Anima radicale d'America di Furio Colombo

Anima radicale d'America Il dopo -Watergate in due recenti discorsi di Kissinger Anima radicale d'America Il 24 giugno Kissinger ha pronunciato ad Atlanta un discorso che è naturale definire « duro ». La sostanza è che l'America non starà a pregare in ginocchio chi vuole liberarsi da un legame politico e da un'alleanza. 11 discorso — ha detto il Dipartimento di Stato — era diretto soprattutto alla Turchia, che minaccia di volersi ritirare dalla Nato, e alla Thailandia, che non vuole più basi americane sul suo territorio. Ma nessuno ha negato che un simile annuncio ville per tutti. Dunque un moto di impazienza o addirittura una sfida al continuo riemergere di tensioni anti-americane nel mondo. Ma Kissinger aveva appena tenuto un altro discorso, alla «Japan Society» a New York, cinque giorni prima. Il tono di quest'altro discorso è molto diverso. « Abbiamo compililo parecclii errori » ha detto Kissinger sorprendendo il suo pubblico con una autocritica del tutto inattesa. E ha distinto fra due tipi di errori. Non aver tenuto conto delle conseguenze « locali » di una grande politica di accordi, come le difficoltà create al Giappone dal brusco riavvicinamento alla Cina. E avere sottovalutato il problema della « volontà popolare e della giustizia sociale » nel cercare soluzioni ai problemi internazionali. Quest'ultima frase, come ha notato il columnist del Wàshington Post Joseph Kraft, è la più sorprendente, perché è un argomento che non era mai comparso nella immaginazione pubblica di Kissinger. E perché c'era un legame esplicito, in quel discorso, fra il riconoscimento di questo errore e il rapido sfaldamento della situazione nel Vietnam. Come dire: ci siamo preoccupati della tenuta della facciata e non abbiamo capito che un disastro morale e sociale si stava producendo comunque all'interno di quel Paese. Abbiamo sorretto una costruzione che non aveva la forza di stare in piedi. Per i commentatori americani il segnale è chiaro: Henry Kissinger non ha alcuna intenzione di lasciare il suo posto di segretario di Stato — come si era spesso sentito dire di recente — e ha studiato con cura un terreno di sbarco nella nuova opinior.2 americana che si è creata nel dopo-Watergate. La sua autocritica aperta, ma anche l'inserire nel discorso i termini della « volontà popolare e della giustizia sociale » sembrano strumenti utili a questo scopo: diminuire la distanza — e anche la tensione — fra il governo e il Congresso, e in particolare l'ostilità del Congresso verso la politica estera (o almeno: il «tono» della politica estera) rappresentata da Kissinger. Dal punto di vista dell'Europa e dei problemi che l'Europa sembra proporre oggi all'America (il Portogallo, la Turchia, la Grecia, l'emergere (Copyright N.Y. Rcvicw of Rooks. Operai Mundi e per l'Italia La Stampa) di una nuova situazione italiana), la chiave del pensiero di Kissinger si trova forse nel rapporto fra i due discorsi, uno moderato e diretto agli americani (ma pronunciato davanti a un consesso straniero, la « Japan Society » di New York) l'altro tagliente e persino sommario, nella durezza delle sue conclusioni, diretto all'opinione non americana, ma pronunciato « in provincia » (ad Atlanta) di fronte ad un pubblico locile come la Camera di Commercio di quella città. Lo scambio di destinatari, per prima cosa, non è casuale. I due discorsi si incrociano e si sommano in una operazione d'immagine ben calcolata. Da una parte il mondo viene descritto senza pretese di intervento e di po¬ tenza, con uno sguardo attento alla natura dei problemi interni di ciascuno, e questo messaggio viene consegnalo direttamente a un uditorio straniero. Ma si ammette anche e si riconosce l'esistenza di un'opinione pubblica americana che non ama crociate e non concepisce mobilitazioni