Amaro ritorno a Cipro di Francesco Fornari

Amaro ritorno a CiproL'ISOLA NON È GUARITA DALLE FERITE DELLA GUERRA Amaro ritorno a Cipro A un anno dallo sbarco, Ankara ha stabilito ufficialmente la spartizione dell'isola: nel Nord, che fu un paradiso turistico, i turchi; nel resto la maggioranza greca - Continua lo scambio forzato delle popolazioni, aggravando la tragedia dei profughi Nicosia, luglio. Un anno dopo lo sbarco delle truppe turche a Cipro, la divisione dell'Isola è orinai un fatto Quasi compiuto. Installati comodamente a Nord della « linea verde », sotto la prolezione dei 40 mila soldati mandati da Ankara, i dirigenti della comunità turca realizzano le ultime fasi del loro programma: il trasferimento della popolazione, cosi temuto dai greci, in questi giorni è stato intensificato e sta avviati dosi verso la fine. Si calcola che attualmente meno ,fl. ^dicimila greco ciprioti si trovino ancora in territorio turco, mentre sa- (Dal nostro inviato speciale) rebbero circa diecimila i tur¬ co-ciprioti che vivono nel Sud, nella zona controllata dal governo di Makarios. Economicamente e politicamente lo Stato turco-cipriota proclamato il 13 febbraio dal presidente M. Rauf Denktash dipende sempre dì più dulia Turchia. Di recente il governo di Ankara ha inviato nel settore musulmano di Nicosia una missione e conomica e tecnica (sul modello delle missioni d'aiuto americane all'estero), col compito di sorvegliare i progetti di sviluppo finanziati dalla Turchia. La nuova costituzione del governo turco-cipriota approvata con un referendum popolare il 4 maggio, che ha ! conferito poteri quasi assoluti al. presidente Denktash, la cui intransigenza nei confronti della comunità grecocipriota non lascia adito a speranze, ha approfondito il solco che separa le due comunità dell'Isola. Uno dei più recenti provvedimenti presi e tanto curioso quanto significativo: gli orologi del settore turco sono stati avanzati di un'ora per uniformarsi all'orario estivo in vigore ad Ankara, Entro pochi mesi tutte le vetture in circolazione nella zona turca saranno immatricolate con nuove targhe e sembra, ma nessuna fonte ufficiale me l'ha confermato, che sia allo studio un progetto per | modificare la circolazione stradale (attualmente nell'Isola le auto viaggiano a sinistra, come in Inghilterra). Sono particolari che confermano la volontà del governo turco-cipriota di rendersi completamente autonomo eliminando anche ogni più pìccola affinità col governo greco-cipriota. Il presidente Denktash non fa mistero che l'obiettivo principale della sua amministrazione è mantenere la « omogeneità etnica » della popolazione turca del Nord dell'Isola, che conta circa 110 mila abitanti. Il « leader » della comunità spera che con l'arrivo dei diecimila turchi che si trovano ancora nel Sud e col ritorno — che viene dato per certo — dei 40 mila turcociprioti residenti a Londra e dei circa ventimila che sono emigrati già da parecchi anni in Australia, il nuovo Stato potrà condurre una esistenza autonoma. Denktash nutre anche un'altra «segreta» speranza: che una buona parte dei 40 mila soldati turchi che si trovano a Cipro vogliano approfittare di una legge promulgata di recente in loro favore e decidano di insediarsi sui terreni e nelle proprietà abbandonate dai greci. Per il momento, tuttavia, la situazione nel Nord dell'Isola non è per niente rosea e non alimenta certo queste speranze. Ne stanno facendo le spese ì circa 30 mila profughi turco-ciprioti che, dopo lo sbarco dell'esercito di Ankara, hanno abbandonato le loro case nel Sud per trasferirsi nelle zone evacuate dai greci. In gran parte contadini costretti a una dura vita di stenti e privazioni, oppressi anche dalle leggi del governo cipriota che concedevano poco o nulla alla minoranza turca, speravano di trovare migliori e più confortevoli sistemazioni. Si racconta che erano partiti dai loro villaggi abbandonando le povere masserizie, certi di trovare tutto l'occorrente nelle case evacuate dai greci. In effetti sono stati alloggiati in queste abitazioni, ma