Intervista a uno dei capi dell'Età nella clandestinità di Mimmo Candito

Intervista a uno dei capi dell'Età nella clandestinità Intervista a uno dei capi dell'Età nella clandestinità La guerriglia nei Pirenei La lotta contro la Spagna per l'indipendenza del «Paese basco» - Una «strategia all'irlandese» sul fronte militare e sul fronte politico -1 contrasti con il partito comunista e le forze moderate, che condannano la violenza • Il futuro in uno Stato spagnolo democratico: lo Statuto di autonomia e l'autodeterminazione (Dal nostro inviato speciale) Bilbao, luglio. Nella notte tra martedì e mercoledì, un prigioniero della brigada politica deve aver ceduto alla violenza della tortura. E una rete è scattata. Poco dopo l'alba, nel cuore della città vecchia, ma anche in alcuni paesi della lontana periferia — Plencia, Bermeo, Lejona, fino a Ondàrroa sui piedi dei Pirenei — ventinove «sovversivi dell'Età» sono stati arrestati; tra loro, un prete e cinque donne. Contemporaneamente, a San Sebastiàn, 80 chilometri da qui, sulla strada per la Francia, dieci ragazzi e quattro ragazze sono passati dal sonno al carcere; hanno dai diciassette ai vent'anni. Sono cinquanta nuovi prigionieri da interrogare, probabilmente la tortura non risparmierà nemmeno loro. Nel Pais Vasco la «guerra» continua a fare le sue vittime; quindici morti dall'inizio dell'anno, centinaia di prigionieri. Il nemico è sempre l'Età. Età è una sigla basca, vuol dire Euzkadi Ta Azkatesuna: Paese basco e libertà. Ma vuol dire anche lotta armata, la scelta della guerriglia — urbana e di campo — contro 10 Stato spagnolo. Un migliaio d'uomini, la maggior parte giovani, con una doppia vita e la regola della clandestinità; attorno a loro — «come per il pesce nell'acqua» — la solidarietà o almeno il silenzio della gente. La storia dell'Età è breve, ma segna con la sua azione i caratteri del neonazionalismo basco. «Si può anche dissentire dalla sua strategia — ci dice un intellettuale bilbaino, in esilio a Biarritz — ma se oggi 11 dibattito politico all'interno dello Stato spagnolo affronta come un unico problema la costruzione d'una società democratica e il rispetto dell'autodeterminazione per baschi, catalani e galiziani, questo è merito della lotta spietata dell'Età ». Il nazionalismo ufficiale, fino agli Anni Cinquanta, era rappresentato dal governo basco in esilio a Parigi: una coalizione di vari gruppi egemonizzata dal Pnb, moderato, cattolico. Una struttura politica ormai senza capacità d'incidere nella realtà d'oltreconfine e legata solo ai ricordi d'un breve esperimento d'autonomia. L'insofferenza d'alcuni giovani intellettuali e di pochi quadri operai porta — dopo un lungo contrasto — alla scissione: è il 1959, nasce l'Età. Il programma è una generica «nazione basca socialista»; metodo di lotta, l'azione diretta. L'Età nasce sul modello d'una rivoluzione non marxista — qual è quella cubana del 1959 — ma il dibattito al suo interno si svolge con molta intensità, influenzato via via dalla lotta per l'indipendenza algerina, dalla resistenza vietcong, dalla teorizzazione maoista. In quindici anni, il modello terzomondista e anticoloniale diventerà un progetto di «società indipendente e socialista». La radicalizzazione dell'ideologia porta a numerose crisi interne, e alla scissione. La stessa metodologia della lotta armata provoca una frattura continua tra l'ala militare — insistentemente impegnata alla ricerca d'una clandestinità assoluta — e gli altri militanti, volti a un lavoro di penetrazione e propaganda. Il dibattito continua ancora, evidentemente influenzato dalle analisi e dai contrasti di tutti questi anni nel movimento marxista occidentale. Il suo interesse — e la sua «specificità» — derivano dal fatto che l'Età deve confrontarsi oggi con una situazione politica in forte evoluzione. Il cambio del regime non appare lontano; comunisti e gruppi «cinesi» conquistano l'adesione del proletariato operaio, il Pnb tenta di riproporsi come rappresentante delle forze moderate. Di fronte a un progetto d'evoluzione democratica, una lotta partigiana non rischia l'isolamento delle Brigate rosse italiane, per esempio, o del BaaderMeinhof tedesco? «Con tanti anni di lotta, il popolo basco ha imparato a j vedere in noi le sue aspirazioni a una patria libera e giusta». E' la risposta — comune, anche se in tempi diversi — d'un capo dell'Età e d'un guerrillero, «contattati» a San Sebastiàn e Hendaye, non lontano dalla frontiera. Chi siano, i loro nomi, le facce, le storie personali — resta nel silenzio della clandestinità. Ciò che si può riferire — oltre all'analisi politica ch'essi fanno della «guerra basca» — è un'impressione; hanno una forte tensione, che si scarica solo dopo molto tempo, nella ricerca della chiarezza espositiva. Non appare paura, i controlli sono stati attenti; è qualcosa legato, forse, alle condizioni della loro lotta e della doppia vita. Una sorta di sensibilità accentuata. «La lotta armata è una necessità: è l'unica risposta al terrorismo del potere, e ha costretto lo Stato a rivelarsi, nella repressione, per ciò che è — una