L'atomica ha 30 anni di Stefano Reggiani

L'atomica ha 30 anni 16 LUGLIO 1945: LA PRIMA BOMBA DI ALAMOGORDO L'atomica ha 30 anni Emilio Segrè, uno dei creatori dell'età nucleare, non rievoca volentieri quella svolta storica - "C'è da sperare che almeno i politici ne capiscano i rischi" - I ricordi e il problema di coscienza degli scienziati Roma, luglio. La condizione atomica ci stringe da trent'anni. Il 6 agosto 1945 cadde la bomba su Hiroshima; il 16 luglio era esploso il primo ordigno nucleare, una prova generale, nel deserto del Nuovo Messico. Questi non sono semplicemente giorni di rievocazione; lo scoppio atomico non è un fatto fermato nella storia, ma un evento, che continua ancora, per la sua possibilità di ripetersi e per il ricatto cui sottopone la politica ed i rapporti fra i popoli. Tuttavia spesso si ha l'impressione che la coscienza collettiva voglia dimenticare Hiroshima e che la storia della bomba sia una vicenda più adatta alle dissertazioni militari che al dibattito civile. Trent'anni sono tanti, e pochi insieme: c'è una misura inafferrabile nei periodi storici. Vogliamo verificare lo spazio che ci separa da allora; capire se l'angolo visuale è mutato dalle prime polemiche fra possibilisti e avversari dell'apocalisse; sentire alcuni testimoni (scienziati, filosofi) per chiarirci un cruccio che è anche, soprattutto, morale. Il premio Nobel Emilio Segrè, premio Nobel per la fisica nel 1959, ft.r lavorato con i padri dell'atomica, con Fermi, con Oppenheimer. Ha contribuito in Italia alle prime scoperte sulla radioattività nel gruppo di via Panisperna; poi in America, nella reclusione volontaria di Los Alamos, ha visto nascere la bomba. C'è il suo viso sorridente e occhialuto nelle fotografie di allora, vicino ai panorami della città-fortezza o ai ritratti di Fermi e del generale Groves. Adesso Segrè è in Italia, è tornato pochi mesi fa, insegna all'Università di Roma. Sta nel piccolo soggiorno dell'appartamento preso in affitto dietro corso Italia con un abbigliamento frivolo, pantaloni corti e maglietta, ma l'aria severa e restia del vecchio professore che trova noiosi gli esami. Ha accettato il colloquio dopo molte resistenze, deciso a opporre un muro di cortese rifiuto di fronte alle domande che lo inseguono ormai da trent'anni. In realtà, dice la signora Segrè, è « spaventato ». Lui parla volentieri, fa polemica, non si tira indietro, poi i giornalisti travisano le risposte, aggiungono di loro, tagliano alcune parti e ingrandiscono altre. Questo sarebbe accaduto soprattutto in Italia, il professore avreb- ! | be ritrovato in patria non dei cittadini amichevoli e solidali, ma dei curiosi intriganti, dei premurosi sospetti, degli intellettuali pronti a definirlo in un ruolo e in un partito. Crediamo che lo « spavento » del professor Segrè sia una cosa giusta e naturale. Dal 1934, quando aveva trent'anni, agli inizi della collaborazione con Fermi, egli è entrato nella storia; porta un peso di ricordi che coinvolgono tutti gli altri uomini; impersona anche, suo malgrado, degli eventi eccezionali e distruttivi. E' comprensibile che i cittadini, per primi i giornalisti, lo ascoltino talvolta con un pregiudizio moralistico e con la tentazione di opporgli un panorama della scienza utopistico e imparziale, quello che non c'è stato. Il colloquio s'avvia stentato, pieno al principio di grandi silenzi allarmanti oppure di divagazioni improvvise. /'«Lei è un giornalista: può darmi un giudizio degli italiani? Quelli di oggi. Io ricordo il fascismo e la sua componente buffonesca e teatrale. Ma ricordo anche che in quegli anni c'era gente seria, come