L'incerto pendolo egiziano di Igor Man

L'incerto pendolo egiziano TRA SADAT E L'AMERICA "LEGAMI PREFERENZIALI,,? L'incerto pendolo egiziano Al grande corteo per la riapertura di Suez c'era, in posizione d'onore, l'ammiraglia della VI flotta Usa ■ I sovietici hanno dimostrato più stizza che sorpresa: Il Cairo cerca un accordo con Washington che gli consenta d'emanciparsi dall'Urss (Dal nostro inviato speciale) Il Cairo, giugno. Il 5 giugno, giorno della riapertura del Canale di Suez, a bordo della nave «Hurria », che seguiva in tersa posizione il caccia « 6 Ottobre » sul quale era imbarcato Sadat, l'addetto navale sovietico rischiò il colpo apoplettico. Stava portandosi alle labbra un bicchiere di vodka, quando fu visto irrigidirsi di scatto: nell'aria fresca del mattino risuonavano, inconiondibill, le note petulanti dell'inno dei marines. A suonarlo era l'orchestra di bordo della « Little Rock », nave ammiraglia della VI flotta; l'incrociatore americano, doppiati i piroscafi « Aida » e « Siria », superava la « Hurria » (l'ex yacht di Faruk) per mettersi infine sulla scia del caccia « Nasser ». La spericolata manovra, eseguita a suon di musica, con tutta la gente in coperta, eccitava i membri del corpo diplomatico e i giornalisti. A denti stretti. « Questa non è la "Little Rock" americana ma la "Surprise" americana », diceva l'addetto militare cecoslovacco mentre il russo, paonazzo, posata la vodka faceva cenno ai cameriere di bordo di servirgli una spremuta di arancia. « No comment », rispondeva, poi, ringhioso, ai corrispondenti che gli si affollavano intorno. La « sorpresa » della « Little Rock » era stata accuratamente preparata da tempo, per decisione di Sadat. Con quel gesto, il presidente aveva voluto riconfermare clamorosamente l'intenzione di liberarsi dell'ipoteca sovietica e ostentare i « legami preferenziali » che legherebbero l'Egitto agli Stati Uniti. Nello stesso momento in cui la «Little Rock » discendeva il Canale — prima unità da guerra straniera ad affermare la libertà di navigazione nella via d'acqua —, al Cairo, illuminata da fuochi di artificio, veniva annunciata la costituzione di una commissione mista egizio-americana per tutelare lo sviluppo dell'Egitto e aumentare le possibilità di investimenti esteri nel Paese (in realtà si tratta di un vero e proprio comitato di consulenza americano che consentirà all'Egitto di sfruttare quelle tecniche manageriali di cui è carente). E i giornali della sera pubblicavano come un gruppo di uomini d'affari americani « fossero pronti a investire otto miliardi di dollari nella zona del Ca- naie ». Un mese prima, il 2 maggio « Non mi faccia parlare dei russi, mi hanno già dato abbastanza fastidi », disse Sadat a un giornalista libanese che, come al solito, lo interrogava sui rapporti con l'Urss. Ma poi vuotò il sacco: « Voglio che ogni arabo, in tutta la grande nazione araba, sappia che dalla cessazione del fuoco nell'ottobre del 1973 fino a oggi, l'Egitto ha ricevuto dai sovietici solo qualche arma acquistata e pagata dal presidente algerino Boumedien e piccole quantità di munizioni e parti di ricambio. Non vi è stato alcun rifornimento sovietico e nessuna arma di fondamentale importanza è stata da noi ricevuta fino a questo momento ». Più volte II Cairo ha chiesto a Mosca non soltanto di sostituire le armi perdute ma anche « di tener fede agli impegni sottoscritti dai due Paesi nel campo delle forniture militari e di aiutare l'È I Bitto a far fronte alla nuova evoluzione tecnologica registrata nel settore degli armamenti dopo la guerra ». Nella sua intervista il Rais ha affermato: « Le nostre richieste non sono state accettate » e ha denunciato il rifiuto sovietico di concedere una moratoria all'Egitto per il pagamento dei suoi debiti (4 miliardi di dollari), rivelando di aver respinto le « condizioni » poste da Mosca per la concessione di questa proroga finanziaria. Le «condizioni» sovietiche