"Voglio vedere il coltello che uccise mio figlio" grido in tribunale la madre di Mariano Lupo di Vincenzo Tessandori

"Voglio vedere il coltello che uccise mio figlio" grido in tribunale la madre di Mariano Lupo Il processo per l'omicidio fascista a Reggio Emilia nel luglio '72 "Voglio vedere il coltello che uccise mio figlio" grido in tribunale la madre di Mariano Lupo (Dal nostro inviato speciale) Ancona, 25 giugno. La scoperta di una lunga galleria di testimoni citati dalla difesa senza o con pessima memoria; l'agguato; i legami fra gli squadristi alla sbarra per l'uccisione di Mariano Lupo, militante di «Lotta Continua», e i personaggi più conosciuti e importanti del fosco mondo del terrorismo nero. Questi gli elementi emersi al processo di Ancona. Oggi si è fatto il nome di Claudio Mutti, il professore lettore all'Università di Bologna e traduttore della «Guardia d'acciaio» di Cordeano, arrestato lo scorso anno per gli intrighi neri. Il suo nome è stato pronunciato durante la deposizione di Giovanni Valeriani, 48 anni, di Reggio Emilia: è l'uomo che aveva ospitato Edgardo Bonazzi, l'accoltellatore confesso di Lupo, a fine luglio 1972. Forse avrebbe dovuto confermare che il giovane era a casa sua il 25 di quel mese quando, prologo della tragedia, in una piazza di Parma alcuni giovani, fra i quali fu indicato anche Bonazzi, minacciarono Lupo. Con piglio sicuro, quasi aggressivo, Valeriani ha risposto alle prime domande: «Conosco Bonazzi perché eravamo entrambi iscritti al msi»: «In quei giorni di luglio venne da me a Reggio, per una settimana: aveva litigato in famiglia e cercava lavoro». Sul periodo non ha avuto esitazioni: «Era luglio, ne sono certo perché faceva caldo» è stata la spiegazione. Ma poi ha ammesso di aver visto Bonazzi in realtà ben poche volte: l'ospite rincasava sempre tardi la sera. Neppure le deposizioni di Franco Aleotti, 37 anni, artigiano di Reggio Emilia e di Liliana Bonazzi, sorella dell'accoltellatore, hanno portato aiuto alla posizione dell'imputato e dei complici. Ricordi troppo scoloriti, ormai, sembrano essere rimasti nella mente di Aleotti. Quel 25 lu- glio di sangue, invece, sembra essersi fissato con precisione davanti agli occhi di Liliana Bonazzi. Dal suo racconto poteva uscire assai alleviata la situazione di Andrea Ringozzi, indicato nella sentenza di rinvio a giudizio come «pri-mo correo» dell'accoltellato-re. Non ci fu premeditazione, ha sempre sostenuto, come gli altri, Ringozzi. Quella sera, inóltre, non ci sarebbe stato neppure il tempo per decide-re qualcosa perché lui rientrò in città alle 21. «Sono stata con Ringozzi tutto il giorno, dalle 10 alle 19, in una piscina fuori Parma» ha detto la ra- gazza stamani. Fra le due de- posizioni rimane così un vuo- to di due ore ...... «Per diversi aspetti i risul- tati della perizia necroscopica eseguita sul corpo di Lupo so- no considerati insoddisfacen- ti» ha detto a metà mattinata con tono pacato il professor i Pecorella, del collegio di par te civile. Ha quindi aggiunto che con l'autopsia eseguita a suo tempo il professor Pietro Valli, insegnante di antropologia criminale all'Università di Parma e assistente di medicina legale, non ha risposto ad alcune domande, di prima- 1 ria importanza, per stabilire 1 le reali responsabilità: il cuo ! re di Lupo, infatti, è stato esa- I minato soltanto superficial-1 mente e non sezionato, così, ! .ancora oggi, è impossibile sa-j 1 pere se la lama del pugnale è | penetrata completamente, co I sa che dimostrerebbe, secon j do la parte civile, la volonta rietà del colpo, oppure se si è arrestata prima. Il cuore, ha proseguito ancora Pecorella, ! è tuttavia conservato dal pro I ^essor Valli e quindi «la parte [civile chiede che venga fatta um peri,ia SUpplementare». j Ancne ^udienza di ieri era stata piuttosto movimentata: ! a metà mattinata era scoppia | to un alterco fra la madre di | Lupo e il presidente, dottor 1 Adelfredo Fesce. Il presidente, già apparso in imbarazzo di fronte alla richiesta della parte civile di portare in aula il coltello per poterlo esaminare, si era poi trovato ancora più a disagio di fronte alla richiesta, fatta a gran voce, dalla madre di Lupo: «Voglio vedere il coltello che ha ucci- so mio figlio» ha urlato la donna. Seccato, ma anche 1 scosso, il dottor Fesce, anche ! lui quasi gridando, ha rispo- j sto: «Faccia silenzio, non fac- 1 eia commedie altrimenti la faccio allontanare. Si sieda, Per lei parleranno i suoi av- vocali». La donna ha ribattu- to dura: «Io stare zitta? No, mi hanno ucciso il figlio, nonsto zitta. Me l'hanno ucciso non mi importa se mi manda in carcere. Voglio vedere quel coltello, ne ho diritto». Agli avvocati Bozzini di Parma e Boneschi di Milano è toccato il difficile compito di calmare la povera donna. Vincenzo Tessandori

Luoghi citati: Ancona, Milano, Parma, Reggio, Reggio Emilia