Gli squalificati a vita di Vittorio Messori

Gli squalificati a vita UNA VOCE DAI MANICOMI CRIMINALI Gli squalificati a vita Alfredo Bonazzi, l'ergastolano-scrittore, ha raccolto in un libro la sua testimonianza sui "depositi dei rifiuti sociali" - Il lavoro, la paga, le percosse - Dice l'ex detenuto: "Degni di compassione sono gli uomini liberi: permettono che un sistema annienti quelli che furono persone come loro" - I ricordi «Sono una spina nel fianco di quelli che ancora invocano la pena di morte», cZice. A giorni gli nascerà un Viglio, il primo, a 46 anni. «Dentro ho gioia e paura. Dovrò imparare a fare il padre senza mai avere fatto il figlio». E' Alfredo Bonazzi, sfondò 11 cranio a un tabaccaio in viale Zara, a Milano, sul finire degli Anni Cinquanta. Per l'omicida fu chiesto l'ergastolo. Con rammarico del pubblico che rumoreggiava al processo, la. pena di morte non c'era più. Riconosciuto seminfermo di mente, gli diedero 28 unni. Nel '43, sotto un bombardamento al suo paese. Atripalda, provincia di Avellino, una scheggia lo avevU colpito alla testa, asportandogli materia cerebrale. Quando rinvenne, i genitori erano morti sotto le macerie, la sorella agonizzava dopo le violenze di un centinaio di marocchini. Diventò sciuscià nella Napoli del dopoguerra, conobbe subito gli orrori del «Serraglio», il riformatorio della città. Andò a Milano, fu un duro rispettato, re del contrabbando e dello scippo. Una notte, dice, «ho preso la morte pei mano e l'ho portata negli occhi di un uomo, mi sono messo al posto di Dio». Fu la notte dell'assassinio. Entrò in carcere con la terza elementare, ne usci laureando in lettere e filosofia, carico di premi letterari, amico di Pertini, di Leone, degli scrittori italiani più famosi. Diventò un caso: l'ergastolano-poeta. La svolta della sua vita avvenne il 12 agosto del '67, quando un commando giunse dalla Corsica u Porto Azzurro a liberare Paul Poggi, il gangster della rapina a Corsi, l'orefice torinese. Bonazzi era nella lista di quelli da far scappare; era già sul motoscafo, mitra in pugno, l'imbarcazione pirata avviava i motori. «Ho guardato sulla spiaggia — dice — l'agente di custodia che avevamo preso in ostaggio stava morendo, con la bocca e il naso turati dal na¬ stro adesivo. Sono tornai indietro, era cianotico, sono riuscito a salvarlo con la respirazione a bocca a bocca. Il motoscafo con Poggi e gli altri è partito, mentre io tornavo al penitenziario con l'uomo svenuto sulle spalle». Qualche giorno dopo, nella cella di Bonazzi è venuto il figlio del secondino salvato. «Mi ha abbracciato, era il primo abbraccio della mia vita. Qualcosa, dentro di me, è cambiato per sempre». Per quel gesto, gli furono condonati cinque anni di pena, m!a dovettero trasferirlo perché gli altri ergastolani minacciavano di uccìderlo. Cominciò a studiare, a scrivere poesie, il suo primo libro, «Lergastolo azzurro», fu un best seller. Seguirono altri volumi che la critica giudicò straordinari. Venne te grazia, fuori aspettava Laura Mocellin, una ragazza veneta, appena laureata, che si era innamorata di lui leggendo le sue poesie. «Avrei potuto dimenticare, ricominciare da capo con Laura, tentare di cancellare ergastoli e manicomi giudiziari dal ricordo. Dalle sbarre delle carceri, però, centinaia di fratelli tendono le mani, chiedono aiuto. Io sono per loro una speranza di salvezza ». Bonazzi ci parla negli uffici dell'editore torinese Gribaudi mentre i fattorini della tipografia portano le prime copie del suo ultimo libro. Il titolo: «Squalificati a vita - Inchiesta e testimonianze sui manicomi criminali italiani». Sono 118 pagine scarne, agghiaccianti. E' la prima voce che arriva dal di dentro della cinta, uti'inchiesta non del giornalista o del sociologo ma di chi per anni ha conosciuto quelli che ora definisce «i veri depositi dei rifiuti sociali». Dai sei manicomi criminali italiani, patria degli «uomini senza padri, larve ridot- te a sofferenze e bisogno», giungono spesso grida d'aiuto. Osserva Bonazzi: «Le proteste e le denunce vengono dagli internati e chi è stato dentro sa quale concetto il giudice inquirente ha di quelle che il sistema considera personalità psicopatiche». Perché qualcuno si occupi di questi « terminali dell'emarginazione totale » occorre che Antonietta Bernardini, «pazza criminale» detenuta a Pozzuoli si bruci viva sul letto di contenzione dove l'hanno crocifissa. O che, nello stesso manicomio, Teresa Quinto si suicidi in modo plateale. Nei sei manicomi giudiziari, alla fine dell'anno scorso, erano detenute 2400 persone, 2150 uomini e 250 donne. Da un'inchiesta, però, è risultato che solo il 20 per cento di loro presenta sìntomi di malattie mentali. Gli altri sono mandati al baby (così si chiamano quei luoghi atroci nel gergo carcerario) su decisione di un giudice, la legge non prevede il giudìzio dello psichiatra. Vanno a Reggio Emilia, a Barcellona, a Pozzuoli, ad Aversa. a Montelupo Fiorentino perché hanno fatto lo sciopero della fame per più di sei giorni: o sono stati coinvolti in una rissa con i compagni di cella; o hanno dato in smanie. A loro provvedono, in tutto, 29 guardie dichiarate «infermiere» perché hanno fatto un corso di sei mesi e 35 medici dì cui solo 5 o 6 specialisti. La cura per i più fortunati è l'ergoterapia: il lavoro per sette ore al giorno, la paga massima non può superare le 15 mila lire al mese, parte della somma è trattenuta per le assicurazioni sociali. Il lavoro dei «pazzi criminali» viene così a costare l'SO per cento in meno del lavoro di operai «liberi». Novanta ditte appaltatrici con 492 lire al giorno dovrebbero fornire tre pasti, la pulizia, il sapone, la carta igienica e le suppellettili. Chi ha qualche soldo per un po' di «sopravvitto» paga all'appaltatore dal 10 al 15 per cento in più del prezzo. Se qualcuno è dimesso perché considerato guarito, deve ricominciare il suo periodo di pena dal giorno in I cui l'ha interrotto: per il condannato con sentenza passata in giudicato, gli anni di manicomio giudiziario non contano, non sono computati come «espiazione». Ritornano alle carceri «normali» quasi tutti sdentati, con le gengive vuote per la mancanza dì vitamine e per le percosse «Per calmare la gente, iniettano droghe — spiega quieto Bonazzi —. Ci si addormenta con i denti e ci si può svegliare senza: succede, quando il legato sotto narcosi infastidisce il detenuto assistente con i suoi lamenti». Dice una pagina del suo libro: «Degni davvero di compassione siete voi, uomini liberi, che permettete un sistema che dileggia, offende, sevizia quanto di umano resta in uomini che furono persone come voi». Vittorio Messori