I frati e il Papa di Carlo Falconi

I frati e il Papa I ROSMINIANI RIABILITATI I frati e il Papa Le cronache delle ultime settimane hanno registrato due avvenimenti tra loro diversissimi, ma che, da angolazioni diverse, contribuiscono a mettere a fuoco il ruolo delle famiglie religiose (ordini, congregazioni, istituti laicali e secolari) nella Chiesa d'oggi. Il primo è la consacrazione episcopale del rosminiano Clemente Riva; il secondo, le solenni esequie del fondatore dell'Opus Dei, monsignor Escrivà de Balaguer, alla presenza di sette cardinali, del Sostituto della Segreteria di Stato e di moltissime personalità della Curia. Il secondo avvenimento non ha bisogno di commenti. A riguardo del primo, invece, occorre rilevare come esso mette fine, in un certo senso, alla scandalosa quarantena in cui è stato tenuto l'ordine del Rosmini per quasi 150 anni (l'Istituto della Carità è stato fondato dal grande filosofo e teologo roveretano nel 1828 e approvato dalla S. Sede undici anni dopo). Il ncovescovo infatti è il primo rosminiano italiano promosso all'alta dignità ed è stato preceduto finora da due soli confratelli stranieri, un brasiliano morto nel 1870 e un vescovo missionario irlandese tuttora vivente. Il perché di questa ibernazione è tutt'altro che misterioso. Basta ricordare l'opposizione mossa personalmente al Rosmini e poi ai suoi figli spirituali durante tutto l'800, prima per ragioni prevalentemente politiche, poi culturali. A torto o a ragione, Rosmini apparve e continuò ad essere ritenuto in Italia il simbolo del liberalismo cattolico non solo da parte del clero (si pensi ad Antonio Stoppane, ma anche da parte del laicato (si pensi al Manzoni e al Fogazzaro). E la situazione si complicò quando Leone XIII impose la sua politica culturale alla Chiesa intera: Rosmini e rosminiani furono infatti avversati come antitomisti. E' vero che la questione modernista si sostituì al principio del '900 alla questione rosminiana mettendola non solo in sordina, ma facendola quasi dimenticare. Ma è altrettanto vero che non fu mai perdonato ai rosminiani di esser potuti passare nell'opinione pubblica come gli avversari di due pontefici e di due pontificati. E soltanto dopo il Concilio Vaticano II si cominciò a sciogliere il ghiaccio con la liberazione dall'Indice — quando ormai però questo ultimo stava per essere abolito — del famoso libro del Rosmini sulle Cinque piaghe della Chiesa. Una lunga e incredibilmente sproporzionata messa in aspettativa che fa più netto il contrasto con l'esaltazione immediata quanto incondizionata del religioso spagnolo e del suo pur così discusso istituto fatta dal quotidiano della S. Sede insistendo soprattutto sul suo « amore » e sulla sua « cieca fedeltà » al Papa e alla S. Sede. Un contrapposto, questo, che non costituisce certo una rivelazione, ma che offre una ennesima conferma delle ragioni che possono determinare la fortuna o la sfortuna di un ordine religioso nel mondo cattolico in rapporto soprattutto al suo vertice. Le preferenze della base non sono in genere identiche, anzi piuttosto discordanti. Esse vanno anzitutto verso l'esemplarità della vita, poi verso la complementarità dell'azione caritativa e sociale dei vari ordini religiosi. Si ammiraad esempio, senza restrizioni la vita contemplativa, specie nelle forme più severe di claustrazione, e altrettanto la dedizione apostolica dei missionari. Ma si è naturalmente ancor più vicini col cuore e nella comprensione a quegli ordini che attuano i più umile disinteressati servizi di sollievo economico, di assistenza ai sofferenti e di istruzione scolastica a favore dei ceti più deboli. Per questo i cappuccini, che nei periodi aurei della loro autenticità hanno saputo interpretare questo spirito di servizio popolare nemodo più semplice ed eroicosono divenuti quasi un mitoDire che il vertice direttivo della Chiesa non riconosce, soprattutto in teoria, il primato degli ordini contemplativi su quelli attivi e, fra questi ultimi, di quelli dediti alle opere di carità e di pura evangelizzazione, sarebbe assurdoMa per le esigenze inesorabildi ogni forma di potere, le sue preferenze vanno di fatto a quegli organismi che nelle varie epoche offrono la maggiore disponibilità delle proprie energie all'esecuzione depiani operativi della gerarchiaNel corso dell'attuale millennio, ad esempio, le predilezioni del potere centrale sono andate inizialmente agl ordini cavallereschi sia per le prestazioni che essi offrivano in occasione delle crociate, sia per il servizio d'ordine che garantivano ali interno della comunità cristiano - europea. Poi, quando apparvero i grandi ordini mendicanti, Roma non nascose le sue preoccupazioni per la libertà carismatica che caratterizzava