sono pesanti: ogni nuovo aiuto bellico dovrebbe essere legato al ritorno, « almeno in parte », dei consiglieri militari russi sfrattati da Sadat il 18 luglio del 1972, e alla i concessione di basi stabilì al j la flotto sovietica. « Accettare le richieste sovietiche, dicono al Cairo, comporterebbe per Sadat la rinuncia definitiva a quella politica pendolare che gli ha procurato non pochi vantaggi ». Ma benché i giornali egiziani scrivano che « l'Egitto considera essenziale il mantenimento di buoni rapporti con l'Urss », si ha l'impressione che il «pendolo» si sia fermato. Sono lontani i tempi in cui la propaganda egiziana scriveva che « l'amicizia tra l'Urss e l'Egitto è più grande e alta della di ga di Assuan, più solida delle Piramidi ». Oggi ci si limita ad affermare: « Non è nel nostro interesse avere tensioni con l'Unione Sovietica». Tuttavia le tensioni sussistono e da una parte e dall'altra non si fa nulla per alleviarle. All'intervista ■ denuncia di Sadat, Mosca oppone il silenzio ma il 12 maggio il primo ministro russo Kossighin va in visita ufficiale a Trìpoli dove gli viene riservata « la più calorosa accoglienza che sia mai stata fatta a un primo ministro straniero». Gromyko, che alla fine della settimana seguente si sarebbe dovuto recare al Cairo, rinvia improvvisamen- I te la partenza senza fornire spiegazioni. Il 15 maggio, al Kuwait, Sadat si dichiara « stupefatto » per la decisione di Mosca di fornire alla Libia le armi che rifiuta all'Egitto. Il 22 Al Ahram rivela che la Libia concederà alla Russia l'uso di basi terrestri, navali e aeree sul proprio territorio in cambio di forniture di armi per un valore di oltre quattro miliardi dì dollari. Il giorno dopo fonti ufficiose sovietiche al Cairo smentiscono la notizia, ammettendo soltanto la fornitura dì armi alla Libia «per un valore di 800 milioni di dollari». Il 23 maggio, un tribunale del Cairo autorizza la ripresa delle rappresentazioni di « Yehya al Wafd» (Viva la delegazione), una commedia satirica antisovietica bloccata dalla censura il 30 aprile dopo un passo ufficiale del Cremlino. Il 27 maggio, quarto anniversario del trattato di amicizia e cooperazione sovietico-egiziano, la Pravda sferra un duro attacco ad Al Ahram (e, indirettamente, allo stesso Sadatl reo di aver divulgato « false notizie » sugli accordi tra la Libia e l'Urss, rendendo « un inestimabile servizio alle forze imperialiste ». Sadat reagisce con il colpo a sorpresa della «Little Rock», con l'udienza speciale concessa all'ammiraglio Turner, comandante della VI flotta. « Ci vorrà un secolo ai russi per capire gli arabi », ha scritto Georges Henein. Quando, quindici anni fa, i sovietici cominciarono a costruire la diga di Assuan, gli egiziani li accolsero con entusiasmo e sincera gratitudine, ma a questi sentimenti subentrarono ben presto delusione e rancore. I tecnici russi portavano il casco, simbolo esecrato del colonialismo, apparivano distaccati e autoritari, tacciavano i feliahin diventati manovali d'indolenza e incapacità. Dal 1955 (quando Nasser, respinto dall'America, contrasse con l'Urss un vero e proprio matrimonio d'interesse) al 1972, quando vennero sfrattati da Sadat, i sovietici hanno profuso in Egitto tesori di energia, hanno edificato impianti industriali, fabbriche, cantieri, hanno costruito due volte un esercito, hantio speso complessivamente (esclusa la costruzione della diga di Assuan) sette miliardi di dollari ma non sono riusciti a conquistare il cuore e la mente degli egiziani. Durante diciassette anni, i russi han sempre cercato di fare dell'Egitto una « terra di missione »: invano. « Nonostante lunghi anni di convivenza con noi, mi dice un generale egiziano, ora a riposo, i russi non sono mai riusciti a comprendere l'importanza del nazionalismo e dei valori spirituali arabi e della religione araba ». Mi racconta come i «consiglieri» si irritassero nel vedere « i nostri