Opera "politica,, tra musica e parola

Opera "politica,, tra musica e parola Lo spettacolo al Regio Opera "politica,, tra musica e parola "Diagramma circolare" di Bruni Tedeschi La Scala ha avuto l'opera di Nono; il Comunale di Bologna ha avuto Robespierre di Manzoni. Anche il Regio ha voluto la sua opera «politica» , conformemente alla natura della città, l'ha chiesta a un musicista - industriale: Albero Bruni Tedeschi. Non nuovissima, che l'opera era stata rappresentata a Venezia nel 959, ma — bisogna dir subio — rinnovata e rivelata dal'esecuzione, che la regìa di Filippo Crivelli, così come ha inalmente dato un'idea delle j eccezionali possibilità sceni che del Teatro Regio, ha pure conferito una dimensione insospettata all'«azione scenica» ideata da Bruni Tedeschi col concorso di Gian Piero Bona per la stesura letteraria. Essa illustra, attraverso le ragiche vicende d'una famiglia operaia, la disastrosa fa- aiità delle" ieggi economiche,1quand'esse non siano arginate Ie imbrigliate, come si fa per]e calamità naturali, da altre iorze, nella fattispecie le for- !ze politiche. L'opera riprende ;quella forma che tento perfi-1no Mozart e che i tedeschi nel |Settecento chiamavano «melodrama», cioè la recitazione senza canto calata dentro un tessuto orchestrale quasi continuo. Un conferenziere introduce la vicenda e ne congiunge gli episodi corrispondenti alle sei tappe del ciclo economico: produzione, superproduzione, crisi, dittatura, guerra, rovina. Il coro li commenta, questi episodi, con sei Lamentazioni; un terzetto maschile fa due apparizioni canore, in uno stile grottesco che deriva dal Mahagonny di Brecht e Weill, e per il resto i numerosi personaggi dell'azione recitano. Questa forma teatrale obbedisce a certe sue leggi di calcolato contrappunto tra musica e parola, nel senso che questa deve calarsi tra gli interstizi di quella, o viceversa. Tale distribuzione è in parte prevista e attuata dal compositore sulla pagina musicale, in parte si sarà sistemata attraverso gli assestamenti delle prove | Intendiamoci, non si tratta del fatto materiale della percepibilità fonica: non importa niente se qualche parola si perde ogni tanto (i personag- gi recano tutti un microfono addosso, e il sistema ha funzionato meglio che nella esecuzione veneziana). Il problema è quello della «credibilità» e accettabilità della musica durante un discorso: credibilità che si avvera nei dialoghi drammatici, nelle esclamazioni e negli accenti dei personaggi, molto meno nella prosa didascalica del Conferenziere, che del resto di musica è molto spesso priva, e quando ce l'ha, vi si amalgama in modo poco soddisfacente. Nonostante la scelta di questa forma del «melodrama» o melologo, non si pensi a un'opera scritta in economia dal punto di vista musicale, Al contrario, di musica ce n'è moltissima, distribuita nei sei episodi corali e nel tessuto orchestrale della densissima partitura. Quale musica? E' la tipica musica degli Anni Cinquanta, quando l'egemonia dell'oggettivismo neoclassico stava per soccombere allacrescente espansione dell'e-spressionismo atonale, ten-denzialmente dodecafonico,che da Vienna si allargava amacchia d'olio. Il discorso strumentale si svolge prevalentemente in uno stile di toccata, fondato sulla persistenza infaticabile del ritmo motorio, ora pungente, ora saltellante, ora schiacciante, ma sempre sollecito e onnipresente; e questo appartiene appunto allo strutturalismo neoclassico, di ascendenza strawinskyana e hindemithiana. Ma la tentazione espres- sionistica si manifesta, anzi-tutto, col gigantismo dell'espressione timbrica e dinamica, attuato nell'oggettività impassibile degli elementi melodico e armonico; e poi nello stesso lessico musicale, nel decorso delle note, che se non esaurisce sistematicamente il totale cromatico, ne mostra sempre una gran voglia. Lo spazio sonoro Era un'epoca, questa, ben rappresentata fra noi dal pri- mo Petrassi e dal Ghedini dei la sua fase più modernistica in cui la musica sembrava sgranchirsi, come uno che sti ri le membra, per uscire dallepieghe dell'armonia ottocen tesca, con le sue cadenze obbligate. Lo stilema più frequente nella partitura di Diagramma circolare è quello dbrevi frasi che si avventano nello spazio sonoro dal basso in alto come zampate graffianti. Soltanto la polifonia vocale delle Lamentazioni e qualche spunto melodico strumentale (in particolare una frase di saxofono che ritorna come un leit-motiv nelle situazioni patetiche) recano qualche sosta a una situazione musicale di perenne effervescenza o, più spesso, dperenne esplosione, quale richiede la dura asprezza della materia trattata. Dura asprezza che si sarebbe potuta credere poco adatta alla vena intimistica solitamente attribuita al regista Crivelli. Invece, nella scenografia di Gianni Quaranta e nell'allestimento inestimabile di Aulo Brasaola e dei suoi valenti collaboratori nel laboratorio scenografico