il francescanesimo delle origini, mentre non esitò a fare la sua scelta preferenziale per i domenicani, schieratisi subito sugli spalti dell'ortodossia come difensori della fede e divenuti altrettanto immediatamente i nersonificatori intransigenti e inflessibili dell'Inquisizione. In seguito però anche i discendenti di Domenico di Guzman furono scavalcati nelle simpatie curiali dall'agguerritissimo esercito dei discepoli di Ignazio di Loyola, ma non tanto per il suo poderoso e ordinato inquadramento militare quanto per il voto speciale con cui l'originalissima nuova falange religiosa si poneva a totale disposizione degli ordini c rlei piani di battaglia della S. Sede. La parentesi forzata della soppressione della Compagnia di Gesù non fece che privilegiare ancora più estesamente i gesuiti quando furono richiamati in servizio. E le recenti vicende dell'ordine sotto l'attuale pontificato dicono come la S. Sede non intenda rinunciare a qualsiasi costo alle sue prestazioni, nonostante Io spirito di fronda che attualmente lo percorre. Insomma: nell'accentramento che via via Roma ha esteso a tutte le famiglie religiose, non solo facendone il fulcro ma subordinandole strettamente a sé, i rapporti di dipendenza dei vari ordini verso la S. Sede sono divenuti sempre più fondamentali. E ciò, naturalmente, ha determinato la messa in atto di misure compensative del comportamento da essi tenuto. In genere i mezzi e i modi con cui la S. Sede premia il servizio offertole dalle varie famiglie religiose sono i brevi di lode con cui ne riconosce ufficialmente le benemerenze, l'ammissione più o meno larga dei loro membri alle beatificazioni e canonizzazioni, la concessione di postichiave o comunque di responsabilità e di prestigio accordati loro in vari settori della Curia romana, infine le promozioni alle dignità di vescovi e di cardinali. Nell'ultimo secolo e mezzo, ad esempio, si è potuto parlare di una ve dclvpinap(tdLgnpeptgrcgdra e propria politica di dosag-1 gio usata dai papi nella riserva dei seggi cardinalizi agli ordini religiosi. In parte il fenomeno aveva anche lontani antecedenti, ma naturalmente è divenuto molto più vistoso da quando, con la fine dell'assolutismo e del giurisdizionalismo, sono cessate le nomine dei cardinali delle Corone, reclamate dai vari sovrani cattolici. Nella prima metà dell'800, tuttavia, i religiosi cardinali furono in numero molto esiguo, forse anche per l'impossibilità di promuovere subito dei gesuiti (ristabiliti nel 1814). La situazione si venne normalizzando sotto Pio IX, ma solo con Leone XIII si verificò un ingresso massiccio di religiosi nel Sacro Collegio. Soltanto per quel che riguarda l'Italia egli ne sollevò ben 17 alla porpora: 4 benedettini, altrettanti domenicani, 3 agostiniani, 2 gesuiti, 2 cappuccini, un oratoriano e un carmelitano scalzo. Le stesse proporzioni sono confermate dalle nomine avvenute dalla fine della prima guerra mondiale al pontificato di Papa Giovanni: 5 benedettini, seguiti dai domenicani (4), dai gesuiti (3), ecc., come pure è stato confermato e sviluppato l'allargamento della base con la cooptazione di numerosi ordini e istituti, soprattutto missionari, che prima non avevano mai avuto un loro esponente porporato. Furono confermati gli oratoriani, i cappuccini e i minori (con un membro soltanto) e nominati per la prima volta i salesiani (3), i carmelitani scalzi (2), gli scolopi, i serviti, gli oblati di Maria Immacolata, i verbiti, i clarettiani, i basiiiani, la Congregazione del SS.mo Redentore, quella di Santa Croce, ecc. (con un membro ciascuno). Poiché però entrare nel Sacro Collegio ha sempre voluto dire — e la situazione non è mutata tuttora, dalla recente riforma paolina, se non per i cardinali ultraottuagenari — poter essere nominati papi, è anche troppo naturale chiedersi in quali proporzioni i religiosi sono stati ammessi a questa altissima dignità. Ebbene, su 49 pontefici che dal '500 ad oggi, e cioè per quasi cinque secoli, hanno occupato il vertice della Chiesa, soltanto sei sono usciti da conventi e case religiose: due sul finire del '500 (Pio V e Sisto V); nessuno nel '600; due nel '700 (Benedetto XIII e Clemente XIV); e due nell'800 (Pio VII e Gregorio XVI). Quanto agli ordini religiosi poi che hanno avuto l'onore di dare dei pontefici alla Chiesa dello stesso periodo, essi sono: i benedettini con gli ultimi due papi, i minori francescani conventuali con Sisto V 1 e Clemente XIV e i domenicani con Pio V e Benedetto XIII. Pochi, quindi e non troppo ben scelti. Sintomatica addirittura, comunque, ma in un certo senso logica data la specificità della loro vocazione, l'assenza di un papa gesuita. Carlo Falconi

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