Da dieci giorni presidiano la loro fabbrica di Gabriella Poli

Da dieci giorni presidiano la loro fabbrica Da dieci giorni presidiano la loro fabbrica Pomeriggio con le operaie licenziate della ditta Hebel La proprietà ha deciso la chiusura da un giorno all'altro - Le giovani donne, quasi tutte del Sud, quasi tutte sposate e con figli, alcune sole in famiglia a guadagnare, sono decise a difendere il loro diritto al posto di lavoro - Solidarietà del borgo Concetta si è sposata sabato. 14 giugno. Quando è tornata a casa dalla cerimonia ha trovato ad attenderla il regalo delle sue compagno di lavoro e una lettera del titolare della ditta con la comunicazione del licenziamento. Concetta è una delle 80 operaie della Hebel. fabbrica di confezioni femminili, all'angolo di via Andorno con il Lungopò. Camicette, abiti, cappotti, tailleurs, fatturato annuo un miliardo e mezzo. Tra le 8 e le 10 di quel 14 giugno tutti i dipendenti della Hebel (70 donne e 10 uomini) hanno ricevuto una lettera come quella di Maria. E l'hanno ricevuta anche le cento operaie e impiegate della Hebel di Barge. La fabbrica chiude. Lo ha deciso la proprietà dichiarandosi disposta a vendere il suo « gioiello ». Motivi: l'incerto futuro del settore, il calo delle venterà come quella di Concetta. E dite, il timore di fallire nel giro di pochi mesi. Da dieci giorni e dieci notti la Hebel è presidiata. Le operaie si avvicendano in tre turni. Sono accampate in due stanzette vicino all'ingresso: con due brandine e qualche sacco a pelo. In fondo al corridoio, dietro le porte chiuse accuratamente a chiave, macchinari modernissimi si coprono di polvere. Sulla cinta di mattoni della fabbrica, manifesti chiamano alla solidarietà tutta Vanchiglietta, quartiere mezzo operaio, mezzo borghese. Dicono: « Uniti si vince ». C'è un largo drappo con le sigle dei sindacati tessili che gestiscono la lotta, ci sono scritte e bandiere rosse. Dentro, si respira inquietudine e sgomento. Soprattutto volontà di resistere. Ho trascorso il pomeriggio di domenica con le operaie della Hebel di via Andorno. Una lunga I chiacchierata intorno a un tavo lo, facce giovani e decise, occhi segnati dalla veglia, parole amare e consapevoli. Nessun cedimento, né rassegnazione. In mezzo al gruppo Rosi, sindacalista della Cisl tessili, e alcuni operai di altre fabbriche, che hanno rinunciato al riposo festivo per vigilare la Hebel dall'esterno e sono entrati con me sotto l'improvviso acquazzone. « Avevamo concluso l'accordo aziendale nella primavera '74. Laposse, il padronee, si era impegnato a non licenziare nessuno per tutto il '75. C'erano parecchie ordinazioni, preparavamo il campionario. Abbiamo latto straordinari fino a venerdì 13. E il sabato. I le lettere. All'incontro in prelettura Il padrone ha detto: "Non mi conviene più". Non vogliamo entrare nel merito di quello che s'è guadagnato qua dentro. Diciamo solo che la crisi si è sentita qui meno che altrove. E che non vogliamo essere buttate sulla strada come limoni spremuti. E che non c'importa nulla sapere che le nostre liquidazioni sono accantonate. Non li ritireremo. La fabbrica deve riaprire ». Ora c'è silenzio nella stanza lunga e stretta, con l'aria del temporale che entra a folate dal finestrone a bocca di lupo. Le donne intorno al tavolo guardano nel vuoto. Franca, la più giovane, alta e dinoccolata, seduta in terra I con le ginocchia raccolte nell'arco : delle braccia magre, ha abbando-' nato la testa