Una Lucania a Oriente

Una Lucania a Oriente Una Lucania a Oriente Gina Labriola: « Alveare di specchi », Ed. Laterza, pag. 198, lire 1500. Parlando di questo libro che, fin dalla cupola mirabilmente illusionistica riprodotta in copertina, fin dall'epigrafe smagata di Omar Kayyam, lascia trapelare una così avvinta passione per la cultura persiana, occorre allontanare subito un possibile equivoco: che ci troviamo cioè di fronte all'imitazione, alla traduzione comunque variata, all'eco più o meno compiaciuta di ima civiltà poetica particolarmente congeniale. Valga l'esempio estremo di un Alberto Denti di Pirajno, che per firmare il suo avvincente Minareto incantato (Ed. Scheiwiller) assunse le spoglie di un arcaico, mai esistito Hassan-el-Taràs. Gina Labriola ha soggiornato a lungo nell'Iran, ne conosce la lingua e i poeti, ed è possibile che un esperto ravvisi in certa alluminatura delle immagini, nelle clausole gnomico-sentenziose il gusto di innestarsi in una tradizione millenaria. Certo ricorrono nei suoi versi nomi e cose, paesaggi e atmosfere di laggiù: le stalattiti di stucco di Isfahan, le tracce di smalto conservate da un antico vaso emerso dalle sabbie, le facce di « reucci oppiati, fieri dei baffi e della perla sul turbante » quali compaiono nelle ormai rare pitture popolari su vetro, « gli occhi idioti delle uri », esaltate nella grana dei loro nomi, tinnanti in un modo ancora flagrantemente gozzaniano. Voglio insistere cioè sulla naturalezza di questo « passaggio in Oriente », sull'assenza di ogni facile esotismo, sul torto che si farebbe alla poesia di Gina Labriola traendone soltanto un repertorio allotrio, evasivo, sradicandola dal contesto della poesia italiana. Certo le allusioni a miti d'Oriente sembrano garantire talora una inedita suggestione a quelle che pure sono nostre accertate scansioni, come in « Addio »: « L'angelo cieco I è venuto a riprendersi / le sue iridi I smarrite sulla cima del Damavano: I ora il mondo è buio. I Ma la mia pelle è az- zurr'a: /'"vi sono cadute ~goc-ce / dal pennello di dio I che dipingeva il cielo » Per capire che il centro è altrove, non abbiamo bisogno di contrapporre questa nitidezza al narrato di altre poesie, come quelle ispirate alla Lucania nativa, così segnate di domestica e terrestre rusticità. Valga il tema primario, a definirlo, che è un amore tumultuoso e violento, una passione che pur acquietandosi lascia cenere rovente e incupite malinconie, che non concede riposo agli stessi deserti e li fa germinare di voglie verdissime. Sono temi, movimenti, scansioni che — come ha ben visto Claudio Marabini — rivelano una grande confidenza con la tradizione mediterranea, con la grecità più arcaicamente rivisitata. E forse bisognerà rifarsi alle « Matres Matutae » italiche, alla loro traboccante fertilità. Ma si badi, poi, come queste « pagane » suggestioni prendano il colore dei nostri giorni nella poesia « Le nuvo- ì ' le del soffitto », tipica anche di certi modi poetici che trapassano, nell'ambito di un solo componimento, dal distacco narrativo alla lirica pienezza dell'esortazione: « Le nuvole del soffitto I sono passate attraverso ! i nostri poi-1 1 moni / tristezza addensata 11 di una sera... Apri la finestra: < / il vento ha l'odore bona- -, rio I del montone arrostito I \nella strada... ». In questo u-1niverso, « alveare di specchi » suona, più che a smarrimen-ito per una perduta identità, a Iun ritrovarsi moltiplicati, sca-1glie cangianti di un immane « corpo d'amore ». 1. m. 1

Persone citate: Alberto Denti, Claudio Marabini, Gina Labriola, Omar Kayyam, Scheiwiller

Luoghi citati: Iran, Lucania