il gruppo dei fisici riunito da Mario Corbino »). Noi starno qui per ascoltare, senza nessun pregiudizio, solo con l'imbarazzo doloroso di questo trentennale. « La gente parla molto dell'atomica — dice Segrè, con gelido risparmio di parole — ma forse non riesce ancora completamente ad immaginare e capire. E' chiaro che le possibilità di distruzione sono di portata immensa. Cosa c'è da sperare? Che almeno i governanti se ne rendano conto, e ci vadano piano ». Sì, speriamo; ma la condizione atomica riguarda l'attività del mondo in guerra e in pace, in male e in bene. Aggiunge Segrè: « In pace il cambiamento è grosso. Arabi o no, il petrolio finirà e nell'atomica c'è la fonte di energia più a portata di mano. Sfruttarla non sarà facile, ci sono dei rischi. Il maggiore è il sabotaggio, unito al furto di materiale nucleare per ricatto. Poi ci sono problemi tecnologici seri: ad esempio, la dispersione delle scorie ». C'è una foto di Segrè negli Anni Trenta, in toga e tocco accademico, insieme con Rasetti e Fermi. Sotto la foto ima didascalia ricorda i soprannomi dei tre giovani fisici: Rasetti «il cardinale». Fermi « il papa ». Segrè « il basilisco». Forse gli occhi non sono cambiati da allora. E' sempre vero che le scienza e la politica sono due mestieri diversi? E che accade quando si incontrano? Scienza e politica «Gli scienziati non possoi no mettersi a fare i politici, ! e viceversa. D'altra parte bisogna chiarire una volta per | tutte che ci sono scienziati stupidi, come ci sono politici stupidi. Alcuni studiosi ' fuori del loro ristretto cerchio di competenza non capiscono nulla». Quando si trattò di decidere se usare la bomba atomica in guerra il presidente Truman creò un comitato di esperti. La cosa provocò molto sollievo tra i fisici impegnati a Los Alamos. Almeno una parte si sentì liberata da una pe- sante responsabilità. «S.abilito che scienza e politica sono due domìni diversi — spiega Segrè sempre didattico, storicizzante — bisogna accertare come i politici ricevano e interpretino le informazioni degli scienziati. I governanti hanno due soluzioni: creano dei comitati o si scelgono uno scienziato di fiducia. Ma il rapporto preferenziale con uno scienziato è pericoloso. Roosevelt si circondò di persone di primissimo ordine, ma non ci riuscì Churchill. Sappiamo poco di Stalin, ma adesso siamo sicuri che Hitler ebbe attorno solo uomini mediocri». Eppure la spinta psicologica più forte a costruire la bomba, tra gli uomini di Los Alamos, profughi dall'Europa, venne dal dubbio, dal timore che la Germania nazista stesse per avere l'atomica. Hitler gridava nei suoi discorsi folli: «Dio mi perdoni gli ultimi cinque minuti di guerra». Einstein, Fermi Segrè, Fermi, Einstein erano emigrati «in tempo» dall'Europa. Il professor «basilisco» sembra adesso lontano migliaia di anni da quella fuga determinante per la storia del mondo. Cerca degli aforismi freddi, da marziano ritroso e ironico. «Gli scienziati non se ne vanno, se non sono costretti. Oppure bisogna mettergli il sale sulla coda, come in Russia. C'erano paesi come l'Ungheria, ricchi di fisici, e non seppero trattenerli». Quando stava per finire il conflitto, la corsa alla bomba atomica, dopo la caduta di Hitler, sembrò anche il primo segno della guerra fredda tra Stati Uniti e Unione Sovietica. Uno scienziato, Leo Szilard, ammonì che le conquiste della scienza non restano segrete per molto, che il «privilegio» dell'atomica sarebbe durato al massimo j due anni. Osserva Segrè: «La scienza va coltivata. E' vero che I tutte le scoperte sono pubI blicate, ma se uno è, poniaI mo, nello Zaire, non sa