Mito dell'ingenuità

Mito dell'ingenuità Rivedendo Mary Pickf ord alla tv Mito dell'ingenuità "Il piccolo lord" del 1921, terzo film della rassegna (r.) Terzo appuntamento cinematografico, ieri sera sul Nazionale, con Mary Pickford, la «fidanzata del mondo». Il ciclo, pi-esentato da Enzo Biagi, proponeva «Il piccolo lord», un film del 1921. Si vuol sapere da chi, privilegiato dall'età, potè vedere Mary Picklord in presa diretta, quale l'impressione, quale Vtcimpattox coll'odiemo revival televisivo della «fidanzata d'America» (A proposito: si è sempre figli di qualcuno, e il motto non nacque adespoto, come generalmente sì ripete, ma fu coniato in un lampo di sublime spensieratezza da un pioniere dell'esercizio delle sale cinematografiche, «Pop» Gratinian. sull'occasione del lancio a San Francisco, nel 1914, del film pickfordiano La madonnina del portoj. Dipenderà che allora eravamo noi troppo ingenui da riconoscere un'ingenua (a vedere «ottr Mary» ci menava per solito la mano guantata della mamma); e che adesso siamo troppo ammalizziti da credere nell'articolo dell'ingenuità: fatto è che quel che Leopardi diceva dell'Italia, possiamo noi ripetere in un registro tanto piti modesto: vedo questo, vedo quello, vedo quell'altro ancora: ma l'Ingenua non vedo. Arrischiamo di più: la Pickford. quale lu ricordiamo allora e quale la rivediamo adesso (in un'antologia forse un po' avuta e qua e là aberrante, ma complessivamente valida anche perché corroborata dall'esegesi giornalistica di Enzo rtiagi). sarà stata tutto tranne che un'«ingenua» nell'accezione più tenera, e vorremmo dire cameriniana. del termine. E allora? Allora si sa come si fanno i miti cinematografici. Si comincia dall'applicare al soggette unti definizione all'ingrosso un'etichetta, che il pubblico abbocca per comodità di sintesi. Una legione di pubblicisti vi lavora intorno, vi pianta per cos'i dire la vigna, con osservazioni e deduzioni sociologiche, i cui effetti si propagano nel tempo. Alla fine si stucca una «verità», che al sue modo platonico è verissima (e talvolta incantevole come quella dei «Caroselli»), ma che poco ha a vedere con la verità effettuale. Del resto siamo giusti: dove, meglio che nel mondo illusorio del cinema, le illusioni potrebbero prendere corpo? La storia esterna della «fidanzata d'America» è, com'è noto, una lunga serie di tentativi per rompere il fidanzamento; di strappi e rivolte contro le esigenze immote dello «star system», che volendola bambina sempre e bambineggiunte, le aveva foggiato intorno un «eterno presente». Tuie spirito di ribellione alla fine comunicatosi a qualche produttore, condusse l'attrice a molti passi falsi, come, per dirne uno, la famosa tonsura dei «riccioli d'oro» (emblema d'una fanciullezza invecchiala), dallu quale non usci la sperata coquette, e che viceversa gettò nel lutto milioni ù'' fans, improvvisamente invecchiati anche loro. (E sempre a proposito di rettificazioni: la posterità ha bensì conservato sei dì quei rìccioli; ma essi non sono riuniti in un solo Museo, ma generosamente distribuiti fra tre: San Diego, Los Angeles e la reggia di Pickfair: avviso ai pellegrini!) Ma una sequela di strappi ci pare sia anche la storia interna di lei, il suo stile di presunta illibata. Prendiamo il primo dei film riesumati, My best Girl di Sam Taylor, cheessendo del 1927, quand'ellu aveva oltrepassato la trenti- na, è già cronologicumente collocato nel fulso. Mancano assolutamente all'eroìna, in- namorata del figliuolo del mi- liardarìo mimetizzato fra icommessi d'un grande magazzino, le trasparenze, i riposi, le sognanti giuccherie di cui sarebbe stata poi capace, in situazione analoga, un'Assia Noris. La ricetta dell'ingenua