contro la parete e l si è addormentata. i « Panini, qualche calle e dor-j mire sul pavimento. Stanca di più ] questo presidio — spiega Anna i Maria — che il lavoro alle macchine. Ma non molleremo » Poche ore fa, Anna Maria ha letto in chiesa, invitata dal parroco che diceva Messa, un breve resoconto della vicenda Hebel. Il prete ha soggiunto: « Dio è giustizia. Siamo coinvolti tutti, noi del nostro borgo, in questa storia di licenziamenti. Come comunità parrocchiale, come cristiani. La lede parte da Dio e passa attraverso testimonianze concrete. Duelli della Hebel hanno bisogno di essere aiutati ». Franca si riscuote a sentir parlare della colletta che si è fotta in chiesa: «Diciamo grazie a chi ci sta vicino, ma non vogliamo pietà. Vogliamo che la gente capisca che lottiamo per la dilesa del posto di lavoro». Ditta Hebel. un dramma umano, un «test» della crisi, ma anche un simbolo della condizione femminile. Isabella. Rita. Elena. Gaetana. Tania. Pina, Sabina, Antonia, tutte insomma meno cinque o sei sul totale, sono donne del Sud. Hanno scontato i problemi di una immigrazione farraginosa, di una città cresciuta troppo in fretta, scarsa di servizi sociali, di spazio per i bambini, di asili ni- do. di trasporti: «Pago centomila lire al mese perche mi custodisca-no / tigli quando io e mio maritosiamo al lavoro». «Mi ci vanno due ore e 400 lire per andare e ve- nire dalla fabbrica-. "Due paghe n casa sono necessarie con i prezzi che aumentano e i bambini da crescere ». Tutte rifiutano il discorso del. 'alternativa casalinga: il loro saario non è solo «complemento" di quello del marito: è un diritto e il rutto di una scelta. Basta col considerare la donna lavoratore di serie B. docile ad accorrere in i l tempi di «boom» e a uscire di scej na appena ce una crisi. «Ci hanno I chiamato a Torino per lavorare, \ abbiamo latto sacrifici per trovai re una casa, paghiamo 30-50 mila | lire d'alfitto. abitiamo in barriera, chi a S. Rita, chi a S. Paolo, una viene da Ch'ieri. E arriva il giorno che ti dicono: "Adesso basta ". Non è tollerabile, non è giùI sto ». Isabella, una barese sveglia e ' grassoccia, siede accanto al mariito, operaio Fiat: «Ci siamo presi l'alloggio a riscatto, tirando la cinghia. Paghiamo un mutuo e ì tre figli studiano. Come faremo?». La preoccupazione risuona nella voce di una ragazza bionda: «SoI no l'unica in casa a lavorare: mio | fratello è soldato, mio padre ha la j "minima"». Stessa situazione per i Anna Maria: «La pensione della \ mamma non basta nemmeno perì | l'affitto ». L'atmosfera si accende, interi I vengono gli uomini. Lino a metal i agosto andrà al suo paese in Cala- ibria per sposarsi: ha già affittato! ! I alloggio. 40 mila lire al mese:' «Mi dica lei. adesso che cosa devo fare ». E un ragazzo siciliano testa fiera e profilo da medaglia: «Come possono succedere queste cose in una Repubblica fondata sul lavoro? Ma si rende conto la gente di quel che capita nella testa di un uomo che non sa più die cosa dar da mangiare ai figli? Dov'è la giustizia? ». Sono le 7 di sera, arriva il turno della notte; il corridoio davanti alle due stanzette occupate dal presidio è pieno di strilli di bambini. «Adesso //' portiamo a casa a dormire. Siamo quasi tutte sposate e abbiamo chi uno. chi due, chi tre figli. E' anche per loro che lottiamo ». Gabriella Poli Di giorno, se non piove, le operaie presidiano dall'esterno

Persone citate: Anna Maria

Luoghi citati: Barge, Hebel, Torino