Hollywood senza miti

Hollywood senza miti I FILM "FUORI CONCORSO,, A CANNES Hollywood senza miti "Il giorno della locusta" di Schlesinger ripropone un quadro, retrodatato al 1938, ambientato nella Mecca del cinema - Un mondo che poggia sulla facoltà di illudere e che l'Apocalisse scrolla - La mano del regista è fine, ma l'ispirazione talvolta appare stanca ■ Protagonisti Karen Black e William Atherton (Dal nostro inviato speciale) | Cannes, 18 maggio. Il festival francese s'impingua per via di nuove ope- i re «fuori concorso». Schiva- ! to per ragioni di spazio Va(lattamento della commedia The maids di Jean Genet ad \ opera dell'inglese Carisio- I pher Miles, ecco un'altra grande firma: John Schlesinger, il regista di Darling, Uomo da marciapiede e Domenica, maledetta domenica; per appressare meglio que- . sto suo The day of the locust («Il giorno della locusta»), dal romanzo di Nathanael ; West adattato allo schei mo '. da Waldo Salti, bisognereb- , be potere cancellare dalla memoria la tanta letteratura e il tanto cinema che si è già fatto sullo stesso "argomento: la Hollywood degli anni fausti, riguardata con severità puritana come illusorio Eldorado. Ma anche con la mente sgombra, sarebbe difficile non sentire in tanta profusione d'immàgini che alzano l'idea del polpettone (il film dura quasi due ore e mezzo) un'ispirazione piuttosto stanca, mediata da caratteri, situazioni e soluzioni di repertorio, e soprattutto recante in bella vista le sovrastrutture d'uno spettacolo francamente commerciale. Basterà dire che questa locusta si attacca per la coda (una scena sia pur magistrale di delirio collettivo) al filone del cinema catastrofico, non disdegnandone gli effetti più immediati. La vicenda è puntualmente corale. Né può mancarvi la falena attratta dal lume, la solita ragazza «nunc et semper» comparsa, che si sogna di diventare attrice. E sì che ha sotto gli occhi l'esempio di suo padre, patetica figura di vecchio clown a spasso, che si vendica del destino buffoneggiando su tutto, anche sulla morte che sente vicina. E quando, dopo averla tante volte mimata, la morte gli arriva davvero, per trovare i soldi della sepoltura la bella Faye intinge nella prostituzione: primo anello d'una catena di errori che l'allontana dal bozzettista Tod. innamorato di lei. L'allontana mu non la esclude dal suo cuore, neppure quando ella si sfrena con altri uomini occasionali, tra cui un allevatore di galli da combattimento, sfacciatamente erotico, e, per converso, un ricco impiegato di nome Omero, pinzochero e timido lino alla morbosità e disposto a tutto subire da lei. Questo personaggio in verità persuade poco, nonostante il fine istrionismo, ricolmo di tic, onde lo serve Donald Sutherland. Eppure è lui il «deus ex machina» dello scioglimento. Già vulnerato nella figgile psiche dai portamenti di Faye, ch'egli non ha peranco toccato, deve subire gli sberleffi e le pietrate d'un ragazzetto-prodigio degli studi Paramount, veramente odioso. Il poveretto perde la testa e uccide il fanciullo con la tecnica di mister Hyde, pestandolo. Per l'appunto in quel momento si svolge una grande «prima», con congrua parata di stelle. La fol¬ la gira la testa dai beniamini, s'accorge del delitto, e non bastandole di linciare il colpevole, si abbandona a una furia vandalica che viene di lontano. Il senso distruttivo che è al fondo di questo quadro hollywoodiano retrodatato XU 193b, e che il titolo simbolico adombra, si adempie tutto: Faye e Tod sono i sopravvissuti di un mondo istituito stilla facoltà d'illudere, che l'apocalisse scrolla; e già prima gli aveva dato una toccatina facendo cadere certe impalcature durante la lavorazione di un «kolossal» sulla battaglia di Waterloo. Dopodiché non vorremmo lasciare l'impressione di un fìlmone qualunque. La mano di Schlesinger, anche fra le servitù d'un soggetto scontato, è sempre fine e gronda tristezza. Non solo egli ha disteso sulla famosa Mecca del cinema una cera giallognola e quasi mortuària (si pensa infatti a una necropoli), ma negli interstizi della vicenda ha messo cose degne di lui: i funerali del padre di Faye (interrotti dall'arrivo agli studios di Clark Gable). le escandescenze sensuali della ragazza, la figuretta demo¬ niaca del bimbetta, e più in generale certe allucinanti conversioni dal tono allegro e bisbocciante al più desolato o macabro. Per non dir nulla del modo come ha guidato la bella Karen Black (Faye) pur sulla falsariga della disillusa di turno, William Atherton (Tod), il personaggio più fine perché più composto, e via via meno rigorosamente Burgess Meredith, il già sitato Sutherland, Geraldine Page e gli altri. Ma non ci ha fatto grazia d'un nano, del combattimento dei galli e di altre pennellate un po' facili che allungano il film già lungo. In compenso, vivida la sensualità, ma parco il sesso. Alla buonora.. Leo Pestelli (« Cinemercato: film sexy a Cannes », servizio di Piero Perona a pag. 6). Cannes. Dustin Hoffman e Valérie Perrine alla presentazione del film « Lenny >

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