CHE DICONO DI NOI A BONN DOPO LE ELEZIONI di Aldo Rizzo

CHE DICONO DI NOI A BONN DOPO LE ELEZIONI CHE DICONO DI NOI A BONN DOPO LE ELEZIONI Col pei alla finestra Secondo il politologo Berner, i comunisti non muteranno strategia: più che entrare nel governo preferirebbero appoggiare un bipartito dc-psi - Ma il "caso italiano" suscita in Germania timori non dissimulati (Dal nostro inviato speciale) Bonn, luglio. Come era prevedibile, l'analisi tedesca del quadro italiano, dopo l'avanzata comunista del 15 giugno, è solida, spessa, compatta, aliena dalle indulgenze intellettuali e dai futuribili della politologia che ha autorità oltre il Reno. Andrew Shonfield a Londra e Jean-Francois Revel a Parigi mi avevano detto la loro fiducia in un'evoluzione democratica del pei, nella sua capacità di ripensare l'intero problema del socialismo in Occidente, in chiave pluralistica: una fiducia che era anche o soprattutto un auspicio politico. Invece, con la freddezza del medico, chiamato a diagnosticare un male o un problema altrui, il dott. Wolfgang Berner riflette sui reperti senza tradire attese personali, e poi emette questa sentenza: il pei è diverso da tutti gli altri partiti comunisti, ma non abbastanza da poter essere considerato, in prospettiva, una grande forza riformista, un labour party italiano. Il dott. Berner e un comunistologo importante. E' direttore delle ricerche al « Bundes Institut fiir ostwisi senschaftliche und interna- di documentazione e di analisi del mondo comunista. Personalmente, si occupa dei partiti comunisti occidentali, viene spesso in Italia, conosce direttamente molti leaders del pei, da Amendola a Bujalini, a Segre, allo stesso Berlinguer. Ora è molto preso dallo scrivere un libro, ma avrebbe voglia, mi dice, di tornare a Roma, di studiare "in loco" il caso italiano. Pensa che i capi del pei debbano essere stati i primi a restare sorpresi dalla misura del loro successo, sarebbe interessante registrare direttamente le loro rea zioni. La sua opinione è che, comunque, i comunisti italiani non modificheranno la loro strategia, che egli non vede orientata verso una partecipazione diretta al governo (sempre che, beninteso, le prossime elezioni politiche confermino la linea di tendenza del 15 giugno), ma piuttosto verso una crescente pressione sulla de e sul psi, per un decisivo spostamento a sinistra dell'asse governativo. La soluzione ideale per i comunisti, secondo Berner, sarebbe un bipartito dc-psi, con l'appoggio esterno del pei, un appoggio dichiarato e permanente, oppure concesso di volta in voi- i so l'Italia io JJ'""U 1 verso tre e ami quattro fa¬ ta, per battere le destre interne dei due partiti di governo: e questo resta, a suo avviso, l'obiettivo di fondo per la prossima legislatura, pur se saranno accettate o non saranno contrastate, provvisoriamente, soluzioni intermedie. Il «compromesso storico», il dott. Berner lo vede così. Non crede allo « scenario » 1 dì Berlinguer e il professore, 1 sia perché la de resistereb- \ be fl.no in fondo all'ipotesi di un governo con ì comunisti, sia perché gli stessi comunisti non avrebbero un reale interesse a sedere a Palazzo Chigi accanto ai ministri democristiani. Scorge una serie di difficoltà, che vanno dal presumibile disagio della base comunista, e dell'elettorato più giovane che ha raggiunto il pei, al nodo della Nato, che in teoria può essere eluso con espedienti formali, dichiarazioni generali o altro, ma che in pratica porrebbe problemi grossi a tutti, compresa l'Unione Sovietica, che non vuole guastare oltre misura i rapporti con l'America e compromettere la distensione in Europa con un nuovo Portogallo, almeno per il momento. Ma, in una prospettiva più lunga, il pei potrebbe accontentarsi di questo ruolo condizionante, ma subalterno, almeno formalmente? Dice Berner: « Dipende. Se la linea di tendenza elettorale si stabilizzasse, sì: per il pei andrebbe bene così. Se invece la frana democristiana continuasse e. si aggravasse, rendendo possibile una solida maggioranza di sinistra, ma veramente solida, non il 51 per cento già escluso da Berlinguer, i comunisti sarebbero pronti ad andare al governo ». La frana democristiana potrebbe voler dire, continua il Wissenschaftlicher Direktor, una spaccatura del partito, o di ciò che ne fosse rimasto, per effetto della svolta a sinistra e della pressione politica e parlamentare del pei, esercitata inesorabilmente, sotto la minaccia di far deflagrare il sistema: in questo caso, l'ala sinistra della de potrebbe andare al governo col pei. Ricorda la polemica Amendola-Ingrao su quale e quanta de accettare come interlocutrice e la riassume in questo dilemma: « Prima entrare nell'area di governo e poi spaccare la de, o prima spaccare la de e poi entrare nell'area di governo ». Ha vinto, dice, la prima ipotesi. Ma tiene ad aggiungere che queste sono, appunto, ipotesi, che la leadership comunista non esclude, ma che colloca in un futuro teorico, mentre ora il problema politico è un altro, spostare