bravi soldatini » concentrarsi al tramonto nella preghiera genuflettendosi in direzione j!ij!ii della Mecca. Mi racconta del generale Okuniev, capo dei « consiglieri », « un vero razzista», che nell'aprile del '72, si permise di impedire a Sadat dì entrare nella base aeronavale di Marsa Matruh, interamente sovietica, predisposta per l'ormeggio di sottomarini atomici. Alle proteste di due alti ufficiali egiziani, Okuniev li am- I moni di non « immischiarsi in affari che non li riguardavano ». I sovietici ritenevano che, anche col migliore addestramento possibile, gli egiziani non sarebbero stati capaci di far funzionare una rete di difesa aerea moderna. Disse Okuniev: «Un laureato j egiziano avrebbe bisogno di ! anni e anni d'addestramento i in Urss prima di diventare j efficiente ». Ebbene, conclu! de il generale, « con la gueri la di ottobre — che, fra pai rentesi, i russi non voleva¬ no — noi abbiamo dimostrato esattamente il contrario: sono stati proprio i nostri studenti, i nostri laureati in divisa a manovrare i missili assicurando alle truppe d'assalto, ai fanti la più perfetta delle coperture aeree ». « Coi sovietici è finita ». mi dice un giornalista molto vicino al potere, ripetendomi esattamente quanto mi disse il 5 agosto del 1972. « Il capitolo dell'amicizia si è definitivamente chiuso, si è aperto quello dell'ipocrisia. Quanto durerà? Tutto dipende dagli Stati Uniti ». Si spiega meglio: se l'America riuscirà a rilanciare la dinamica della pace, se aiuterà l'Egitto e diversificare le sue fonti di armamento, se soprattutto l'America aiuterà l'Egitto a uscire dal marasma economico, « allora "addio per sempre Ivan". In caso contrario avremo forse un nuovo matrimonio di interesse, turbato da ricorrenti burrasche, come quello che Nasser stipulò nel 1955, allorché dopo il patto di Bagdad Mosca gli offri le armi che l'Occidente gli rifiutava. Ma per arrivare a un nuovo matrimonio di interesse, se si rivelasse proprio indispensabile, bisognerà far violenza sui sentimenti di tutto il popolo egiziano. Non esagero. Il successo di "Yehya al Wafd" (Viva la delegazione), del resto, è un piccolo ma significativo test. Vada a vederla, capirà tante cose ». Fayez Hallawa, l'autore di « Viva la delegazione », ha rielaborato in chiave satirica alcuni degli episodi autentici della « esperienza sovietica » fatta dagli egiziani, segnatamente dal 1970 al '72. La commedia racconta in una scoppiettante successione di quadri la vìsita a un villaggio egiziano del Delta di un gruppo di esperti di un non menzionato Paese comunista; ma nei delegati venuti dall'Est per svelare i segreti della programmazione e del benessere, non si fa fatica a riconoscere i « consiglieri » sfrattati da Sadat. Pieni di prosopopea, i delegati rimangono di stucco davanti ai banchi stracolmi dei fruttivendoli, non osano entrare nei negozi di abbigliamento nel timore che siano riservati ai gerarchi locali. La molla dell'effetto comico è facile, scatta per esempio quando un delegato dopo aver dissertato a lungo sul benessere che godono gli abitanti del suo Paese, scrocca furtivamente una sigaretta all'autista del taxi; ovvero allorché comincia ad eccitarsi, fra un discorso e l'altro di propaganda, davanti alla vetrina di un macellaio, oppure quando discute micragnosamente sui prezzi al ristorante, guardandosi bene dal lasciare una piastra di mancia. « Viva la delegazione » è una satira cabarettistica, nulla di più, ma ha una travolgente carica polemica. Il fatto poi che dopo il «veto» russo sia stata riabilitata a tempo di primato dal tribùI naie, rivela quanto siano mui tati gli umori degli egiziani | nei confronti dell'Urss. Spel eie negli ultimi due mesi. « I sovietici, s'è sfogato Sadat, vogliono restare nostri tutori, ma io gli ho detto che la tutela è finita ». I Igor Man Salisburgo. Ford e Sadat al «vertice» del 2 giugno: hanno gettato le basi d'una nuova alleanza? (Ansa-Upi)