Mafia: sete a Palermo di Francesco Rosso

Mafia: sete a Palermo LA TERRIBILE ESTATE DI 700 MILA CITTADINI Mafia: sete a Palermo In molte case non è possibile lavarsi né bere - Eppure la città ha abbondanti riserve idriche: una diga da anni inutilizzata e pozzi trascurati per inerzia e più per connivenze con piccoli e grandi interessi privati (Dnl nostro inviato speciale) Palermo, luglio. Le barricate stradali potrebbero essere il simbolo di Palermo tanto sono Ire- quenti. Ma che cosa otten- I gono questi poveri diavoli, donne, fanciulli e vecchi in maggioranza? Qualche fotografia stampata sui giornali e alcune frasi, un po' retoriche, di solidarietà. Eppure, stanno li sotto il sole rovente, immersi in una canicola da delirio, reggendo cartelli con scritte che invocano « acqua, acqua ». Se non avessero quei cartelli non si saprebbe nemmeno il motivo della loro protesta: il caldo feroce, ed anche la sete, gli tolgono nonché la voglia di gridare, anche la parola. E' possibile che una città di oltre settecentomila abitanti sia lasciata pressoché senz'acqua con una temperatura che in certe ore sfiora i trentotto all'ombra, senza tentar di fare qualcosa per mitigare gli effetti tremendi della sete e dell'igiene? Il prefetto fa quello che può, ogni tanto requisisce alcuni pozzi, che però non riescono nemmeno a dare sollievo momentaneo a qualche palermitano. Per risolvere il problema occorrono, anzi, occorrevano, decisioni radicali: oggi, a Palermo, hanno solo il conforto di protestare, di mostrare le labbra riarse, di imprecare per quanto non è stato fatto. Quanto sto scrivendo non sono esagerazioni. Ho amici a Palermo che sono andati ad abitare in albergo perché nel loro appartamento non avevano acqua da giorni, e non potevano nemmeno accontentarsi dell'acqua minerale, carissima; come si lavano i piatti, i bicchieri, come si ripulisce il no, hanno l'autoclave ed un po' di riserva riescono a farsela: ma le centinaia di migliaia di palermitani che non possono andare in albergo, perché non hanno soldi, ed anche perché non troverebbero posto, che devono fare per togliersi la sete, se non per lavarsi? E' una situazione che si ripete da anni. Ad ogni estate la sete palermitana riesplode e, per estinguerla, sacerdoti di ogni gerarchia invitano a baJin°LGli..alber?hi: a\me pregare secondo il dettame della pagina 721 del messale, che contiene la formula adatta per chiedere la pioggia. Malcostume Mi informo in giro per conoscere le cause del disservizio idrico e le risposte sono sempre le stesse: indifferenza ai bisogni della città, malcostume nell'amministrazione, connivenza con interessi privati. Perché l'acqua per Palermo ci sarebbe, ed abbondantissima, solo che si volesse utilizzarla. E' mancata da anni, questa volontà politica, e se qualcuno parla di « mafia dell'acqua » non c'è da stupirsi. C'è chi ingrassa con la sete dei palermitani, e vuole che l'acqua della diga sul fiume Jato rimanga dov'è, a riflettere il cielo di arido azzurro, e qualche pigro cirro restio a sciogliersi in pioggia. La storia di questa diga è esemplare di una certa Sicilia che prospera col malcostume e la rapina legalizzata. Già per costruirla le lotte furono strenue, con « avvertimenti » anche sanguinosi, ed uno sciopero della fame di Danilo Dolci e della sua Comune di Partìnico che per poco non finì in tragedia. Questo accadeva intorno al 1966, dieci anni fa. Poi la diga, nel 1969, si fece, anche se i proprietari dei pozzi che fornivano l'acqua agli agrumeti, e che temevano di perdere i guadagni ingenti, avevano tentato di