Gioco d'azzardo per Sadat di Igor Man

Gioco d'azzardo per Sadat V EGITTO TRA INFLAZIONE E CONTRASTI SOCIALI Gioco d'azzardo per Sadat Ha riposto la salvezza nella ricerca della pace e nei capitali stranieri, che però giungono assai meno cospicui del necessario - C'è una ripresa edilizia, ma riso, olio e zucchero sono razionati; il popolo sopporta sacrifìci ai quali potrebbe reagire (Dal nostro inviato speciale) Il Cairo, luglio. Infitah in arabo significa « apertura ». Questa parola sintetizza la politica del presidente Sadat, la politica, appunto, della « porta aperta » e riassume tutte le speranze del popolo egiziano piagato da una disastrosa congiuntura economica. Il grande sogno di Nasser era di lare dell'Egitto un Paese socialista e moderno; nonostante gli straordinari progressi compiuti in dicìotto anni, l'Egitto non è diventato « né veramente moderno, né realmente socialista ». Se Nasser è stato, sema dubbio, il protagonista del più audace tentativo di liberare gli egiziani dalla loro miseria, dalla loro umiliazione, dallo sfruttamento straniero, è certo che non osò mai assumer? né i melodi né i rischi di una vera « rivoluzione », la quale presuppo- | [ ; i 1 neva la democratizzazione j dei potere e soprattutto il > coraggio di voler fare la pa- | ce con Israele. Sadat, il modesto « vica- I rio » dileggiato dal Kaed El j Khaled, il capo eterno, ha i abolito la censura sulla stampa, ha dato fiato all'As- \ | semblea nazionale 'il Parlamento), ha condizionato la [ velleitaria Unione socialista ; 'il partito unico), ha soppresso lo Stato del Mokhabarat, i servizi speciali di polizia, ha chiuso i campi di concentramento e sfollato le i carceri dei detenuti politici. 1 Ha, insomma, scelto la li- j nea morbida in politica co > me in economia, | Dopo la « vittoria », forte del « contratto sociale » sti I pulato con l'opinione pub j blica del suo Paese, un con i tratto di comprensione e fi ducia, Sadat ha invertito de \ cisamente la rotta. Per ven- tìcinque anni si è parlato nel mondo arabo di Israele come di un corpo estraneo alla regione. Ora Sadat «tende a trasformare il conflitto in una sorta di "divergenza" fra Stati di una stessa zona geo-politica, i quali hanno comuni interessi di n o i : o a r r e sviluppo e perciò di pace ». (L'America, dicono al Cairo, sembra aver ricevuto il « messaggio » di Sadat, ma Israele?). Nella prospettiva di una soluzione pacifica della cri- si, che non è detto debba necessariamente essere, almeno in un primo momento, una pace vera e propria, l'Egitto dovrà preoccuparsi di lavorar sodo, dando la priorità ai problemi interni. Sadat vuole rovesciare la tendenza tipica dei Paesi in via di sviluppo, quella cioè di condurre una certa poli- tica estera come diversivo alle difficoltà interne. « La nostra politica estera dovrà riflettere la stabilità, la eoerenza, la consapevolezza del Paese, il suo impegno di pròmozióne umana, sociale, eco- nomica ». La decisione di riaprire il Canale, nonostante il fallimento della missione Kissin- ger nel marzo scorso e gli ostacoli, che tuttora si frappongono a un nuovo disim.pegno nel Sinai, attesta la volontà pacifica dell'Egitto e l'impegno dì Sadat a perseguire la infitah. Per Sadat la | riapertura di Suez è la pre- messa indispensabile a quel decollo economico senza del quale l'Egitto non potrà mai diventare un Paese veramen- te moderno. Sadat non fa mistero delle difficoltà in cui si dibatte il Paese. Cor ';na superficie tre volte qutda dell'Italia, l'Egitto dispone di soli 35.5 mila chilometri quadrati obi- tali e coltivati ed è afflitto da un tasso d'incremento della popolazione del 3 per cento: un milione di bocche in pili l'anno. Dal 1967 le ostilità condotte « per il riscatto del popolo palestinese », sono costate 24 miliardi di dollari. « Pensate che paradiso sarebbe diventato il mio Paese se tale somma fosse stata investita in piani di sviluppo », ha detto il presidente al ministro del Tesoro ame-ricano, William Simon. « Sia-mo diventati uno dei Paesi più poveri del mondo. Dall'ultima guerra l'Egitto è uscito stremato, con una po-polazione di 37 milioni di a-i nime. Durante gli ultimi set| te anni le nostre infrastrutture sono andate completamente in pezzi. I fratelli ara-bi hanno contribuito con due miliardi di dollari e l'Iran con un miliardo al finanziamento dei nostri prò-getti. Tutta l'assistenza fi-nanziaria di cui abbiamo usufruito è stata consacrata a onorare le scadenze deivari debiti contratti con l'è-stero. Attraversiamo una fa-se difficile, abbiamo urgente bisogno ai liquidità ». Il 2 maggio, in un discorso alla nazione, il presidenteha denunciato il rifiuto sovietico di concedere una moratoria di dieci anni al pagamento del debito contratto con l'Urss: 4 miliardi