forza d'occupazione, nAtslaf(ictdcprcdpfvcunac nemica del popolo basco». I Anche se gli altri gruppi poli- tici condannano questa anali-1 si e la logica della violenza l'Età mostra d'aver ragione almeno in un punto: nella frattura totale che s'è creata (specie con la legge marziale in vigore in Vizcaya e Guipuzcoa) tra popolazione e istituto dello Stato, rappresentato dalle sue forze di polizia. Ma l'Età non può illudersi che tutti gli abitanti delle province basche coltivino spirito e tradizioni nazionalistiche, e che vedano nella guardia civil il nemico «invasore» più che l'agente d'un regime fascista. «Il problema è corevincere i nostri compatrioti che lo Stato fascista è anche uno Stato nemico: cioè, che non v'è separazione tra i due aspetti. La lotta di classe è anche lotta per l'indipendenza; e così all'inverso». Ma è sufficiente la guerriglia? «Certamente no. A noi compete l'azione diretta, che non dia tregua all'avversario e lo costringa a smascherarsi. Altri possono svolgere un lavoro sul fronte più direttamente politico. Ma quando sarà giunto il momento, l'indirizzo l'avrà dato la lotta armata, che non accetta compromessi e mette chiarezza: da una parte i compagni, dall'altra gli avversari»- Questa linea trova opposizione nel campo marxista e in quello moderato. Il partito comunista di Carrillo («don Santiagio» lo chiama l'Età, con un pizzico di malignità) ha valutato la forza delle spinte nazionalistiche e ha fatto nascere, già da qualche anno, il Partito comunista d'Euzkadi, autonomo e federato: oggi ha una forte influenza nelle fabbriche bìlbaine e nei talleres guipuzcoani, attraverso le comisiones obreras. «Non possiamo seguire l'utopia della nazione indipendente — ci dice il leader, ricercato dalla polizia in tutto Euzkadi — il nostro programma è invece quello di riconoscere le autonomie basche, catalane e galiziane, però all'interno dello Stato spagnolo. La lotta armata è un rischio pericoloso e ormai inutile». Per il moderati, si muove il Pnb. Cerca di far dimenticare la sua tiepidezza antifascista, è sicuro di far convergere sulla propria lista — che, per l'autonomia, ha un programma non molto diverso dal Pcd'E — i voti di quanti vogliono sì un cambio del regime, ma senza scosse e senza progetti di socializzazione. L'Età finora, pur con una guerriglia artigianale, è riu scito a contenere abbastanza la pressione politica delle altre forze: ha sfruttato il processo di Burgos del '70 per far diventare il problema basco un caso internazionale, utilizza ora la legge marziale dichiarata dal regime (e l'im minente nuovo processo di I Burgos) per far identificare j agli occhi dei baschi Spagna e fascismo. Intanto, è diventato l'immagine della lotta per l'indipendenza. «Non vogliamo una vittoria militare, soltanto portiamo avanti una lotta all'irlandese, su due fronti: con il nemico, per dimostrargli che non può distruggerci e deve cedere, alla fine: con il popolo basco, per convincerlo che l'utopia può essere una realtà, se tutti lo vogliamo». L'Età, come i comunisti e il Pnb, avverte che il cambio è imminente. Il suo obiettivo massimo è di far esplodere il «caso basco» nella fase di passaggio al nuovo regime, in modo da unificare i due problemi e costringere «la Spagna» ad una soluzione contemporanea. Ma c'è già anche una tragica volontà di continuare. «Se non sarà possibile, se il nuovo governo democratico vorrà concederci soltanto lo Statuto d'autonomia ch'era già nostro nel '36, certamente non lo rifiuteremo: sarà più agevole fare azione di propaganda politica e di chiarimento del problema nazionale. Ma non per questo porremo fine alla lotta armata. Euzkadi è una nazione, e nazione vuol dire popolo indipendente e sovrano». Ma ne avrebbe la forza economica? «Il Pais Vasco — ci dice uno dei mansimi finanzieri bilbaini, protetto dall'anonimato — è molto ricco, forse l'area più ricca della Spagna. Ma la sua industria è nettamente interdipendente col resto del Paese: oggi non è più competitiva sul piano internazionale, e ha bisogno vitale del mercato spagnolo. In quanto ai capitali, due delle prime banche nazionali sono "basche": ma il loro controllo è tutto a Madrid». Stretto tra il realismo delle proposte politiche (Pcd'E o Pnb non conta) e la crisi emergente d'una economia tanto sviluppata quanto vecchia, l'Età non ha molto spazio. Difende con radicalismo il suo progetto di lotta ma mostra già la linea d'un programma più .duttile: «Ci si offre anche l'autodeterminazione, come se un popolo oppresso per quarantanni da un genocidio culturale potesse trovare subito la giusta consapevolezza. Che ci diano prima la possibilità di recuperare la nostra anima e di organizzarci come popolo libero contro lo sfruttamento del capitale interno e esterno: poi non rifiuteremo nessuna autodeterminazione, il popolo di Euzkadi saprà difendere nel voto la sua storia passata e il suo futuro ». E' una proposta politica. Anche per la guerriglia dell'Età il dopo-Franco è già cominciato. Mimmo Candito

Persone citate: Bermeo, Carrillo, Pais Vasco

Luoghi citati: Bilbao, Burgos, Francia, Madrid, Parigi, Spagna