E' morto l'avv. Valdo Fusi un coraggioso antifascista di Luciano Curino

E' morto l'avv. Valdo Fusi un coraggioso antifascista Ieri nella casa di campagna a Isola d'Asti E' morto l'avv. Valdo Fusi un coraggioso antifascista Aveva 64 anni - Colto da improvviso malore mentre si preparava a rientrare a Torino - Un uomo mite e generoso - Amava la pace ma si era buttato con ardore nella Resistenza - Fu uno degli imputati al processo Perotti - Era stato deputato de E' morto ieri mattina all'improvviso, nella sua casa di campagna ad Isola d'Asti, l'avv. Valdo Fusi, notissima figura della Resistenza (fu uno dei pochi superstiti del processo di Torino nell'aprile '44), ed ex deputato de. Aveva 64 anni, ma nonostante gli impegni e la vita intensa che conduceva era conosciuto da tutti come un uomo dinamico, pieno di brio. Lunedì si era recato in campagna con la moglie, e ieri mattina verso le sette stava preparandosi a tornare in città per il suo lavoro di avvocato quando un malore improvviso l'ha stroncato. Tra le prime espressioni di cordoglio giunte alla vedova, il telegramma del presidente della Regione Piemonte: «Colgo idealmente un fiore dal Martinetto, pregandola di volerlo deporre per me sulla sua tomba ». C'è un gesto sconosciuto di Fusi che va raccontato perché ì spiega l'uomo. E' il 1951, quan-] do il fascismo assalta i circoli dell'Azióne Cattolica. Fusi frequenta il primo anno di Legge. ; Un giorno gli universitari, tutti con la divisa del Guf. vengono schierati nel cortile dell'Ateneo di via Po. Un gerarca dice: «Dovete scegliere: o la milizia universitaria o l'Azione Cattolica. Chi vuole ancora rimanere nell'Azione Cattolica esca dalle file». Il solo Fusi esce. C'è un silenzio drammatico. E Fusi si spoglia con calma, ogni capo (la camicia nera e tutto il resto), lo ripiega per bene e lo posa ai piedi del gerarca. E' a torso nudo, scalzo, sta per sfilarsi anche i calzoni, ma ci ripensa c dice sorridendo al gerarca: «E' meglio che li tenga, altrimenti mi denunciate per oltraggio ai pudore». Così era fatto Valdo Fusi. Un coraggio eccezionale (e ce ne voleva di coraggio per dir di no, per di più in maniera beffarda, al trionfante fascismo degli Anni Trenta) che dissimulava con l'umorismo, con una battuta di spirito o una risata a piena gola. «Il mite e buon Fusi, quest'uomo di una festosa giovanilità di spirito, che serba ancor oggi quell'aria di mattacchione gaudente...» ha scritto di lui Alessandro Galante Garrone. Quelli che lo conobbero più intimamente sono concordi nel riconoscergli una generosità senza calcolo, una purezza d'ideali senza limiti e l'indifferenza per il denaro. Veniva da una buona matrice: quel liceo D'Azeglio e quel professor Augusto Monti che formarono i migliori della sua generazione. Era un uomo anelante alla pace, ma non venne mai a compromessi c si buttò nella Resistenza fin dal primo giorno. Non si atteggiò mai ad eroe, un giorno, anzi, confidò a Duccio Galimberti: «Non sono del tuo metallo. Ho sempre paura. Non vedo l'ora die finisca questa storia. Vivere in tribunale come prima... Galimberti, la guerra che schifo». Alla fine del marzo '44 fu catturato nel Duomo di Torino con il generale Perotti e gli altri del comitato militare del CIn regionale piemontese. Il processo, otto condanne a morte, Fusi è assolto per insufficienza di piove. Nel freddo mattino del 5 aprile al poligono del Martinetto gli otto sono fucilati. «Fiori rossi al Martinetto» è l'umanissimo racconto - testimonianza di Valdo Fusi. Scrive nella prefazione A. Galante Garrone: «E' una vicenda tragica, tutta stillante dolore: come il lettore potrà ben comprendere. Ma è un dolore come trasfigurato da quelle che mi sembrano le due note fondamentali di queste belle pagine. La prima nota è une trasparente, candida bontà. Fusi ha una sincerissima ammirazione pei molli suoi compagni; li vede, a volle, anche più grandi di quel che sono, pur rilevando le piccole, umane debolezze; si sente, fra loro, un principiante, quasi una comparsa (eppure noi sappiamo con quanta risolutezza si è buttato nella mischia); è pronto a cogliere, in tutti loro, l'aspetto umano, gentile, coraggioso». L'altra nota dominante del libro è «uno schietto umorismo». Nel «braccio della morte» i condannati sono sereni, la loro conversazione è giocosa. Con il suo libro, Fusi ci dà questo stupendo quadro: i morituri che scherzano c fuori dalle celle gli aguzzini sono torvi, tutti incarogniti. «Geuna racconta storielle. Tutti ridono, specialmente Braccini che dice: questa è bbona» si legge. In un'altra pagina, gli imputati stanno per andare al tribunale speciale e Fusi rimprovera il generale Perotti che non si è raso: «Generale, sei l'unico che ti presenti brutto davanti al tribunale. Sei il personaggio numero uno. Devi fare come i vecchi ufficiali dei granatieri che andavano all'assalto con la camicia pulita, la barba fatta e il fazzo- ljtto spruzzalo di colonia». «E non tornavano indietro» ride il generale incominciando a radersi. In attesa della sentenza, Fusi pensa di essere fucilato come gli altri e dà un appuntamento a tutti per il giovedì mattina «al terzo angolo a destra di San Pietro. Puntualità, mi raccomando». Anche davanti al plotone di esecuzione i condannati sono rimasti sereni (e si immaginano le facce livide dei fucilatori). Perfino in quell'estremo momento c'è stato chi ha scherzato: «Il plotone era schieralo, il cancelliere leggeva la sentenza e disse: "Balbis Bruno" invece di Balbis Franco. Allora lui ha alzato un braccio. "Un momento! Voi state fucilando un altro. Io sono Franco, non Bruno". Pronunciò queste parole placido c sorridente, la sua voce era salda, era gaia». Scarcerato, ma sorvegliato speciale. Fusi fu mandato dal Cln in Svizzera, ma vi restò poco, rientrò per combattere e fu gravemente ferito nella Val Formazza. Poi la Liberazione e Valdo Fusi fu deputato democristiano per una legislatura. Ma non era un uomo politico, non poteva esserlo. Diceva sempre quello che pensava, soprattutto se erano cose sgradevoli. Esercitò la professione, penalista, senza smania di arricchire. Ma fu ricco d'amicizia. Era un uomo profondamente buono e generoso. Leggo là dove descrive l'ultimo saluto ai compagni che vanno al Martinetto: «Ci abbracciamo e ci baciamo tutti. Quando stringo a me la testa bianca di Eusebio Giambone sento qualcosa che non ho mai sentito. Piango, slrelto a lui. Gli dico: mi credi se ti dico che sarei stato felice di morire con te, domani?». Ecco com'era Valdo Fusi. Luciano Curino

Luoghi citati: Asti, Formazza, Piemonte, Svizzera, Torino