a sinistra la formula del governo e i suoi contenuti. La domanda Anale è che cosa avverrebbe, comunque, il giorno in cui il pei prendesse il potere. Potrebbe sopravvivere in Italia un regime veramente pluralistico? La risposta finale è « no ». « Ma non nel senso, dice Berner. che si instaurerebbe un regime di polizia o qualcosa del genere, il pei conserverebbe la libertà di opinione e di critica, anzi se ne servirebbe come stimolo e come verifica della sua azione di governo e come garanzia contro le inevitabili corruzioni del potere. Quella che sarebbe considerata irreversibile è la svolta in senso socialista della società e del Paese ». Aggiunge: « Sarebbe, certo, una soluzione originale, nell'ambito delle esperienze storiche del comunismo, una soluzione " gramsciana ", ma non pluralistica, in senso occidentale, cioè nel senso dell'alternanza delle forze politiche al potere. Del resto, bisogna avere letto bene Gramsci ». In chiave distaccata e «scientifica», l'analisi di Berner è in sintonia con le reazioni e gli umori degli ambienti governativi di Bonn. Qui c'è una preoccupazione \ aperta per gli sviluppi del caso italiano; l'influenza crescente del pei, per non parlare del suo ingresso nell'area di governo, suscita timori non dissimulati. Ma sulle preoccupazioni politiche in senso stretto, se ho ben capito, prevalgono, almeno a breve termine, quelle economiche. Si teme che lo spostamento a sinistra attenui e infine comprometta l'opera di risanamento della nostra crisi economica, che si ricrei uno spazio per l'inflazione selvaggia e, in ultima analisi, per il dissesto. Da questo punto di vista, l'atteggiamento tedesco verè passato attra- sì. La prima fu quella in cui venivamo considerati in gravi difficoltà, ma meno degli inglesi. I tedeschi dicevano: « La vostra crisi va e viene, ma quella inglese è permanente ». La seconda fase fu quando ci considerarono sull'orlo del baratro, e sembrò inutile stare a distinguere tra noi e gli inglesi. La ter- za è stata quella, più recente, dello stupore alla vista del risanamento della parte « non-oil » del nostro deficit della bilancia dei pagamenti. E soprattutto della restituzione di una parte del prestito della scorsa estate: riaffiorava il mito del genio italiano. Ora l'avanzata comunista e la prospettiva di un nuovo spostamento a sinistra rappresentano la quarta fase, e poiché vi si aggiungono le dimissioni, sia pure rinviate, di Carli, che qui è visto come uno dei pochissimi punti sicuri di riferimento, il sentimento tedesco è francamente vicino alla costernazione. Questo sentimento ha dei grossi agganci interni, con la situazione economica della Repubblica Federale, che è meno rosea di quanto non sembri dall'esterno. I disoccupati, in base alla stima più recente, sono un milione e IH mila (dì cui 160 mila stranieri, compresi trentamila italiani). Le esportazioni, per la prima volta nel dopoguerra, sono in una fase di grave contrazione, soprattutto l'industria automobilistica è in piena crisi, e fra l'altro questo, o soprattutto questo, spiega la tenacia con cui Bonn ha concluso il contrat- \ impegni ] to per la fornitura di im1 pianti nucleari al Brasile, nonostante le forti riserve j del grande alleato americaI no e le reazioni negative del| l'opinione pubblica internazionale. Resta la grande vittoria sull'inflazione, che qui è ad un tasso di appena il 7 per cento; ma il successo è stato ottenuto con una severa deflazione, ed ora che si vorrebbe «riflazionare», ristimolare la produzione, non ci si riesce. Le banche sono piene di denaro", di cui pochi approfittano, e gli investimenti languono. Tutto ciò genera inquietudine, anche alla luce delle previsioni per l'autunno, fra le quali c'è quella di un nuovo aumento del prezzo del petrolio. La Germania teme per sé, poi per gli altri, come l'Italia, e poi di nuovo per sé, perché sa che, con l'aggravarsi della crisi, tutti guardano alla cassaforte tedesca. In una situazione obiettivamente difficile, emerge in Germania un europeismo ruvido, all'insegna del « do ut des »: e l'tt ut des » che ha in mente Schmidt è, in primo luogo, una concertazione severa delle politiche anticongiunturali alla ricerca del difficile equilibrio tra la lotta all'inflazione e i rimedi antirecessivi (che ridiano spazio alle esportazioni tedesche I. Si teme a Bonn che questo obiettivo sia molto più difficile, dopo lo spostamento a sinistra italiano. In una recente riunione del consiglio dei ministri, c'è stata una specie di scontro tra il ministro degli Esteri, Genscher, e il cancelliere, perché Genscher si preoccupava della credibilità europea della Germania (il veto tedesco, per esempio, minaccia già di paralizzare il centro nucleare comunitario di Ispraj, mentre Schmidt era per un riesame dì tutti gli finanziari tedeschi nell'area della Cee. Questo riesame, è stato deciso, si farà a settembre, quando si saranno definiti un po' meglio il quadro economico tedesco e quello internazionale; ma si farà. Aldo Rizzo 1 1 \ Enrico Berlinguer