non vi hanno trovato nulla. l'economìa. Tutto era stato portato via dai soldati, i « liberatori » avevano saccheggiato a più riprese città e villaggi, come un esercito di cavallette avevano distrutto ogni cosa: quelli che erano arrivati per ultimi, non trovando nient'altro avevano portato via addirittura le porte e le !inestre. Le prospettive economiche, dunque, sono piuttosto incerte. I turco-ciprioti che, da un giorno all'altro, sono diventati padroni di circa tre quarti delle ricchezze dell'Isola, non dispongono né dei quadri tecnici e amministrativi, né della mano d'opera qualificata necessaria per la ripresa dei- La disoccupazione è aumentata, molte fabbriche sono ancora paralizzate, le miniere chiuse, i campi e le coltivazioni abbandonati. L'industria alberghiera non ha sopravvissuto alla guerra e alla partenza degli specialisti greci. I due principali centri turistici dell'Isola. Kyrenia e Famagosta, che accoglievano i due terzi dei turisti stranieri, sono delle città fantasma dove vagano, incerti e confusi, i gruppi ordinati dei turisti turchi che arrivano dal continente. Esodo controllato Il porto di Famagosta ha ripreso l'attività, ma per ora vi attraccano soltanto navi della marina militare turca (che provvedono all'avvicendamento delle truppe e al trasporto del materiale) e mercantili che portano viveri e generi di prima necessità per sopperire, in parte, al pauroso fabbisogno della popolazione. Deserte le famose spiagge, spente le multicolori insegne dei bar, ristoranti, locali notturni. Se le cose vanno male al Nord, sono ancora peggiori nella parte meridionale dell'Isola. I profughi greco-ciprioti costituiscono un pesante fardello per l'economia del governo di Makarios. Sono più dì 180 mila persone, alle quali bisogna aggiungerne almeno altre ventimila (gli abitanti dei settori vicini alla «linea verde» che hanno dovuto abbandonare le loro case per motivi di sicurezza), vale a dire circa il 40 per cento della popolazione greca dell'Isola. Di questi, oltre 160 mila sono assistiti dallo Stato, che concede un sussidio di 4 sterline cipriote (circa settemila lire) al mese al capofamiglia e due sterline cipriote per ogni congiunto fino a un massimo di 15 sterline cipriote per ogni famiglia e, ogni due settimane, distribuisce delle razioni di viveri (per una famiglia di quattro persone, il quantitativo è questo: 4 scatolette di latte in polvere, 9 di carne, 6 di pesce, 16 uova, pasta, zucchero, olive). Oltre 18 mila profughi vivono ancora nei campi allestiti nei pressi di Nicosia, Larnaca, Limassol, ma il loro numero aumenta ogni giorno con l'arrivo dei profughi espulsi dal settore turco. Lunghe file di tende rizzate in lande desolate, roventi d'estate, gelide e umide d'inverno, uomini, donne e bambini costretti a vivere in una promiscuità umiliante. « Che speranze possiamo avere? Non abbiamo più nulla, neppure un angolo per piangere da soli, senza che gli altri ci vedano », mi dice Dora Vasilion, 22 anni, da nove mesi ospitata nel campo di Stavros (che in greco significa croce) alla periferia di Nicosia. Quattro mesi fa si è sposata con Thomas, soldato nella guardia nazionale («Ho combattuto contro i turchi sulle montagne, fucili contro carri armati, che cosa potevamo fare?»), sedici giorni fa è nata Rulla, la loro bambina. Si agita piangendo sui materassi che fungono da letto (posati su delle assi), sudata e accaldata. Le mosche ronzano senza posa, c'è un forte odore di medicinali («Disinfettiamo ogni giorno per evitare il pericolo delle epidemie », mi spiega il direttore del campo Petros Paris, insegnante elementare profugo da Kyrenia). Dalla cucina comune allestita in un cubicolo all'estremità del campo, arriva la suocera con una pentola fumante: ha preparato il « psido tu furnu » (pezzi di pollo, patate, pomodori, una manciata di erbe aromatiche e un po' d'olio), che è diventato il piatto «nazionale» di tutti i profughi, perché « si cuoce nel forno e non bisogna accudirlo troppo. Mettiamo dentro tutte le pentole i e torniamo a prenderle do- : po un paio