi, , i distesi. Niente velo nero? -1 « No, soltanto la consorel¬ - ] la di Assisi lo fa perché si -1 trova tutto il giorno a con- ù n I a d no i e, i tatto coi turisti ». Il con- I vento è stato costruito nel 1717 da padre Angelico da Erice. morto in odore di santità; mi racconta: la nostra esistenza è quieta; non c'è più separazione in madri e in converse, siamo una commuta unica. Descrivono il loro chiostro, con portici a sesto acuto, il giardino fiorito, la fon- ! ianella che chioccola. Rac- i contano della loro povertà, j davvero francescana. Vorrei \ conoscere il loro nome. o « Che importa; siamo delle i. en- ; c- ! rti, ni- i, oen ro, oa, e, a : r io ». pellegrine, ce ne andremo come siamo venute ». Ma la badessa me lo dice alfine. Suor Maria degli Angeli; lei ed un'altra consorella vengono da Testona. vicino a Torino, ma sono entrambe di Olgiate, in provincia di Como. E' una conversazione serena, senza malizia da parte di nessuno, forse con più candore da parte loro, specie quando raccontano di come trascorrono le ore della giornata. Ventiquattro ore sempre insieme, in chiesa, a pranzo e cena, a pregare nei laboratori e nell'orto (non l'hanno detto esplicitamente, ma ho capito che allevano galline e vendono o uova), dopo un po' di anni i l non possono diventare intollerabili? « Si inganna, noi sappiamo anche svagarci, trovare la nostra gioia, non creda che siamo sempre as- I sorte in preghiera, anche questo mondo ci interessa. Lavoriamo, facciamo eserci- I zi ginnastici, corriamo; io I faccio anche qualche salto ». I E la monaca, ridendo, ac- ] cenno ad un gesto che vorrebbe essere un salto, Ma in quest'epoca tecno- logica, lo hanno dichiarato anche numerosi teologi, la clausura non è anacronisti- ì ca? « Lo sappiamo che di \ noi dicono che siamo inuti] li, ma non è vero. Non de! ve credere che la suora, gio\ vane o meno, si chiuda in I j I I | j i clausura perché delusa dal mondo; no, è una scelta volontaria, e per questo la vita contemplativa ha ancora valore anche nel 1975 ». Sono in vena di conversazione, ma tutto avviene ordinatamente, come se fossero abituate ad un dialogo sorvegliato da un regista. Mi parlano -dei loro lavori; pittura, ricamo, copisteria, copie fotostatiche, restauri di opere d'arte. « La madre vicaria — dice la badessa indicando la terza, fragile suorina, napoletana —, è specializzata nel restauro delle antiche statue di cera ». Entrata anche lei nel giro della conversazione, la madre vicaria mi racconta 1 anni. 1 « La scultura in cera ha j avuto una grande fioritura \ nel secolo scorso qui a Pa I lermo — dice la madre vi \ caria —. Molte cose sono j state guastate dal tempo, j me le portano e io glie le \ riparo». Riprende il discor \ so l'altra madre di Olgiate. « Mi creda, la gioia non manca in convento; le nostre ricreazioni sono ingenue, fan- di vie crucis, presepi, scene di santi, scene di miracoli che le sue dita sottili hanno riparato dai guasti degli ciullesche se vuole, ma pu- re, e intense ». Da quanti anni è in convento, quale ti- tolo di studio ha? « Sono in convento da trent'anni, ci sono entrata dopo la laurea iti lettere ». Si sta bene a conversare con queste monache tanto diverse dalle carmelitane incontrate prima. « Oggi anche noi — dice la badessa — abbiamo le ferie ». E dove le trascorrete? « Qui, in convento. Una settimana senza lavoro, con un ritmo più lento nella preghiera, ognuna libera di fare ciò che desidera. E' la nostra "settimana di deserto " in cui possiamo restare sole con noi stesse ». « E ci sono meno campanelle — aggiunge l'altra monaca di Olgiate — dormiamo un po' di più, e ci fa bene perché, nonostante tutto, alzarsi alle tre del mattino è piuttosto duro. Io non mi sono ancora abituata dopo trent'anni ». Da una finestra aperta si vedono le gialle guglie moresche della cattedrale stingersi nel cielo bianco di calura. La monaca di Olgiate intuisce il mio pensiero e, sorridendo, dice: « Quando è così caldo, la sera mangiamo in giardino, attorno alla fontanella che dà frescura. Eppoi saliamo sull'altana del monastero, da dove possiamo guardare il mare; è così bello al tramonto verso Monte Pellegrino ». Francesco Rosso

Persone citate: Bernanos, Martorana, Quan, Zorin

Luoghi citati: Alessandria, Assisi, Como, Egitto, Erice, Palermo, Roma, San Cataldo, Torino