Dopo 8 anni il processo discusso in Cassazione di Guido Guidi

Dopo 8 anni il processo discusso in Cassazione Dopo 8 anni il processo discusso in Cassazione L'ultimo capitolo sul delitto dei due fratelli Menegazzo I giovani gioiellieri di origine veneta furono uccisi per rapina a Roma Roma, 23 giugno. Dopo oltre otto anni, s'è cominciato a scrivere questa mattina in Cassazione quello che dovrebbe essere l'ultimo capitolo di una vicenda giudiziaria dagli aspetti quasi incredibili: quella, cioè, che ha avuto come vittime due giovanissimi gioiellieri, i fratelli Gabriele e Silvano Menegazzo uccisi per rapina sotto gli occhi dei loro genitori e sulla soglia di casa in via Gatteschi. Il procuratore generale ha sostenuto, oggi, che si deve confermare la condanna dei colpevoli: ergastolo a Francesco Mangiavillano, 26 anni e 6 mesi a Franco Torreggiani, 12 anni a Mario Loria. Ma soltanto fra un paio di giorni la Corte suprema sarà in grado di decidere: la difesa insiste che debba essere celebrato un altro processo (per l'esattezza: il settimo), perché, dice, l'ultimo in ordine di tempo è da annullarsi per motivi procedurali. Se si tiene conto che uno dei tre imputati, Franco Torreggiani, ha confessato raccontando ogni dettaglio del delitto è facile comprendere perché questa è una vicenda quasi incredibile: non ne esiste una così emblematica per rappresentare la lentezza esasperante della giustizia. Gabriele e Silvano Menegazzo, ventuno anni l'uno e diciannove l'altro, avevano cominciato da poco a lavorare nel settore del padre: il commercio di gioielli. La sera del 17 gennaio 1967 stavano rientrando a casa in via Gatteschi, una strada poco frequentata e abbastanza buia in un quartiere a Nord-Est di Roma. Scesero dall'auto, aprirono il portabagagli, presero il campionario che conteneva oggetti preziosi per un valore di cinquanta milioni, furono aggrediti ed uccisi a colpi di pistola. I banditi, quattro in tutto, fuggirono su una «Giulia» bianca con la refurtiva: soltanto una donna, Angela Fiorentini, assistette alla scena del delitto. I sospetti caddero su Leonardo Cimino, un calabrese già pregiudicato: i carabinieri 10 scovarono tre mesi dopo in un suo rifugio alla periferia della città. Leonardo Cimino reagì, sparò, fu colpito da un proiettile: la sua agonia si protrasse per quasi nove mesi e poi morì sempre negando di essere stato in via Gatteschi. Ma, nel frattempo, s'era costituito Franco Torreggiani il quale non ebbe difficoltà a raccontare quello che era avvenuto la sera del 17 gennaio: Francesco Mangiavillano aveva organizzato la rapina e l'aveva realizzata con lui, Torreggiani, e con Leonardo Cimino. Mario Loria fu indicato come il quarto uomo del delitto. Primo processo in corte d'assise alla fine del 1968. Ma dopo una cinquantina di udienze il dibattimento fu interrotto: mancarono improvvisamente due giudici popolari perché uno morì stroncato da una emorragia cerebrale, un altro si ammalò in modo da non avere la possibilità di rimanere in aula. Nel frattempo era morta anche l'unica testimone del delitto. Angela Fiorentini che aveva sempre sostenuto di essere certa d'avere veduto quella sera in via Gatteschi Leonardo Cimino e Franco Torreggiani. II processo fu ripreso dopo qualche mese: nel luglio 1969, la corte d'assise condannò Mangiavillano all' ergastolo, Torreggiani a 30 anni (ebbe le attenuanti perchè aveva confessato) mentre assolse per insufficienza di prove Mario Loria. Per spiegare i motivi che avevano indotto i giudici a prendere questa decisione, 11 presidente ebbe bisogno di oltre un anno. La vicenda doveva riservare altre sorprese. Infatti, dopo sei mesi circa, la corte d'assise d'appello annullò la sentenza perché spiegò era stato compiuto un errore nel costituire la corte d'assise; s'era limitato a tre il numero delle signore chiamate a svolgere la funzione di giudice popolare. Altri sei mesi di tempo prima che la Cassazione dicesse la sua parola definitiva sul problema e all'inizio del 1972 il delitto di via Gatteschi fu nuovamente preso in esame dalla corte d'assise d'appello. La storia sembrava avviata alla conclusione. Mangiavillano, però, trovò un pretesto ancora per ritardarla ed avvicinarsi sempre più ai termini massimi previsti per la carcerazione preventiva: ricusò i suoi giudici. Non raggiunse alcun risultato: ma guadagnò tempo. Il padre dei fratelli Menegazzo, disperato, si rivolse persino al Capo dello Stato implorando che dopo tanti anni gli fosse finalmente resa giustizia con la condanna di chi gli aveva ucciso i figli. Un giorno, quando si ebbe il timore che Mangiavillano forse avrebbe potuto riacquistare anzitempo la libertà si lasciò andare a dichiarazioni esplosive: «Se esce, bisognerà lare il processo a me perchè lo ammazzo». Mangiavillano ha continua-no, giugno 1974, la corte d'as- sise d'appello ha pronunciato la sua sentenza: conferma to sempre a negare; ma il suo maggiore accusatore è stato sempre Franco Torreggiani che non ha mai cercato di diminuire la propria responsabilità. Allo scadere del settimo an- dell'ergastolo a Mangiavilla- mno, lieve riduzione a Torreg-1 pgiani condannato a 26 anni e j d6 mesi, condanna di Mario nLoria (in precedenza assolto) ! pa 12 anni. ! uAncora dodici mesi e final- ! lmente oggi la discussione del i M ricorso in Cassazione. La dife-1 t sa ha scoperto che uno dei- ! g giudici popolari non fu chia- i mato in corte d'assise d'ap- ello soltanto perché invece i cercarlo ad un determinato umero civico erano andati, er errore a rintracciarlo in n altro. «Si deve annullare a sentenza — dice — perché Mangiavillano avrebbe dovuo essere giudicato da quel iudice popolare ». Guido Guidi

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