Quanti morti ogni anno per malattie infettive? di Franco Giliberto

Quanti morti ogni anno per malattie infettive? Inchiesta su un problema che fa ancora paura Quanti morti ogni anno per malattie infettive? Le statistiche ufficiali dicono 8 mila - Ma secondo uno studioso di statistica sanitaria i decessi sarebbero cinque volte superiori - Drammatiche cifre della mortalità infantile Vuoi calamitare l'attenzio-1 ne della gente? Parlale della scoperta di un farmaco portentoso o presunto tale; di un'abilissima operazione chirurgica; dell'invenzione in via di perfezionamento che ridarà la vista ai ciechi o il vigore ai centenari. E' facile assecondare la tendenza diffusa che considera la scienza medica soltanto in funzione di mirabolanti applicazioni o sensazionali ritrovati. Così c'è chi pensa — e non soltanto fra gli sprovveduti, purtroppo — che nell'era del miracolo antibiotico discutere di educazione sanitaria, ambiente e strutture igieniche di base sia un po' far dell'accademia. Le malattie della società dei consumi (cioè la patologia non infettiva: rilevantissima, ma anche tanto di moda) surclassano quelle delle comunità primitive. E parrebbe più che logico, se oggi non dovessimo — sembra incredibile — reinserire nell'ambito delle malattie della civilizzazione anche molte affezioni che facevano tribolare le comunità primitive. Vediamo le statistiche. Dicono che le malattie infettive, negli ultimissimi tempi, in I Italia sono state fatali a circa i ottomila persone l'anno. Quattordici morti ogni centomila abitanti come media nazionale e punte di 21 morti1 per centomila abitanti nei casi limite di Campania e Tren- ! tino-Alto Adige (il grafico che pubblichiamo illustra la situazione «ufficiale» regione per regione). Emergono due dati: vi sono territori nei quali la patologia infettiva può ritenersi più controllata quanto alle morti (Italia Centrale), mentre l'incidenza letale prevalente si verifica sia ! a Nord che a Sud, indifferen- j temente (Napoletano come Trentino, Friuli-Venezia Giulia e Liguria più o meno come | Puglia e Sardegna). Ma quanto valgono quelle cifre? La statistica è il miglior giudice dell'igiene, si afferma. Va aggiunto: purché sia attendibile e di non equivoca lettura. Il professor Francesco Di Raimondo, direttore del Centro epidemiologico di Roma e primario dell'Ospedale infettivo «Spallanzani », sostiene per esempio che restringendo l'analisi all'età infantile (1-5 anni) le malattie infettive sono ancora presenti per il sessanta per cento delle principali cause di morte e per il trentanove per cento circa del totale dei decessi. «Un avvicinamento alla realtà della situazione — aggiunge — è ancora di là da venire, poi, se parliamo del numero di malati: eppure questo è il parametro più sensibile al quale ci si può riferire volendo incidere in modo organico e costante sul fenomeno. Purtroppo sappiamo tutti come sìa elevato lo scarto tra i casi di malattie infettive denunziate e i casi trattati nella realtà. Scarto che si calcola per certe affezioni anche del 30-50 per cento. Noi abbiamo documentato per esempio che in certe regioni, quanto alla rosolia, 180-90 per cento delle infezioni non viene denunciato. Colpa dei medici, certamente, ma anche di una politica sanitaria e di un'opinione pubblica distratte da altri temi e convinte che parlare di malattie infettive sia una perdita di tempo». Quando e come potremo verificare gli effetti gravissimi della «rosolia non denunciata» nell'evenienza di donne che aspettavano un figlio? Cataratta, sordità e vizi cardiaci del nascituro (questi i rischi più frequenti, se la madre ha avu¬ to la malattia nei primi duetre mesi di gravidanza) rientreranno nelle rispettive statistiche tranquillamente, senza che nessuno indichi la loro origine o invochi l'uso del vaccino, privo di inconvenienti, ma ancora non obbligatorio né abbastanza raccomandato? Varrà la pena di parlare ancora delle vaccinazioni, non solo di quelle antirosolia. Per ora ritorniamo alle statistiche ufficiali, che sono abbastanza preoccupane anche senza le riserve sulla loro attendibilità. Nel triennio 1970-1972 i casi di malattie infettive denunciati in Italia furono 170 mila circa ogni dodici mesi. Ma nel 1973 le denunce furono 287 mila (era l'anno del colera in Italia: che i medici siano stati più zelanti, per un condizionamento psicologico, nelle segnalazioni di malattie infettive da loro curate?). Qualche paragone con un solo anno precedente, il 1972: 35 mila casi di morbillo denunciati in più, 50 mila casi di rosolia in più, 2 mila in più di varicella. Dicono gli igienisti: «La valutazione dell'andamento epidemiologico delle malattie infettive non può fondarsi sulle statistiche dei casi denunciati. Quanti dei centomila medici italiani segnalano, come prescrive la legge, salmonellosi, morbilli, rosolie, parotiti, infezioni tifoidi, pertosse, febbri ricorrenti, congiuntiviti j trasmissibili, tubercolosi, malattie veneree, reumatismi poliarticolari acuti: sospetti o conclamati, contagiosi o no?». Uno studioso di grande fama, il professor Giovanni L'Eltore, è andato oltre. Ha cercato di valutare l'incidenza reale degli agenti microbici nel complesso delle cause di malattie e di morte in Italia; con una équipe di collaboratori della cattedra di statistica sanitaria dell'Università romana ha compiuto una «lettura critica» dei dati ufficiali, confrontandoli con ricerche su affezioni non prima prese in considerazione, nelle quali apparivano dei microrganismi patogeni come causa di morte. Ha reso noti i risultati della ricerca, rivelando che nel periodo preso in esame 73 mila decessi erano dovuti in Italia a microrganismi patogeni (contro i soli 12 mila morti denunciati in modo esplicito come dovuti a malattie infettive). Senza tener conto dei decessi per malattie cardio-reumatiche, L'Eltore aveva calcolato (si era nel 1967) che in Italia si moriva con una cadenza di otto persone all'ora, per agenti infettanti. Sostiene il professor Di Raimondo (che è anche membro della commissione ministeriale per l'epidemiologia e la profilassi delle malattie infettive: «Il passo più urgente da compiere è verso un'estesa presa di coscienza che il pròj blema esiste e che va risolto: se ciò avvenisse in ambiti culturali medici e di responsabilità politiche, si potrebbe avere qualche buona speranza. Insegna l'esperienza che in una società civile, quando si è in molti realmente convinti che qualcosa va fatto in fretta e priorità, gli ostacoli non contano e anche i tempi possono diventare ragionevolmente brevi». Vedremo quali sono gli ostacoli, le incongruenze, le manchevolezze e gli altri aspetti poco tranquillizzanti del capitolo malattie infet| tive. Franco Giliberto (A pagina 11: Cinque casi j di tifo a Genova). j I i La statistica ufficiale, regione per regione, dei morti di malattie infettive ogni 100 mila abitanti: quanto è attendibile?

Persone citate: Spallanzani