LA FRANCIA NON HA CELEBRATO I 70 ANNI DEL FILOSOFO-SCRITTORE

LA FRANCIA NON HA CELEBRATO I 70 ANNI DEL FILOSOFO-SCRITTORE LA FRANCIA NON HA CELEBRATO I 70 ANNI DEL FILOSOFO-SCRITTORE L'amara solitudine di Sartre La cultura rifiuta il suo esistenzialismo marxista; lo hanno deluso o abbandonato i comunisti, la Cina, i «gauchistes» - La cecità gli vieta l'attività letteraria, in cui riconosce la ragione di vita: «Non posso scrivere, non esisto più» - Nell'opera e nell'azione ha riflesso i conflitti della sua filosofìa (Dal nostro corrispondente) I Parigi, luglio. Solo Jean-Paul Sartre ha j celebrato i settant'anni di j Jean-Paul Sartre. Non ha funzionato per lui la mania francese di glorificare i «mostri sacri», con feste, musei, accademie, e le ragioni sono note. La borghesia detesta il più grande dei vecchi scrittori viventi, che tanto amava quand'era esistenzialista «puro». I comunisti lo hanno sepolto sotto un cumulo di rancore. Nessuna clemenza ha per lui la cultura ufficiale in voga, ruotante intorno al marxismo di Althusser e alla psicanalisi di Lacan, malgrado Sartre sia partito da Heidegger per navigare tutta la vita nelle stesse acque. Ma Z'intellighenzia francese, divenuta cattedratica, vive un «momento tedesco ». Non si perdona a Sartre di avere insegnato al « Cafè Flore », e di rappresentare un'altra Francia, oggi completamente morta. Naturalmente Sartre conserva il favore dei «gauchistes», ai quali ha dedicato gli anni del tramonto. Ma l'uomo è diventato cieco, vede solo le forme, le luci, «non gli oggetti e le facce», e ha dovuto abbandonare la direzione dei giornali rivoluzionari come Liberation, La cause du peuple, Tout, che un tempo andava a vendere sui boulevards. Anche il mondo dell'azione «rivoluzionaria» lentamente si scosta da lui, inabile all'attivismo, ai discorsi sulle piazze. Poi c'è la crisi di questo mondo che gli frana intorno. Nel '68 francese Sartre salì sulle barricate del « maoismo », per predicare la «rivoluzione globale». Ma dalla Cina che ha liquidato Lin Piao non giungono più segnali. Malinconicamente Sartre dice di « non capire » l'ultima Cina. Sostanzialmente è un anarchico europeo deluso, troppo vecchio per agganciarsi ai giovani, che adesso in Francia rileggono Mao attraverso Gramsci, e così capiscono cosa c'era di sbagliato nel trasferire un « sessantotto » asiatico in Occidente senza sapere cosa significasse la Cina. La solitudine di Sartre è di quelle assolute, di tipo « storico ». Si dimentica il filosofo che fu, creatore dell'esistenzialismo ateo (o, se si preferisce, laico I accanto a quello religioso di Gabriel Marcel. Si dimentica il suo inquieto marxismo «esistenziale» nel quale cercò una sintesi tra i problemi della coscienza individuale e quelli della storia. Si sono spente le luci della gloria teatrale, quelle della gloria lette- raria, pochi esperti leggono l'ultima sua fatica dedicata a Flaubert. I tempi delle grandi polemiche con Mauriac, con Aron, e dei giovani che imitavano i personaggi dei suoi romanzi a SaintGermain-des-Prés, sono remoti e cancellati. Resta di Sartre una figura pubblica irritante, spesso derisa, avvolta negli eccessi di un estremismo che elimina tappa per tappa tutti i possibili seguaci. L'ultimo percorso di Sartre era del resto il più adatto ad accumulare incidenti di percorso. Nel 1946, scrivendo L'existentialisme est humanisme, Sartre s'è messo a camminare sopra il filo di un rasoio diventato sempre più stretto, e fatalmente la sua vita doveva finire in un vicolo cieco, intellettualmente «a porte chiuse». Dal tentativo di mescolare l'esistenzialismo al marxismo, di chiudere il discorso sulla vita come insuperabile conflitto di libertà individuali e di aprire quello sulla «libertà di tutti », Sartre è passa¬ to infatti a una Critica della ragione dialettica (1960) che ha pagato cara. La sua tesi era fondamentalmente antistaliniana, basata sull'esigenza di liberare il marxismo dalle incrostazioni dogmatiche. Nella sua posizione si rifletteva la crisi generale della sinistra europea dopo la «destalinizzazione». Ma le conseguenze di questa «revisione» sono state per lui senza sbocco. Un Socrate d'oggi L'affermazione sartriana che sia valido di Marx solo il «materialismo storico» e non il «materialismo dialettico» (matrice dì stalinismo) ha infatti portato il grande scrittore sopra un sentiero | minato. Per dimostrarla. j egli s'è infatti buttato a so; stenere una presunta conver; gema tra materialismo stoI rico ed esistenzialismo che j l'ha portato a cento acro] bazie senza rete. Sartre