Michelangelo poeta

Michelangelo poeta Michelangelo poeta Michelangelo Buonarroti: « Rime », Ed. Rizzoli. pag. 302, lire 2000. Michelangelo poeta resta una ghiotta « curiosità ». Assicurato alle antologie per pochi componimenti, da buon cinquecentista e invasato di Platone tanti ne scrisse da potersene togliere e stampare un canzoniere. I contemporanei che se lo passavano manoscritto, non ebbero che lodi. Il Berni, prendendosela coi petrarchisti: « Ei dice cose, e voi dite parole! »; e quella mala lingua dell'Aretino, ma qui dolcissima e presaga della più moderna critica che tratta la poesia michelangiolesca come un minerale, diceva che essa meritava « d'essere conservata in un'unta di smeraldo ». Lodi generose che si danno dai letterati a quelli che non sono strettamente della partita. L'impressione di trovarsi davanti a un artista che non è « nell'arte sua » informa anche, ma negativamente, il famoso giudizio del Foscolo, che fra tante qualità, non trovava nella poesia di M. la « dizione poetica »; mentre essa è poi alla radice di tanti entusiasmi da parte dei cultori del frammento e del non finito; i quali proprio di quella poesia di scultore, nodosa e involta, sepolta e rabbrividente, si esaltarono e si esaltano. Oggi il lettore comune può farsene un'idea sua mediante questa bella ristampa che in sesto quasi tascabile non ha nulla da invidiare alle migliori che l'hanno preceduta: nella cura del testo, nell'apparato critico, nell'intensa presentazione di Giovanni Testori. Assaggiato in uno qualunque dei tanti « generi » che portava la moda del tempo, Michelangelo riesce un poeta difficile; e non perché maldestro, come pareva ai retorici, ma per impulso di natura. Nel cuore aveva Dante cui dedicò due celebri sonetti; ma nella testa portava i modelli del secolo: Platone Petrarca Poliziano Lorenzo de' Medici Berni e altri; e da tutti tolse qualcosa che non si potrebbe mai dire imitazione; uno stridore soltanto suo. E se avvenne anche a lui, con buona pace del Berni, di dire soltanto parole, erano parole di cava michelangiolesca, che ricusavano di sciogliersi nei ritmi vigenti; dure, scheggiate e aspre come selci. L'amore, o sensuoso o ideale, occupa un gran posto. Il primo mette quegli accenti di rimorso, quelle densità funebri, che, auspici i romantici, costituiscono la parte più popolare delle Rime; il j secondo, dalla luna in su, si nutre del più ardente platonismo. Si vedano, in questa seconda vena per così dire unisex, i sonetti a Tommaso dei Cavalieri e a Vittoria Colonna, archetipi dell'amicizia sublimata: « La forza d'un bel viso a che mi sprona?» e « Non ha l'ottimo artista alcun concetto »; così violenti da parere immoti, così densi da riuscire plumbei. Anche I dove petrarcheggia più di ma- i I ! j i niera, nodi e radiche del suo temperamento spezzano quei convenzionali andamenti: «Come può esser ch'io non sia più io? O Dio, o Dio, o Dio.... »; che tutto si direbbe tranne la mossa d'un madrigale. Negli scherzi acre; come nel capitolo dove incrudelisce su se stesso « dilombato, crepato, infranto e rotto» dai troppi anni e dal troppo lavoro. Enorme nel grottesco, come nella rappresentazione di quel gigante a cui tra i peli delle gambe « per mosca vi sarebbe una balena ». Barocco nell'idillio, dove alla pace dei campi oppone le personificazioni cittadinesche del Dubbio, del Forse, del Come e del Perché. Ma il più I fertile dei suoi motivi, come anche la parola che in lui torna più spesso, è la Notte, ! sia trattata per scherzi dialettici (la notte ch'egli vede anche nel sole) sia invocata per preghiera: « O notte, o dolce tempo, benché nero », una delle più alte poesie della raccolta. Ma con tutta la volontà di dargli lena e giro, M. è di quelle Minerve oscure che si ricordano per versi staccati e stemmi {«Beata l'alma, ove non corre tempo! »; « La mia allegrezza è la malinconia»); di quei poeti che si ritirano volentieri nel verso, nel mezzo verso e fin nella parola sola; come fermati dal loro stesso impeto. Poetava per riposarsi del suo vero lavoro di figurativo. Ma il riposo del genio è sempre faticoso; tutto il dolore dell'uomo correva a quel nuovo punto di pressione e ne faceva uscire una sostanza d'ombra che mandava all'aria le incastellature platonico - petrarchesche. L'omiciattolo si poneva davanti alla poesia come davanti a una montagna, e l'attaccava per vene profonde — Amore Morte Peccato Rimorso — in un nuvolo di polvere e di pietrisco. Con lo stesso animo un po' di minatore il lettore scaverà in questa lettura: a ritrovarvi frammenti della grande anima michelangiolesca, eroiche tensioni passate dal marmo alla pagina. Leo Pestelli