d'ore ». La situazione drammatica I dei greco-ciprioti e della loro economia può essere rias- i sunta brevemente: i 300 mila \ abitanti del Sud dell'Isola non hanno più la possibilità di andare nelle regioni che. prima dell'invasione turca, contribuivano per il 70 per cento al prodotto nazionale lordo di Cipro e devono, inoltre, provvedere al mantenimento dei circa 200 mila loro connazionali che nella guerra hanno perso tutto. Il problema più grave è qui, come al Nord, quello della disoccupazione. Sinora, oltre 35 mila greco-ciprioti (tecnici, operai qualificati) sono emigrati in Gran Bretagna, Bulgaria, Li- ' bla e negli emirati del Golfo. Questo esodo è controllato con timore dalle autorità che non nascondono la loro preoccupazione. D'altra parte non esiste alcun rime- dio anche se sono stati pre- si drastici provvedimenti per far fronte ai più urgenti prò- blemi. Il crollo totale delle espor- tazioni è stato in parte com- pensato con una severa riduzione delle importazioni e una politica di rigorosa austerità. Tutti i lavoratori pagano una speciale tassa per l'aiuto ai rifugiati pari, in media, al 17 per cento del loro salario. In alcune im- prese private, più duramen- te colpite dalla crisi, le ri- duzioni sono ancora più so¬ stenute. Nel settore alberghiero, uno dei più danneggiati, molti lavoratori guadagnano la metà di quello che percepivano prima della occupazione turca. La paga media di un operaio si aggira sulle 30, 35 sterline cipriote al mese, poco più di 2500 lire al giorno. Tutte queste misure hanno permesso sinora di non intaccare le riserve monetarie del Paese, calcolate in 120 milioni di sterline cipriote, che saranno utilizzate, nel piano di rilancio dell'economìa varato dal governo, per rinnovare le riserve dei prodotti alimentari di base e delle materie prime indispensabili per impiantare nuove industrie. L'obiettivo finale è quello di creare il più gran numero possibile di nuovi posti di lavoro: una indagine ha accertato che ne occorrono almeno 70 mila, un compito che si è rivelato al di sopra delle possibilità del governo. Un altro urgente problema riguarda la sistemazione dei profughi più diseredati ancora ospiti dei campi: è prevista la costruzione di nuove case, anche se ufficialmente non si parla volentieri di questo programma che viene ritenuto una «tacita» ammissione di un fatto, l'evacuazione dei greco-ciprioti dal Nord, che qui nessuno vuole accettare. E' certo che nessun piano di rilancio economico potrà essere attuato fino a quando non sarà risolta la questione dei profughi che minacciano di soffocare la zona meridio- naie dell'Isola. Lo stesso Clerides, noto per la sua moderazione, ha ribadito di recente che non sarà possi- bile nessun accordo con i turco-ciprioti fino a quando non sarà consentito il ritor- no dei rifugiati nelle loro ca- se nel Nord. Violenze, razzie Per Denktash, questa eventualità invece non esiste affatto. Nei giorni scorsi i turco-ciprioti hanno espulso tutti gli abitanti dei villaggi di Karpass e di Davlos. «Ab biamo potuto portare con noi soltanto una valigia », mi ha detto Kiriagos Kavinìcolas, di 85 anni. L'ho incontrato nel campo di Kokkines Strovolos, con indosso una logora giacchetta, i capelli bianchì che sbucavano da uno sdruscito berretto. « Eravamo in 228, ha continuato, quando i turchi sono arrivati ci hanno rin- chiusi per una settimana nella chiesa. Poi ci hanno lasciati tornare al lavoro nei campi, ma ogni tanto soldati venivano e ci portavano via tutto ». Quando, tre giorni fa, sono stati espulsi, se ne sono andati chiudendo a chiave le porte delle loro case. « Ma i camion sui quali ci avevano fatto salire non erano ancora partiti che già abbiamo visto i soldati sfondarle ed entrare per fare razzia ». Oltre all'abito che indossa non gli è rimasto nulla, « soltanto la speranza di morire senza dover rivedere le violenze di quei giorni, non voglio altro », mormora con voce soffocata. Francesco Fornari

Persone citate: Clerides, Denktash, Dora Vasilion, Kiriagos Kavinìcolas, Petros Paris, Rauf Denktash, Rulla