è j finito nuovamente, infatti, nei meandri esistenziali del I concetto di azione, è ritor¬ nato ad Heidegger, a Jaspers, alla conoscenza da raggiungere attraverso «atti mistici ». In una scivolata d ala, ha poi ritrovato persino Sorel. Come Sorel, Sartre ha pensato che non vi siano soluzioni «scientifiche» nella politica e che la violenza sia il solo intervento rivoluzionario, « antistaliniano », possibile nella storia. Come Sorel teorizzava nello sciopero generale violento 10 sbocco finale della «vera sinistra », Sartre ha visto questo sbocco nel terrorismo politico. L'approdare a posizioni soreliane ha messo in luce un filosofo confuso, curvo sopra una operazione impossibile. Sartrp non voleva tanto un approfondimento del marxismo, quanto uno sviluppo dell'esistenzialismo in forme miove. Si è quindi verificato 11 suo allontanamento dai compagni di strada revisionisti, dalle grandi correnti di ricerca degli Anni Settanta, mentre la nuova posizione esistenziale è stata espressa in una battaglia quotidiana. per molti versi assurda. Il filosofo della libertà individuale degli Anni Quaranta s'è mescolato male al filosofo della libertà collettiva degli Anni Sessanta. E' nato un Socrate solitario, incapace di farsi capire, soprattutto anarchicamente impegnato in troppe direzioni. Tuttora difensore della causa ebraica in omaggio all'« umanesimo esistenziale ». j Sartre difende il terrorismo arabo in funzione della teoria della violenza « antistaliniana ». Maoista integrale per ragioni rivoluzionarie. Sartre finisce col condividere ogni movimento revisionista che sia libertario. Scatta così la trappola di una provocazione continua, esasperata, che lo porta dopo i sessant'anni a vendere giornali che non scrive, a chiudersi in un mondo di «gruppuscoli» confusi, a sprofondare in cento tentativi di azione naufragati. Cerca per anni di farsi arrestare mescolandosi alla guerriglia di strada. Ma nemmeno questo gli riesce perché l'Eliseo ha dato un ordine ironico: «Non s'imprigiona Voltaire». Comincia così l'epilogo di una vita, vissuto tra polveri bagnate, che non s'accendono. La solitudine s'allarga, poi sopravviene la cecità. Dentro questa sua solitudine « storica », diventata fisica, completa, con gli occhi chiusi, Sartre si è però festeggiato da solo riuscendo a dire in una intervista-fiume certe verità che spiegano il suo personaggio. Praticamente, ha cercato di fare il punto della sua vecchiaia, così come con Mots fece il punto della sua infanzia. Ma l'autoritratto non è solo stato toccante; è stato anche prezioso, dato che ha messo a fuoco la sua vera tragedia. Sartre ha detto di non soffrire il distacco dal mondo, di non essere triste, e di « non avere mai momenti di malinconia per ciò che ha perduto ». Divenuto cieco (come lo fu Papini) non rimpiange la vita o l'azione. Lamenta solo di non poter leggere né scrivere sebbene « possa formare parole con la mano »; e di capire che « il mio mestiere di scrittore è completamente distrutto». La sua confessione è infatti disperata. « Avevo un unico scopo nella vita », ha detto Sartre, « e questo scopo era scrivere. Scrivere sulle cose che avevo pensato prima, ma il momento essenziale era quello della scrittura. Oggi continuo a pensare, ma poiché la scrittura mi è diventata impossibile, ne consegue che l'attività reale del pensiero è in qualche modo soppressa. Ormai mi è preclusa una cosa che i giovani d'oggi disprezzano: lo stile, diciamo il modo letterario di esporre un'idea o una realtà, ciò che richiede necessariamente correzioni, e correzioni che a volte si moltiplicano per cinque o sei volte. Adesso non posso più correggermi, neppure una volta, perché non posso più rileggermi. Ciò significa che lo scopo della mia vita è cessato. Sono stato, e non sono più, se vogliamo ». Questa confessione certamente sorprende, se si considera ciò che Sartre ha recentemente detto dell'intellettuale moderno rivoluzionario, che deve integrarsi con le masse, non avere altro scopo che la rivoluzione, « esprimersi con essa, non tanto nelle opere ». Sorpresa a parte, è però ammirevole il coraggio sincero di un intellettuale che, alla fine del suo percorso più difficile, ammette d'essere il contrario di ciò che voleva. Il « rivoluzionario » si arrende all'intellettuale « tradizionale ». L'ambizioso ideologo naufragato nella costruzione di un « sistema » esistenzialmarxista toma al suo ruolo di grande poligrafo, che nello scrivere e nel rappresentarsi fedelmente aveva « il vero scopo della vita ». E c'è una grande dignità in questo Sartre