tutto per arrestare i lavori. Fatta la diga, trovato l'in- I ganno; ed accadde qualcosa I di simile a ciò che e accaI duto in Puglia, dove la diga ! di Occhito contiene 120 milioni di metri cubi d'acqua inutile, perché le tubazioni per l'irrigazione non sono state fatte. Anche per lo Jato si tratta solo di imprevidenza? Qualcuno vorrebbe che si parlasse solo di leg gerezza amministrativa, di lentezze burocratiche, di competenze in contrasto; ma certe manovre lasciano supporre ben altre inten- zioni La diga, dunque, è li da almeno sei anni, con l'acqua che dovrebbe servire per la sete e la pulizia dei palermitani e per l'irrigazione degli agrumeti e degli orti, e che rimane dov'è. Tra l'Esa, Ente sviluppo agricolo che ha costruito la diga coi soldi della Cassa per il Mezzogiorno, e l'Amap. Azienda municipale acquedotto palermitano, sorse un contrasto, non si sa quanto artificiale; l'Ac- quedotto palermitano chiedeva 28 milioni di metri cubi l'anno della diga dello Jato. l'Ente agricolo rispoj se che la diga era stata co' struita per l'irrigazione, non | per far bere i palermitani. j Incomincia un carteggio che, col servizio postale che ci j ritroviamo, fa girare le pratiche da Roma a Palermo . corz una lentezza incredibile. Passano quattro anni prima che il ministero dei La; vori pubblici decida final' mente la questione; l'Acquedotto di Palermo ha dirit! to ai suoi ventotto milioni di metri cubi d'acqua l'anno. L'Ente agricolo si rasI segna e fa costruire gli imi pianti per la presa d'acqua nella diga, con cinque chi■■ lometri di tubazioni di un diametro di quasi due mei tri. L'Acquedotto palermìta' no non ha mosso un dito. né preparato un progetto i per allacciarsi alla diga. Sotto la spinta dell'opinione pubblica e dell'opposizione quest'anno, finalmente, ha ! Presentato un progetto di I massima, che per essere rea- I Uzzato richiederà ancora ! tempi lunghi, benché la Cas- i I sa Per ll Mezzogiorno ab- ■ 0la Sia stanziato i cinque miliardi necessari 1 borghi alle soglie di Paler1 mo. due intraprendenti im- Tutto per inerzia, incapacità, imprevidenza? Comunque stiano le cose, si tratta di colpevole incapacità e imprevidenza; ma c'è un aspetto della questione che lascia perplessi: la « mafia dell'acqua » torna puntualmente a succhiare soldi puntando sulla sete dei palermitani e degli agrumeti. A Palermo l'acqua non manca, ne cresce addirittura, tanto che potrebbero venderla. Infatti, c'è chi la estrae e la vende, quasi a peso d'oro. Perforare pozzi dovrebbe essere compito dei tecnici del Comune, o della Regione; invece chi individua una falda d'acqua in un suo terreno, può dire dì'aver scoperto un filone aurifero. Spenderà parecchio per la perforazione del pozzo, ma l'acqua che estrae lo compensa di ogni spesa, ed i milioni sborsati si rivelano un investimento vantaggiosissimo. Chi ha bisogno d'acqua, ed in estate a Palermo se ne consumerebbe moltissima, non sta a badare al prezzo. Gli chiedono 15 mila lire per una botte da diecimila litri? sborsa e tace; se protesta, la prossima volta non avrà nemmeno quella. Tanto, gli aspiranti compratori non mancano. Acqua rubata A Carini e Terraini, due presari d'acqua hanno addirittura costruito il loro acquedotto personale e servono d'acqua coloro che la ro¬ j gliono attraverso condutture ; volanti. Naturalmente l'ac ; qua costa di più di quella 1 venduta a botti per uso agri j colo. C'è chi. con incredibì, le sfrontata intraprendenza. si è impossessato di pozzi municipali e vende l'acqua a suo profitto. Fa venire in mente le telefonate trans- 1 