del Regio, Crivelli ha dato una dimostrazione maiuscola, e in una chiave insolita, del suo talento teatrale. La vena intimistica del regista si mostra soltanto nella tecnica di suicidio prescelta dall'operaio vittima della crisi: invece di spararsi virilmente una rivoltellata, come previsto dalla versione originale, va pudica- mente ad impiccarsi nella ca- mera accanto. E' un errore, perché perfino il fatto fonico dello sparo è postulato in quel punto dal realismo espressionistico della partitura, che non fa economia di timpani, tamburi e grancassa. Anche l'aver spezzato la rappresentazione, certamente lunghissima, con un interval- 1°. è un errore: si tratta d'un ciclo inesorabile, che non può essere interrotto, , , . inondo proletario Questi nei, che rf 'd; £etta£l0i certamen£ q m e „ 'più moder. no che le giovani scene del caSeco53A.prcoA.dim%iA.57derisriAopciviA.ciacep.A.chtoviA ml-i32AcastAAv101)Ffom54FpbIMbmkMduC5PoP zione; tutt0 concorre a fare di quest0 spettacolo uno dei Regio abbiano mai conosciuto! Il gioco verticale delle impalcature che stabilisce quasi due piani costanti: il mondo del capitalismo oppressore sopra, il mondo proletario sotto. (A Venezia, per forza di cose, l'azione si svolgeva tutta su piano orizzontale, in tre settori contigui della scena, che si illuminavano a turno). L'uso accortissimo di accorgimenti scenici oggi di moda, come la grande tela bianca che cadendo dall'alto avviluppa i personaggi e la scena, e lì sopra corrono di continuo le proiezioni assillanti di ruote dentate, chiavi inglesi e altri sinistri arnesi della produzione; la realistica rievocazione dei bombardamenti a tappeto; la corsa disperata dell'antifascista braccato dalle polizie (un po' come s'è visto nel iri-ain neciiriìn nor l'priiefìHin AVizio assut ao per 1 episodio | bdi Gaspare Paietta); la scelta l T■ ~" j- (-„t„„„„f,„ j„l msagacissima di fotografie del- j 1l'epoca, dovuta a Pier Giorgio Naretto, e la naturalezza di ritmo scenico con cui le proiezioni sono inserite nell'a- PseTSsttoSsumVdN5Am/ ArP dell'azione, fa di tutto per rendersi antipatico, e invece veramente antipatico non è, fatti teatrali importanti di questi anni. Altro contributo decisivo la recitazione degli attori, che non reca traccia delle difficoltà certamente incontrate per inserirsi nel tessuto musicale. Carlo Hintermann, Lina Volonghi, Gabriele Lavia e Claudia Giannotti formavano la commovente famiglia operaia, mentre Enzo Tarascio, unico superstite, con Nino Sanzogno, della rappresentazione veneziana, ha sfaccettato in tutte le sue angolose sfumature quel bellissimo personaggio che è il Presidente del Consiglio d'Ammirò CvRlCv2Cd2CCCaloCiCb7CarCH2tlI vI L; aI 1■ iiI fi LI ua| Li fstrazione; come polo negativo j Tcome non lo sono mai, nella vita, quelli che fanno con esattezza ciò che gli tocca fare. Il vero antipatico della situazione è il Conferenziere, che gira intorno ai fatti sen za comprenderli, avanzando spiegazioni moralistiche e proponendo rimedi generici, come ji riCOrso alla «preveg gente, altissima ragione», lui cne in realtà è affascinato dalla logica, razionalissima, del ciclo di produzione. Gli ha dato voce un Tino Carraro debitamente gelido e untuoso. Numerosi altri attori sono impegnati nell'azione e tutti vorrebbero essere ricordati, così come la triplice macchietta dei cantanti. Ma è tempo di venire, appunto, alla eccellenza della esecuzione musicale: Nino Sanzogno ha tratto dall'orchestra del Regio risultati eccezionali, dimo strando che, quando fosse curata con assiduità e competenza, essa potrebbe affrontare qualunque prova, anche le più difficili che la musica contemporanea propone. E lo stesso si dica del coro, benissimo istruito dal maestro [ Fanfani che con questo spettacolo si congeda dal pubblico torinese, secondo quel costume del Regio — insano costume — che qualunque dirigenza artistica, sia essa globale o settoriale, debba avere vita breve. Si sciupa così un materiale che in potenza sarebbe dei migliori. Un pubblico numeroso, sebbene lo spettacolo non fosse in abbonamento, ha decretato all'opera un buon successo — non caldissimo, perché l'opera è- difficile e può anche urtare per la violenza dello strumentale — con ripetuti applausi all'autore e agli interpreti. Massimo Mila PmtPld2Rds9RisI6SrfT7pcT7tsT7maT7lgTVdpTeatro Carignano — Martedì alle 21.15: « Per la prima volta qui » (Serata di nuovi talenti) con il « Trio Giolo », « I tre » (CostelloNovara-Maiolio), «Richard and Monica » e il « Coro Subalpino » di Torino. Premio Gozzano di poesia — Oggi alle 17 nel Castello di Agliè Canavese, Piero Mantovani di Legnago (Verona) sarà proclamato vincitore del primo premio di poesia « Guido Gozzano 1975 ». Al secondo posto Giovanni Cozza di Milano, al terzo Giancarlo Costa di Mortara. Al concorso hanno partecipato 400 autori di cinque nazioni.

Luoghi citati: Agliè, Bologna, Legnago, Milano, Torino, Venezia, Verona, Vienna