Matrimoni di gruppo per l'allegra " Betìa"
Matrimoni di gruppo per l'allegra " Betìa" Con Parenti al Parco della Tesoriera Matrimoni di gruppo per l'allegra " Betìa" A dare senso e vigore alla stagione all'aperto del Comune e dello Stabile, quest'anno davvero casuale e striminzita, ecco nel parco della Tesorie-j ra, ma per due sere soltanto (altra incongruenza: si parla di uno spettacolo, la gente comincia a prenderci gusto, e la compagnia è già partita). Franco Parenti e la sua cooperativa con una nuova edizione della Betta, la seconda in età moderna di questa commedia giovanile del Ruzante che, probabilmente rappresentata poche volte negli anni dal 1522 al 1525, e addirittura inedita sino alla fine del secolo scorso, non fu mai ripresa se non nel 1969 al «Piccolo» mlianese con la regìa di Gianfranco de Bosio. Fedele al suo Ruzante, Parenti ha ripreso quello spettacolo, che anche allora l'aveva avuto come protagonista, ma in un nuovo allestimento e con la propria regìa che si discostano abbastanza, se non dal testo e dalla riduzione di Ludovico Zorzi, dalla strepitosa e straripante versione che ne aveva dato il de Bosio. Questa di Parenti infatti, pur puntando anch'essa e dichiaratamente sul divertimento, cerca un aggancio col mondo contadino d'oggi, o almeno di ieri, come si può dedurre dai costumi di Gianmaurizio Fercioni — la scena è soltanto accennata — che hanno la solida e severa eleganza, ad esempio, dell'orchestrina da paese che, brache e gilet neri, maniche di camicia e cappello in testa, accompagna l'azione con le briose musichette di Gino Negri. Verseggiata in quartine ri mate come nelle frottole, La Betìa è un centone tumultuo so e prolisso (qui ridotto opportunamente a un terzo e forse gioverebbe qualche altro taglio) del repertorio giul laresco che il Ruzante rielabora ampliando la struttura del «mariazo», cioè della farsa agreste di nozze, insinuandovi intellettualistiche paro die della letteratura colta e ammiccando ai suoi nobili ascoltatori dietro le spalle dei contadini. La vicenda è quella di Zilio che spasima per la Betìa e, dandogli una mano Naie che vuole godere anche lui la donna, e del resto con il consenso di lei in fregola all'idea di avere due mariti, riesce a sposarla dopo aver vinto l'opposizione della futura suocera. Ma questo è soltanto il nu¬ cleo della commedia, oltre che il pretesto e l'occasione per buffoneschi intermezzi, scherzi grevi, filosofici sproloqui, tirate a doppio senso, canzoni, serenate e balli popolari con i quali il Ruzante prolifera personaggi ed episodi: le invettive misogine si mescolano ai lamenti delle vedove e dei cornuti, i riti nuziali a quelli di una rustica libertà sessuale che la «naturalità» esaltata dal Ruzante rende meno ipocrita e più sana della sfrenatezza cittadina o della cerimoniosità cortigiana della quale l'autore si fa bellamente gioco nel primo atto, ora soppresso, rifacendo il verso ai dialoghi cinquecenteschi sull'amore, e soprattutto al Bembo, volgendone in caricatura gli argomenti. E tutto in un pavano acre e potente, qui addolcito in un veneto più accessibile anche se, talvolta, un poco immaginario, e con parole e frasi di una trivialità che non può urtare tanto è franca, immediata, naturale, valendo per essa la giustificazione dell'autore: «Digundo naturalmen, non se possea dire co altre parole». Ad ogni buon conto, alcune espressioni sono state eliminate, altre ripulite, altre ancora affidate all'eloquenza di un gesto spesso più icastico della battuta. Franco Parenti è un Naie di grossolana astuzia e di saporita comicità, che si prodiga in ingenui stratagemmi e barocche invenzioni (felicissima è la sua descrizione dell'inferno) insieme a Giorgio Melazzi (Zilio) che ricorda un poco, ed è un elogio, Alvise Battain, come Giampiero Fortebraccio sembra aver tenuto presente l'oste di Carlo Bagno dello spettacolo debosiano dove egli invece sosteneva la parte di Meneghelo ora affidata a Sergio Tardioli. Lodate le buffe esibizioni di Bruno Pagni, ecco le donne: la fulva Raffaella Azim, credibile ancorché troppo bella Betìa, Chicca Minini e Pinara Pavanini, di una sfrontatezza davvero ruzantesca. Viva e divertente, nor.ostanI te qualche incertezza o cediI mento nel ritmo, la rappreI sentazione conquista subito l'interesse e la simpatia del pubblico. S'immaginino soltanto le risate e gli applausi quando Ruzante, anticipando i più arditi teorici dell'amore di gruppo, conclude la commedia con la proposta, prontamente accettata da due coppie, di fare «i quattro contenti», cioè di mettere in comune la roba e le femmine, mentre un quinto personaggio lascia intendere che i «contenti» saranno di più. Insomma, quella che oggi si direbbe una bella ammucchiata. Alberto Blandi
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