Con quattro miliardi di dollari

Con quattro miliardi di dollari Con quattro miliardi di dollari Solo se i Paesi ricchi aumenteranno di questa cifra gli stanziamenti d'emergenza, i più poveri potranno sopravvivere Dar da mangiare agli affamati è opera di misericordia: nessun dabben uomo lascerebbe morire di fame un proprio simile se potesse soccorrerlo. Eppure taluni oggi si chiedono se sia moralmente giustificato inviare cibo a Paesi in cui la produzione alimentare non è né potrà divenire sufficiente a soddisfare il fabbisogno. Si ragiona così: se un Paese è | già oggi sovraflollato, affamato, con tasso di riproduzione elevato e con terreni troppo limitati per poter riuscire — anche con le più raffinate tecnologie — a sfamare i propri cittadini; se popoli ricchi, seguendo istinti umanitari, son oggi pronti ad inviare parte della loro produzione alimentare agli affamati; se la situazione è cronica, nel senso che non si intravede la possibilità, neppure remota, che il Paese affamato divenga autosufficiente; dal momento che l'aiuto esterno non potrà continuare indefinitamente ed in misura sempre crescente, è meglio interrompere fin d'ora il soccorso poiché altrimenti il numero dei morituri per fame aumenterà invece di diminuire. Abolire gli sprechi Il biologo americano Garrett Hardin ha lanciato il concetto dell'« etica della scialuppa di salvataggio »: poiché il pianeta non può sopportare il carico della popolazione umana che raddoppia ogni 25 anni e finirebbe con il distruggere ogni possibilità di sopravvivenza della nostra specie e delle altre, conviene lasciar morire subito chi non è autosufficiente. Altri parlano della necessità di adottare al livello dei popoli più poveri il procedimento del triage, inventato per i feriti dai medici alleati sui sanguinosi campi di battaglia di Verdun, nella prima guerra mondiale. Allora i feriti vennero suddivisi in tre gruppi: quelli così gravemente colpiti da dover considerare come perduti anche con eroici trattamenti; quelli che probabilmente se la sarebbero cavata anche senza cure; quelli che avrebbero potuto sopravvivere soltanto se prontamente curati. Data la scarsità di attrezzature e di personale sanitario sul campo di battaglia, i medici si occuparono solamente del terzo gruppo: questo era il triage, che consentiva l'impiego più efficace delle limitate risorse. Diversi studiosi, altrimenti rispettabili, sostengono che oggi si debba compiere un triage a livello di nazioni — per quanto crudele possa sembrare a prima vista — lasciando perire quelle con elevati tassi di natalità e bassa produzione di cibo, al fine di consentire la sopravvivenza dei più fortunati. L'analista di sistemi Dale Runge ha addirittura \ sottoposto a trattamento matematico la immoralità di certi programmi di aiuto alimentare! (Chi ne vuol sapere di più veda l'Annuario Scienza e Tecnica - 75 di Mondadori). Sono state mosse numerose critiche alle orrende tesi dell'« etica della scialuppa di salvataggio » e del triage. Non è vero che vi siano popoli che non possono più venir salvati; non è vero che la Terra non sappia produrre cibo sufficiente per la crescente popolazione umana, e soprattutto non è vero che nazioni intere possano «morire », come un individuo dissanguato o annegato, e che quindi cessino di costituire un « problema » per il resto del mondo. Il fatto è piuttosto — continuano i critici — che i ricchi non si trovano oggi su di una sicura barca che essi possano governare da soli; la barca naviga su mare tempestoso, zeppo di « pescicani » pericolosissimi: guerra, violenza, collasso economico. La sopravvivenza collettiva sarà resa possibile da un nuovo atteggiamento di sincera collaborazione fra tutti: i poveri dovranno smettere di utilizzare la loro prolificità come arma di ricatto e porre sotto stretto controllo la natalità; i ricchi dovranno spartire con gli altri i loro beni e moderare la loro smania di potenza e possesso. Tutti dovranno smettere di sprecare immense ricchezze negli armamenti. Fortunatamente non tutti sono così pessimisti da giustificare una condanna a morte di centinaia di milioni di esseri umani, decretata da chi ha la pancia piena. / più diseredati Neil' articolo precedente abbiamo esaminato i termini concreti del problema della fame nel mondo, che permane gravissimo. Una pubblicazione uscita in questi giorni ha identificato 42 Paesi, con una popolazione complessiva pari a un miliardo — il « Quarto Mondo » dei più diseredati — i quali sono sopravvissuti al 1974, ma sono cosi gravemente colpiti dall'inflazione e dall'aumento dei prezzi delle derrate alimentari sui mercati mondiali che la loro precaria situazione economica è destinata a peggiorare ulteriormente. Solo se i più ricchi metteranno a loro disposizione quattro miliardi di dollari in più che negli anni scorsi, i più poveri potranno sopravvivere. Un esperto di produzione agricola, oggi investito di importanti responsabilità come vicepresidente del Consiglio Mondiale per il Cibo — il pakistano Sartaj Aziz — è convinto che nei prossimi venticinque anni la situazione dei Paesi in via di sviluppo possa migliorare fino al punto di raggiungere l'autosufficienza alimentare. Per raggiungere questa meta occorrerà che i popoli ricchi diminuiscano i loro sprechi, investire grosse somme per 10 sviluppo rurale dei Paesi in via di sviluppo, i quali forse dovrebbero seguire l'esperienza della Cina Popolare. D'altra parte, la « sceneggiatura » sui prossimi cinquantanni dell'Asia Meridionale e Sudorientale (dall'Afghanistan all'Indonesia), delineata da Mesarovic e Pestel nel secondo rapporto al Club di Roma (Strategie per sopravvivere), pur considerando possibile la morte di mezzo miliardo di bimbi in quella regione, identifica una ed una sola soluzione alla situazione alimentare mondiale. Essa richiede: 1) un approccio globale al problema; 2) un aiuto in investimenti anziché in beni, salvo che per le derrate alimentari; 3) uno sviluppo economico equilibrato per tutte le regioni; 4) una politica demografica efficace; 5) una diversificazione su scala mondiale dell'industria, che crei un sistema economico realmente globale. Si tratta certamente di interessanti enunciazioni. Ma come arrivare ad attuare i cinque punti se l'umanità sembra sempre più dedita al ricatto ed alla violenza? 11 Premio Nobel per la fisiologia A. V. Hill ha posto anni or sono la domanda: « Se i principi etici ci impediscono di fare del male sia pur esso a fin di bene, siamo noi giustificati a fare del bene se le prevedibili conseguenze della nostra azione sono nocive? ». Questo il tragico dilemma di fronte al quale si trova l'uomo moderno da quando ha saputo raggiungere un largo controllo sulla morte, specialmente in età infantile. A. Buzzati Traverso IL DRAMMA DELLA FAME NEL MONDO: DI CHI E LA COLPA?

Persone citate: Buzzati Traverso, Dale Runge, Garrett Hardin, Quarto Mondo, Sartaj Aziz

Luoghi citati: Afghanistan, Asia Meridionale, Cina, Indonesia, Mondadori, Roma, Verdun