fa acqua da tutte le purti. Che accidente di ragazza! Buona agestire nello stesso tempo lesorti della propria disgrazia- tissima famiglia (col diverti- colo quasi drammatico di quella sorella) e un umore virtualmente impossibile; a piegare giudici, a conquistare futuri suoceri (per la bella figura del miliardario il film è un inno alla Ricchezza che si getta abbacinuta ai piedi della Povertà), a fermare il traffico della metropoli per occorrenze privatissime. Fattu la parte allu servitù dinamica del cinema muto, non sembra di essere iti una pellicola di Chuplìn dove il sentimentalismo si dissolve nella gag? Importa poco (o solo agli storici) che qui Mary abbia finalmente licenza di fumare, sebbene sarcasticamente, e che fumi bene (aspirando, ci pare!, senza tossire. Ma si sarà notato come questa ingenua sia speditiva in tutto, anche nella voglia, evidentissima, di amore e di baci; e come le censure dei suoi gesti e dei suoi sguardi intorno all'umuto, rivelino una femminilità tanto più intensa quanto socchiusa. Traluce (oh se traluce!) la bazzetta della volitiva; di colei che ancora ragazzina seppe con slancio divinatorio alzare la propria tariffa davanti a produttori e registi solitamente di ferro. Riguardata nel fisico, ella è piccina ma non esile; anzi spessotta, con un'andatura contadina e una tal quale pastosità da farci pensare (o sarà statu allucinazione) a unu Bardot embrionale. Ma. si potrà opporre, la vera Pickford fu quella di prima del '27. Ed ecco venire a proposito la seconda puntata, un'antologia di cor¬ tometraggi dove il grande Griffith fa i suoi latinucci cinematografici e l'attrice si lascia cogliere alla sorgente. Orbene questa Pickford archeologica e anche più pesa e brusca dell'altru: pura e incondita energia, pupazzetto caricato a tutta molla. E per quanto ci soccorre la memoria, sarebbe inutile aspettarsi da altri film — s'intitolino pure Cenerentola, Straccetti, Una povera bimba milionaria, Passerotti eccetera (ma ci fu anche La fanciulla del West e ci sarà più tardi una stridente Bisbetica domata; — qualcosa di diverso da una presenza imperiosa. «Dietro le sue apparenze liliali — osserva Adolph Zukor — aveva il temperumento per diventare una. magnate dell'acciaio». Ma non vorremmo sfatare oltre il giusto la leggenda dell'ingenuità pickfordiana. Ella fu sì un'ingenua, ma more americano: più disposta a fare che a sentire, con le maniche rimboccute, lu Bibbiu u luto e quel piglio carovaniero che ancora caratterizzava, nel cinema e fuori, l'America degli Anni Venti. Un'ingenua, anzi la più grande ingenua del «muto»: che vuol dire sovreccitazione e a tratti isteria. Certo la sua recitazione non Ita languori altro che indotti da trucchi fotografici (sfocature); ma è irruente e spadaccino non meno di quella del suo emulo e poi marito Douglas Fairbanks. O stringendo maliziosamente l'analisi, ella portò sullo schermo le ultime seduzioni del «compromesso vittoriano», che non fu quel semplice portato d'ipocrisia che molti credono, ma un calcolato parallelogramma di forze tra la Compressione e l'Impulso. Il metodo era di accumulare divieti perché ne scattasse meglio quel poco che si poteva liberare. Oggi che i micini hanno aperto gli occhi, la Pickford. così remota dal sesso, ce lo ricorda dagli antipodi; e tutto lo spiegamento erotico dei film odierni non vale, quanto a effetto di puntura, lo scintillamento sensuale che si è potuto cogliere fra le righe della pudibonda e infagottutu eroina di Mary del mio cuore, simbolo, questo si, dell'indomito vitalismo americano e d'un cinema che gli corrisponde. Leo Pestelli Mary Pickford

Luoghi citati: America, Assia Noris, Italia, Los Angeles, San Diego, San Francisco