La grande Vienna

La grande Vienna Con Wittgenstein, Freud e Schonberg La grande Vienna Allan Janik e Stephen Toulmin: « La grande Vienna », Ed. Garzanti, pag. 314, lire 6000. Quanto mai tempestiva è stata la versione italiana della Wittgenstein's Vienna di Janik e Toulmin, uscita in inglese nel '73. Si tratta infatti di un'opera complessa, poiché la ricerca dei due autori I — quasi in una serie di cer-1 chi concentrici — perviene non solo a importanti risultati storiografici, ma apre nuove prospettive. Il bersaglio più piccolo a cui mirano gli autori è la I comprensior.e spregiudicata della personalità affascinante ed enigmatica di Ludwig Wittgenstein. A lui, che pur pubblicò pochissimo in vita, toccò la ventura d'essere « adottato » da due tra le più note correnti filosofiche del secolo. Infatti, il neopositivismo viennese considerò come una bibbia il suo Trattato logico-filosofico (del '21), mentre la filosofia analitica inglese si nutrì negli Anni Trenta e Quaranta — dopo il definitivo trasferimento di Wittgenstein dalla natia Vienna a Cambridge — di quelle sue idee che divennero poi di dominio generale con la pubblicazione postuma (nel '53) delle Ricerche filosofiche. Janik e Toulmin abbatto- no convincentemente questo schema interpretativo, che ha c.to avuto importanza storica, ma che si fonda su un fraintendimento del problema vissuto sin dall'inizio dal Wittgenstein e intorno a cui sempre si affaticò. Lungi dal mirare a una « filosofia scientifica », come i neopositivisti, ! 0 dal preoccuparsi scolasticamente di « tecniche » filoso- fiche, quali quelle degli ana-!listi inglesi, egli pare così es- ! sersi occupato criticamente del linguaggio per la sua aspi razione ad aprirsi, attraverso | 1 limiti del dicibile, a ciò che! è mistico, ma più profondo | ed autentico. Wittgenstein vuole una « liberazione intellettuale », mediante cui possa mostrarsi il senso della vita. Questa suggestiva interpretazione — a cui dedicai nel- I lo scorso luglio un elzeviro suggeritomi dall'edizione originale — interessa, è ovvio, soprattutto i filosofi. Ma il libro merita l'attenzione di una cerchia più ampia di lettori. Gli autori, infatti, fanno gradualmente emergere la loro lettura di Wittgenstein dallo studio dell'ambiente viennese nei vent'anni che precedettero la prima guerra mondiale e nel quale avvenne la formazione del filosofo. Qui si costituì il suo orientamento di fondo. La Vienna dell'ultimo periodo degli Absburgo fu veramente « grande », nonostante la sclerosi delle istituzioni go- vernative e di una società che volevano ignorare i fermenti che vi si agitavano. E' solo un caso felice che operassero in essa, tra altri minori, Freud, l'indagatore dell'inconscio, Adolf Loos, il teorico dell'architettura «funzionale», e innovatori dell'arte musicale e figurativa come Schonberg e Kokoschka, o un metodologo della fama di Ernst Mach. Ma i tratti comuni di questa prodigiosa fioritura culturale sono dovuti proprio alla reazione intellettuale contro la cultura ufficiale dell'Impero, che sfuggiva i problemi reali. Karl Kraus, a cui il libro dedica un intero capitolo, è l'interprete migliore di questo stato d'animo, dell'avversione per gli aspetti falsificanti delle forme espres¬ sive e dello stesso linguaggio che maschera anziché disvelare ciò ch'è autentico. Questo vivace quadro storico suggerisce subito un ulteriore àmbito di considerazioni, poiché vi sono molti punti di contatto tra la Vienna imperiale al tramonto e il mondo contemporaneo dominato da superpotenze che parimenti hanno un vario tessuto etnico e contro le cui istituzioni politiche e culturali serpeggia, come allora, la contestazione. I due autori mostrano come gli spunti innovatori e rivoluzionari della Vienna di Wittgenstein si siano poi congelati nei conformismi dei « burocrati di professione della nuova ortodossia »: nello scientismo neopositivista o nello scolasticismo degli analisti; nella piattezza dell'architettura « moderna » in cui degenerò il funzionalismo del Loos; nei compositori « consapevolmente » dodecafonici del periodo tra le due guerre. Non sempre le rivoluzioni realizzano i loro propositi. Così è del tutto giustificato il timore espresso da Janik e Toulmin alla fine della loro fatica: « Sarebbe una tragedia se gli storici futuri giudicassero il nostro secolo come quello in cui il risultato di tante critiche, sofferenze e rivoluzioni, tanto nella politica che nell'arte e nella filosofia, è stato dì sostituire a un re travicello un tiranno ». Francesco Barone

Luoghi citati: Cambridge, Vienna