che si smentisce per dire qualcosa di vero di se stesso. Una dignità tragica, direi, se si ripensa a ciò che Sartre scrisse una volta di Mallarmé. Impegno totale In tempi ormai lontani, cercando di portare a fondo la differenza tra impegno politico e impegno «totale» dello scrittore, Sartre si specchiò per un attimo in Mallarmé, tracciando quasi un autoritratto, o quanto meno formulando una dichiarazione di principi, valida per lui stesso. «Mallarmé, disse, è un esempio grande, forse inimitabile di scrittore engagé. Non si tratta ovvia- I mente d'impegno politico. Si tratta dell'impegno totale che deve avere uno scrittore. Quando insegnava al li- | ceo Condorcet passava ogni mattina sopra un ponte ferroviario. Ogni volta aveva voglia di gettarsi di sotto. Ma non lo faceva perché doveva scrivere, facendo dello scrivere un'altra faccia del suicidio. Non si può quindi nemmeno dire che vivesse per scrivere; ma che sopravviveva ogni giorno scrivendo. Totalmente engagé è que- 1 sto tipo di scrittore, capace : di mettere perpetuamente la propria vita sulla bilan- ; eia». Rileggendo quelle parole, sommandole a quelle d'oggi, si perviene infatti a una con- j clusione assolutoria su Sar- i tre, e sulla sua determina- ', zione di vivere i due «impegni» che assegna allo scrit- j tire. In effetti ci sono stati dite Sartre, nella parabola di una vita approdata al settantennio; e ciò che conta è che l'uno non abbia mai sof- ! focato l'altro. Esiste certa- ì mente un Sartre che ha col- ! tivato l'impegno totale di | chi sopravvive scrivendo, «e I nello scrivere butta tutto se j stesso, come in un suicidio I prolungato». Esiste poi un secondo Sartre che ha invece coltivato l'impegno politi- i co che via via derivava dall'impegno totale, giungendo \ fino a negarlo, sempre però ritornandoci, in un andirivieni torturato, talvolta as- \ surdo, comunque vissuto senza risparmio. "Un maestro" Perciò il suo personaggio è stato cosi complesso, talvolta contraddittorio, con «una linea distruttiva sul fondo», come diceva Mauriac, giudicato persino istrionico. Perciò la sua vita è stata dominata da un'esigen- ì za di verità che, trattandosi j di «una verità toccata, poi ; subito fuggita» gli ha procu- ] rato posizioni politiche as- 1 surde. libertarie, persino so- I spelte di barare al gioco. ; Famose sono le parole di ' Cocteau: «Sartre è certo la \ verità. Ma bisogna chiedersi se non sia una verità che dice sempre delle menzogne». Vivendo questi due impegni esistenzialmente, trasferendoli dal «Cafè Flore» alle barricate, da un libro all'ai- I tro, da un romanzo a un ! trattato, in un intrico di tensioni, di confusioni metodologiche, Sartre esce certo male di scena. Ma si può sospettare che proprio questo sia l'esistenzialismo, e che perciò il discorso si possa rovesciare, dicendo che Sartre esce di scena meglio di molti altri, avendo espresso totalmente la propria filosofia conflittuale. Dovendo scegliere un giudizio su di lui, o volendo fare un bilancio, restano in ogni modo esemplari le parole che gli ha dedicato Robert Kanters. «Sartre, ha scritto Kanters, è un maestro che ha tentato tutto, dal romanzo al teatro, dal saggio critico al trattato filosofico, e non sempre con uguale felicità. Ma è riuscito ad essere un maestro, non alla maniera di un papa, ma alla maniera di un uomo che si colloca nel punto in cui confluiscono tutte le correnti della sua epoca e che tenta di mostrare sempre la direzione di ciò che gli pare giusto e ragionevole. Una rigorosa buona fede è forse meglio di una fede senza rigore». Kanters ha poi aggiunto: «Egli ha donato il meglio delle sue forze all'azione politica senza riuscire a inserirsi davvero nell'azione stessa, mancandogli la capacità di trovare un posto nella strategia dei potenti. Ha elaborato una filosofia della libertà meno distruttrice dell'ordine di quanto si creda, e forse di quanto creda lui stesso. Le sue opere sono un tentativo di dire tutte le proprie idee, fino in fondo, su tutti i fronti. Forse è l'uomo d'oggi il cui pensiero ha avuto la più grande volontà d'universale, nello stesso tempo in cui restava prigioniero dei suoi fantasmi. Ma ciò che sempre è stato chiaro, e che sarà sempre più chiaro, è il suo rigoroso attaccamento alla verità, ia sua convinzione che diventa forza di convinzione. Questa mia verità sulla sua verità, vera o falsa che sia, forse rispecchia il suo mondo». Alberto Cavallari Jean-Paul Sartre, il « mostro sacro » che la Francia ignora (Foto Nouvel Observateu:)

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