e tempeste. Dall'altra (discorso di Atlanta) viene detto francamente che l'America non e disposta a correre dietro a nessuno. Chi ha deciso di andarsene non deve preannunciarlo con ritorsioni o minacce. Faccia la su.n scelta. E su questa scelta « l'America è pronta a riorganizzarsi». In Europa ci si può domandare se un simile discorso non sia apparso « provocatorio » e aggressivo alla nuova opinione americana. Dall'America si può osservare che il tono dei due discorsi sembra calcolato per le nuove orecchie di questa opinione popolare post-Watergate. Infatti l'America di questi mesi ha un'anima radicale. E i due discorsi di Kissinger. specialmente se letti insieme, hanno un tono e un taglio radicale. C'è l'autocritica, c'è il riconoscimento della diversità e della complessità dei problemi degli altri. Ma c'è anche una risposta « semplice e brutale » a questi problemi: stare insieme se è desiderato e possibile, rompere francamente se non è possibile. Il rapporto fra questo modo di esprimersi e il nuovo umore americano sembra evidente. Dopo Watergate. infatti, sia nelle situazioni locali che nel dibattito nazionale, due atteggiamenti psicologici e di metodo sembrano prevalere: la tendenza a tagliare i nodi (che corrisponde alla stanchezza per le incertezze, le ambiguità, i camuffamenti, le cose non dette, gli impegni segreti e semi-segreti), c l'apprezzamento per un discorrere aperto, diretto, senza rinvìi e senza mezze parole. Ma non è solo nel tono che Kissinger risponde con questi suoi discorsi all'umore americano. Infatti il nuovo radicalismo ha tre anime: il punto di vista del cittadino comune, del « laxpayer » che è soprattutto preoccupato delle spese inutili, dei soldi buttati, e vuole sentirsi dire ogni cosa con chiarezza e fuori dai denti. 11 punto di vista che si potrebbe definire radicaleprogressista, di coloro che dicono: smettiamo di pretendere anche con la forza l'amicizia di tutti. E motivano questa richiesta con la necessità del rispetto che una grande potenza ha dovere di dimostrare verso ciò che è o appare diverso. E infine la moralità puritana che riemerge più forte dopo la tempesta di Watergate e ha in odio i risvolti misteriosi e barocchi che hanno spesso segnato gli interventi nel mondo. Anche quest'anima chiede chiarezza, propone un franco taglio dei nodi, quando la complicazione sembra eccessiva. E qui la motivazione e « il rispetto per noi stessi », per « la decenza della tradizione americana ». Il primo atteggiamento e molto diffuso nell'opinione comune, ed è strettamente legato al peso della vita, ai problemi economici, alle difficoltà interne americane, un punto di vista di cui i candidati alle prossime elezioni presidenziali dovranno tenere conto. Il secondo atteggiamento potrebbe essere sottoscritto da tutti gli uomini di punta del neo-liberalismo americano, da Jackson a Kennedy, da Pércy a Javits. Il terzo è diviso fra il rigore degli intellettuali e una certa austerità neo-conscrvaliva. Con voci e argomenti diversi entrambi chiedono un disegno più netto, e magari più stretto (più limitato) del ruolo americano nel mondo. Kissinger perciò rilancia se stesso per i prossimi anni. E lo fa collocandosi nella corrente più forte del nuovo « radicalismo » che è disposto a capire le sue parole, sia pure da posizioni c per ragioni diverse. Di questo dovrà tenere conto l'opinione europea. Isolazionismo? E' una definizione meno esatta del nuovo clima di austerità psicologica e di radicalismo morale. Il peso della scelta viene spostato sulle spalle dei « partnérs ». Probabilmente ci si aspetta che la risposta sia altrettanto chiara c « brutale ». come la coscienza di ciò che significa. Questa risposta non è per Kissinger. Ma per l'America austera e introversa che si è formata sulle ceneri di Nixon. Furio Colombo Kissinger, di Levine