oceaniche effettuate dal cimitero di Messina da solerti impiegati municipali che avevano parenti a New York. Con la sete che si ritrova puntualmente a soffrire ogni estate. Palermo è disposta a tutto, anche a subire i ricatti dei disonesti, a strapagare la poca acqua che riesce a trovare dai clandestini ima non troppo) perforatori di pozzi. Se i palermitani hanno sete, e se la mancanza d'acqua può provocare temibili epidemie, i contadini sono, in un certo modo, ancor più angosciati perché alla loro sete personale si aggiunge quella dei loro agrumeti. In luglio e agosto c'è la maturazione dei verdelli, gli speciali e ricercati limoni estivi, ottenuti con sistemi particolari che richiedono irrigazioni massicce. L'acqua dello Jato rimane dov'è; dunque bisogna ricorrere allo strozzinaggio dei pozzi privati che la forniscono secondo misurazioni ancora medioevali, che si chiamano « zappa ». Undici litri d'acqua al secondo per un'ora: costo settemila lire a zappa; l'anno scorso la stessa misura costava la metà. Inoltre, il contadino che acquista l'acqua non ha la possibilità di controllare che nel suo agrumeto gli arrivi tutto il dovuto; chi specula sulla sete sa trarre guadagno anche dando molto meno del pat- tuito, e se il contadino protesta, il suo prossimo turno salta ed i suoi verdelli finiscono per sembrare strozzati già sulla pianta. I "padrini" E' possibile che costoro si lascino scavalcare senza reagire dall'acqua a buon mercato, se non gratuita, della diga dello Jato? Sono ricchi, hanno buone amicizie, sanno muoversi, al punto che alcuni si sono appropriati di pozzi municipali e vendono all'acquedotto l'acqua di proprietà del Comune. Un pozzo requisito l'altro giorno dal prefetto, il pozzo di Scalea, era in queste condizioni, diciamo un po' anomale. Come scusante al disservizio idrico, i tecnici dell'Acquedotto sostengono che la rete di distribuzione, vecchia e malandata, si è ridotta ad un colabrodo e che almeno il quaranta per cento dell'acqua immessa nei tubi si disperde nel terreno. E' una cifra impressionante, ma lascia increduli molti esponenti di partiti che ad ogni estate si fanno avanti per protestare ed esporre progetti subito dimenticati con le prime piogge autunnali. Nel luglio dell'anno scorso l'Acquedotto erogava 2700 litri d'acqua al secondo; quest'anno i litri-secondo sono scesi, a quanto dicono i tecnici, a 1800. Un quaranta per cento in meno e siamo a 1300 litri-secondo. Non c'è da meravigliarsi che a turno, se non tutti insieme, molti quartieri di Palermo non abbiano acqua per molti giorni consecutivi. Ma sono poi davvero tanti i litri d'acqua immessi nelle tubazioni? Se tanta se ne perde nel terreno, si dovrebbe vedere qualche tubo esploso, qualche allagamento; invece, anche il suolo della città è arido come le gole dei palermitani, costretti a comperare l'acqua alla borsa nera anche per quel poco di igiene di cui ogni individuo ha bisogno, e che i rubinetti non forniscono. E pensare che Palermo galleggia su un oceano d'acqua che, razionalmente usa¬ ta, avrebbe potuto risolvere i problemi idrici della città senza bisogno della diga sullo Jato. Al tempo degli arabi e dei normanni, Palermo era celebrata per i suoi giardini di delizie, i parchi, le foreste: il nome di « Conca d'oro » non era davvero usurpato. Oggi le va bene se, letta la pagina 721 del messale, il buon Dio le manda un po' dì pioggia, visto che l'Acquedotto si è davvero fatto trappista. Francesco Rosso (A pagina 7 altri servizi dalle altre città senz'acqua).

Persone citate: Danilo Dolci, Mila Cittadini