che j farsene delle informazioni più preziose». Allora, quali sono le condizioni politiche che favoriscono la scienza e j in particolare i progressi della fisica nucleare? «Sono condizioni complesse. Se uno volesse analizzarle, non diventerebbe popolare». Lo scienziato nel suo salotI to romano rompe il gheri: glia di una noce e mastica un frammento del frutto, ! | per ienere la bocca occupa- ; I ta. Per esempio, se il diseor- so cadesse su democrazia ! j occidentale e Stati socialisti, [ I lui si sentirebbe come preso in trappola. Ha appena detto che in Russia gli scienziati sono tenuti per la coda. Ha appena suggerito che il regime democratico è il più insensibile alla scienza, perche riflette l'opinione di una maggioranza disinteressata. Nella democrazia americana, nel 1945, la bomba atomica dirise anche gli \ scienziati e la ferita non s'è mai rimarginata. Quando il Iti ottobre 1945 Oppenheimer ricevette una medaglia di benemerenza dal ministero della Difesa, disse: « Oggi l'orgoglio deve essere temperato da profonda ansietà. Se le \ bombe atomiche sì aggiun geranno come nuove armi agli arsenali del mondo in guerra, allora verrà il rem- po in cui il genere umano maledirà i nomi di Los Alamos e di Hiroshima ». Professor Segrè, Hiroshina può ripetersi? Di quanto si è avvicinata la minaccia della condizione atomica? « No, non posso rispondere con una previsione, non mi compete. Ma posso fare una considerazione quotidiana. Se un cittadino continua ad attraversare la strada con il semaforo rosso, deve mettere in conto il rischio di essere investito ». Dunque, giudica il mondo come Ber¬ trand Russell nell'apologo del pollo? I due blocchi in cui il mondo è diviso si fronteggiano come due guidatori d'auto. Stanno ai capi opposti di un rettifilo, tenendo le ruote interne della macchina sul segno di mezzeria. Poi si lanciano a tutta ve. locità l'un contro l'altro. ] Perde il primo che ha paura della collisione e sterza; l'altro può gridargli beffardo: « Pollo! ». Segrè conosce l'apologo, mormora: « La gente non è del tutto stupida ». La gente, ma i politici? « Si chiede agli scienziati di essere la voce della coscienza, ma non è un compito che tocca solo a loro, ogni categoria ha il dovere di essere responsabile ». « E' vero che alcuni futurologi mostrano oggi per vezzo di essere ottimisti. Robert Jungk che scrisse la storia della bomba atomica, ha pubblicato un libro pieno di speranze sull'« uomo del millennio ». Dice Segrè: « Non parliamo di Jungk. Ha scritto molte Inesattezze nei suoi libri sull'atomica e anche semplici frottole. Il compito dei futurologi è quello di studiare tutti gli effetti possibili di un fatto, di anticipare la conoscenza ». Ma, infine, un uomo come Segrè ha qualche ragione di ottimismo, o nessuna? «Non ho parole di saggezza. Se le avessi, le direi. I libri sono pieni di omelie morali. Persone più qualificate di me parlano del bene comune da circa venti secoli, e le cose non sono andate meglio per questo ». E' un forte atto di pessimismo, detto in tono per metà sereno e per metà sogghignante, da uno studioso che ha visto nascere la bomba atomica. Trent'anni fa gli scienzia ti del « Frank Report », rivolgendosi al Presidente degli Stati Uniti, affermavano: I « Tutti noi che conosciamo ' lo stato attuale della fisica I nucleare viviamo costante| mente con dinanzi agli occhi i la visione di una repentina distruzione ». Lo scrivevano nel giugno '45: poi ci fu Hi: roshima. I Stefano Reggiani Eii il "d dll'i" i d Li.] Einstein, il "padre dell'atomica", visto da Levine (Copyright N. Y. RcvicW ol' Boòks, Opera Mundi c per l'Italia La Stampa)