Quando di Andrea Barbato

Quando Quando si scoraggia la verità Spiacc dover tornare, a breve distanza di tempo, su un argomento già affrontato, quello dei sempre più dilTìcili rapporti fra elli esercita il mestiere e il dovere dell'informazione e chi gestisce altri poteri dello Stato, quello polilico e quello giudiziario. E non già per il timore di coinvolgere il leltore in una discussione che può appurile interna c corporativa, dal ino, ento che siamo convinti che il « diritto alla notizia » riguardi l'utente come l'operatore, ehi legge come chi scrive. Quanto perché i falli che si accumulano dimostrano che il problema si fa sempre più grave, più urgente, e che si allarga fino a toccare le ragioni stesse della convivenza democratica. C'era già stalo, tutti lo ricorderanno, il « caso Ghiotto », condannato per aver pubblicalo un rapporto diplomatico giudicato riservato c per aver espresso su di esso un giudizio fin troppo cauto. L'autore di q-ij| documento, l'ambasciatore Gerolamo Messeri, che in altre | diplomazie avrebbe conquistato con quello scrino una decorosa quiescenza, è stato invece promosso in una delle sedi più delicate e prestigiose, l'ambasciata presso il governo turco. Avendo ottenuto una rivincita, e augurabile che ora almeno per un poco la sua penna riposi. Ma è successo ben allro. Gianni Massa, segretario dell'Associazione della stampa sarda, e stato arrestato in aula (poi subito liberato) per non aver voluto rivelare una fonte d'informazione; cioè per aver rispettato un segreto che la legge professionale impone, ma che il codice non prevede. Etrio Fidora, direttore dell'Ora di Palermo, si è visto condannare in appello per aver pubblicalo un disegno c alcuni articoli di denuncia sulla mafia e sulle sue radici politiche e finanziarie. Marco Palmella, per avere stampato su un notiziario di cui era direttore responsabile un comunicalo del partito radicale che invitava all'astensione dal voto tre anni fa, è stato raggiunto da una condanna che ha colpito paradossalmente chi riportava la notizia, e non gli autori dell'invito slesso, e cioè i dirigenti radicali, il direttore dell'Europeo è stato denunciato per aver pubblicalo l'intervista sgradita ad un magistrato. E infine, è di ieri l'annuncio di un processo per direttissima contro l'ex direllore c un redattore del Messaggero per avere stampato una frase pronunciata — in favore della legalizzazione dell'aborto — dal segretario del partito radicale, in una conferenza stampa che fu del resto raccontata da tutti i giornali italiani. E' facile scoprire il nodo giuridico del dibattito: da una parte, la rigida applicazione di leggi che, sebbene superate, fanno ancora parie del nostro codice, dall'altra alcune norme fondamentali quali il diritto di cronaca, la libertà d'espressione e di pensiero, la completezza dell'informazione. E' uno scontro antico, e di cui certamente non è l'Italia ad avere l'esclusiva: la lunga battaglia americana per la pubblicazione delle « cj'tc del Pentagono » è stata la vicenda più clamorosa, ma non certo l'unica. Da sempre, e dovunque, il compito giornalismo di raccontare la verità — o di stanarla quando essa è velata e nascosta — comporta un margine di rischio. Nessun martirio, nessuna invocazione di privilegi: i giornalisti non abitano una zona franca, non sono « sciolti dalle leggi », e anzi il loro lavoro va esercitalo in condizioni di particolare responsabilità e prudenza. Tuttavia i fatti elencati — ed altri ancora — inducono a pensare che si voglia in qualche modo scoraggiare l'esercizio della verità, dal momento che i falli riportati e condannati erano senza dubbio veri. Certe leggi, chiaramente spazzate via dai tempi, andrebbero applicate con maggior lungimiranza. Certe sentenze, poi, intimidiscono, rischiano di rendere più difficile l'esercizio del proprio dovere. 1 giornalisti non sono perseguitati, ricordiamo rari esempi di condanne eseguite, il caso Aristarco, il caso Guareschi. Spaventa semmai che eguale rigore non venga applicato verso altri reati, ben più gravi. E spaventa l'idea che si voglia una stampa do eile, ossequiosa, celebrativa. Inquieta, infine, che si possa tentare di ottenere questo risultalo con molti mezzi, di cui la severità delle imputazioni non è nemmeno il più crudo. Qui. senza dubbio, il discorso diventa politico. Non crediamo che un disegno repressivo abbia raggiumo le preture e i tribunali, dove siedono magistrati il cui orgoglio è l'indipendenza. Ma crediamo che sia una precisa responsabilità politica quella di non aver messo mano alla riforma totale di un codice che, anche per quanto riguarda la stampa, risale ai tempi delle « veline » fasciste e dei tribunali speciali. Forse solo per inerzia, e non per fornire intatti strumenti repressivi: ma certo è che le leggi sono rimaste le :>lessc, e provocano questi frutti. Con rare eccezioni, non c'è società del mondo occidentale che possegga regole così intolleranti nei confronti del diritto di critica e della libertà d'opinione. Cancellarle c sostituirle non è solo un preciso dovere di una classe dirigente, ma è anche il solo modo per fugare il dubbio che si voglia tenere quelle polverose leggi sospese sui giornali, e magari talvolta — in un clima di delusione e di malessere — agitarle come un mezzo di pressione. Del resto, che il potere sia scontento delle critiche e sia insofferente di sentirsi pedinato e controllato, è comprensibile. L'attuale segretario della de ha attribuito parte della responsabilità del calo del suo partito il 15 giugno all'azione «corrosiva » della stampa. Gli ha risposto indirettamente il capogruppo dei deputati democristiani, ieri, quando ha confessato errori e ritardi, ha ammesso che la dignità professionale era stata spesso messa « in seconda linea ». ha criticato chi crede che si possano esercitare, in questo settore. « interventi dall'alto ». E' augurabile che sia l'inizio d'un rapporto diverso fra potere e informazione. Crisi gravi e riforme inattuale lo esigono. E lo esige soprattutto la constatazione che la società cresce, e la domanda di diritti civili esplode, e raggiunge ogni settore. Inquieta che il dirigente della sezione narcotici di Roma venga punito per aver espresso la sua opinione di cittadino contro una legge iniqua; e rattrista che un sergente dell'aeronautica sia passalo attraverso un processo che poteva essere evitato. Quando i codici sono tanto più lenii del costume, avvengono scontri dolorosi. Sarebbe un grave errore pensare che chi chiede riforme e aggiornamenti, come chi critica lentezze e pregiudizi, venga considerato un reo, un sovversivo degno di punizione. Andrea Barbato

Persone citate: Aristarco, Gerolamo Messeri, Gianni Massa, Guareschi

Luoghi citati: Italia, Roma