Poche per la cameriera centomila lire al mese

Poche per la cameriera centomila lire al mese Una sentenza del pretore di Pavia Poche per la cameriera centomila lire al mese (Nostro servizio particolare) Pavia, 2 luglio. Interessante sentenza del magistrato del lavoro di Pavia in materia di retribuzioni alle collaboratrici domestiche. Accogliendo il ricorso presentato dalla «colf» pavese Assunta Barrui, abitante in via Romagnosi 3, il giudice ha stabilito che possono essere poche per una cameriera centomila lire al mese più un pasto al giorno per otto ore di lavoro quotidiano. Questo, nonostante il contratto nazionale di lavoro per le collaboratrici domestiche, stipulato nel maggio '74, stabilisca un «tetto retributivo» appunto di centomila lire. Il giudice pavese del lavoro afferma che la retribuzione, per il solo fatto di essere stabilita in un accordo collettivo di lavoro, non può soddisfare l'art. 36 della Costituzione, che prevede la rispondenza della mercede fissata dal contratto collettivo ai criteri della proporzionalità e della adeguatezza delle prestazioni fornite. Il «tetto» di centomila lire mensili, per undici ore giornaliere di lavoro, si riferisce, ha sostenuto il magistrato, alle domestiche fisse, che vivono con la famiglia presso cui lavorano, dalla quale ricevono anche i pasti. Giusta e legittima, quindi, la richiesta di una retribuzione maggiore avanzata dalla Barrui che, pur svolgendo lavoro di domestica fissa, consumava un solo pasto presso la famiglia del datore di lavoro. Assunta Barrui, nel novembre del '69, era entrata a ser vizio presso la famiglia del dott. Fabrizio Cattaneo, a 65 mila lire mensili; era stata licenziata nel settembre del '74, quando ormai la sua retribuzione per il servizio a tempo pieno era salita prima a 75 mila e poi a 100 mila lire. Cessato il rapporto di lavoro, la «colf» chiese 362 mila lire come indennità di anzianità e un milione e 457 mila lire quale conguaglio della paga percepita. Sul punto liquidazione il dott. Cattaneo non sollevò obiezioni, rifiutò però il conguaglio, sostenendo di aver pagato la domestica in base al contratto di lavoro. La Barrui si rivolse allora alla magistratura e il giudice del lavoro, dott. Sinagra, come abbiamo visto, le ha dato ragione, condannando l'ex datore di lavoro a pagarle una rivalutazione dei compensi. Un adeguamento che, in pratica, supera il «tetto» contrattuale; il magistrato ha ritenuto che le retribuzioni percepite dalla collaboratrice domestica nel periodo 1971-1974 non fossero proprozionate alla quantità ed alla qualità del lavoro prestato, né tanto meno idonee ad assicurarle un'esistenza familiare dignitosa. f. m.

Persone citate: Cattaneo, Fabrizio Cattaneo, Sinagra

Luoghi citati: Pavia