ddollari. Dopo aver detto cheil suo Paese ha bisogno « dun momento di grazia» f«maessi non vogliono concedercelo»;, giacché egli non può chiedere al popolo egiziano« di stringere ancora la cintola », Sadat ha sollecitato robusti investimenti esteri« La nostra economia è esausta ». Appunto per incoraggiaregli investimenti stranierinel luglio del 1974 Sadat ha varato la infitah, con una legge che esprime una precisa scelta politica. Questa legge ha significato infatti iripudio del socialismo nasseriano che lasciava allo Stato il 90 per cento deglj investimenti. Infitah: in pra| tica Sadat ha scelto il capitalismo, l'economia di mercato temperata da una blanda pianificazione. Gli investitori privati egii ziani si sono subito mossigià si assiste a un'interessante ripresa edilizia. Pequelli esteri è stata approvata, in giugno, un'apposita legge. Essa protegge le soo a - j ciéià straniare da eventualu n o di o oa el oao e, o no¬ ba ti a a c e nnazionalizzazioni; assicura alle stesse imprese la totalesenzione dalle tasse, imposte, diritti doganali per primi cinque anni di attivtà; consente infine il trasferimento all'estero dei profitti conseguiti. Grandi imprese europema anche nipponiche e brasiliane hanno allo studio vasti investimenti nella zondel Canale. I primi a varcarla « porta aperta » sono stati gli americani: David Rockefeller, presidente dellChase Manhattan Bank, hconcesso all'Egitto un prestito di SO milioni di dollarLa General Motors progettla costruzione di uno stablimento di montaggio peautovetture (65 milioni ddollari). L'Union Carbidsta trattando l'impianto dun complesso petrolchimicad Alessandria e la Gulf un fabbrica di lubrificanti. La Lockheed vorrebbe costituire con gli egiziani lina nuova linea aerea interaraba. L'Iran, infine, ha confermato l'intenzione di investire nella zona franca di Port Said due miliardi di dollari. Ma si tratta di progetti a lungo termine: ci vorranno anni prima che possano diventare esecutivi. Per il momento l'afflusso di capitali esteri è piuttosto modesto, le grandi imprese multino zìonali esitano a muoversi. A frenarle non è tanto il timore di una nuova guerra, quanto la difficoltà di reperire i capitali, a causa della crisi mondiale, le incerte prospettive di mercato, soprattutto i cavilli dei burocrati egiziani, « masters of creative inefficiency », come li ha definiti un diplomatico occidentale. Il fatto che i capitali esteri giungano in misura inferiore alle previsioni (o alle speranze?) rischia di provocare conseguenze drammatiche: il prodotto nazionale lordo egiziano è di appena 9,6 miliardi di dollari contro un deficit della bilancia commerciale di circo, tre miliardi di dollari. I prezzi sono aumentati del 24 per cento nell'ultimo anno, il tasso di inflazione sfiora il trenta per cento. La liberalizzazio- ne economica ha portato alla febbre consumistica limi-tata però a strati circoscrit-ti della popolazione. Finoradella infitah hanno beneficia-to solo i ricchi borghesi che si son visti restituire le terre e le proprietà sequestrate da Nasser. Si calcola che tra vecchi e nuovi ci siano oggi in Egitto più milionari che ai tempi di Faruk. Le Mercedes e le Cadillac intasano il traffico, mentre la povera gente è costretta a viaggiare sui tetti degli autobus, sempre più cadenti. Ogni sera i ristoranti di lusso espongono il cartello « esaurito »; di contro il riso, lo zucchero, l'olio, il burro, il sapone sono razionati e il tè, la bevanda popolare degli egiziani, scarseggia. La carne che nelle cooperative dì consumo dovrebbe essere venduta intorno alle 70 piastre (poco più di un dallaro; al chilo, raggiunge il doppio presso i macellai che hanno stabilito un monopolio di fatto. Lo stipendio medio d'un piccolo funzionario egiziano corrisponde al prezzo di 25 chili di carne al mercato nero. Sadat non ignora il malcontento degli operai, degli studenti e, del resto, le sommosse popolari del gennaio e del marzo sono state un sinistro campanello d'aliar- me. Ha disposto larghe prov videnze (aumento del minimo dei salari e delle pensioni, indennità di carovita, gratifiche straordinarie ai neolaureati), ha chiesto nuovi crediti agli Stati Uniti. Ha chiesto soprattutto al suo popolo di « pazientare perché la "politica di apertura" finirà col dare i suoi frutti». Ma può un popolo che vive di scarso pane e di poche fave continuare ad accettare in silenzio la sua miserevole condizione quando la borghesia sciala? Paradossalmente, in tutta la storia dell'Egitto moderno, sono stati sempre i miserabili estranei alla politica a fare e disfare le fortune dei potenti. Sadat lo sa bene, ma il suo è un rischio calcolato. Ha puntato tutto sull'accoppiata pace-liberalizzazione e sembra deciso a mantenere l'audace scommessa. Igor Man