Il nobile cervo al bagno

Il nobile cervo al bagno VISITA AL PARCO NAZIONALE DELLO STELVIO Il nobile cervo al bagno E' uno spettacolo straordinario: comparso all'improvviso in riva al laghetto, inscena una rapida danza, come un rito dalle misteriose ragioni - Poi si calma ed entra, con maestosa dignità, nell'acqua gelida - I furiosi duelli alla stagione degli amori (Dal nostro inviato speciale) Bormio, giugno. Se il Gran Paradiso è il regno dello stambecco e del camoscio, il parco dello Stelvio, più disteso e più dolce nei suoi pendii — e forse anche più ricco di contrasti tra ì ghiacciai dell'Ortles e del Cevedale e le foreste di coni/ere circostanti — è il regno del capriolo e soprattut- i to del cervo. Ma non è mai facile venire a contatto con questi animali, e persino scorgerli in distanza. Occorre esser buoni camminatori (ci sono itinerari ben segnati che congiungono, attraverso escursioni che superano i tremila metri, le alte Valli j dell'Adda, dell'ìnn e dell'Adige), esser disposti a pernottare in quota ed è bene portare con sé un binocolo, o meglio ancora un cannocchiale di marina. Non andare mai da soli, farsi accompagnare da una guida autorizzata. E bisogna esser pazienti, cauti, discreti. Ma ne vale la pena. Oltre al cervo e al capriolo, si possono vedere anche il gallo cedrone (il « terzo grande » dello Stelvio, il maschio è Aero e bellissimo, può raggiungere i cinque-sei chili di peso e la lunghezza d'un metro) e la lepre delle nevi, l'aquila qui ancora relativamente abbondante e stanziale, il picchio nero, rarissimo, e il francolino di monte, il ghiro e la martora, la volpe e il tasso. Si diventa capaci di osservare per ore una pianta, un fiore, un picco emergente dal ghiacciaio, seguire e « intepretare » il volo di un falco o di un corvo, avvertire fisicamente il silenzio della montagna e del bosco. Il cervo è il rappresentante più caratteristico della fauna abitante l'intera fascia temperato-nordica del Vecchio come del Nuovo Continente (in America vive il gigantesco wapiti, alto fino a un metro e ottanta al garrese e che forse è una sottospecie più che una specie diversa di cervo); ha gambe snelle e petto possente, muso sottile dai grandi occhi dorati e umidi, corna cadu- che, è mite nel pascolo e nelle lunghe camminate ondeggianti, irruente e crudele nelle battaglie d'amore. Cervus elaphus, cervus nobilis: «ri nome che evoca ricordi di antiche cacce con banditori in livrea e mute di cani, un sapore di Medioevo e castellane alla Marco Visconti. E' da sempre il simbolo dell'attività venatoria. In questo cosiddetto sport, che piace tanto agli uomini, di scovare di inseguire di uccìdere, costituisce la preda più ambita; un palco di cor- na con venti e più diramazioni per ciascuna base (« di venti punte in ogni stanga egregio ». dice D'Annunzio) è il più ammirato dei trofei. Come il daino, il cervo è og- gi quasi scomparso fuor che nelle maggiori riserve, ricacciato nel folto dei boschi più selvaggi da quella grande malattia epidemica che è, per l'intera famìglia degli animali, l'esplosione biologica dell'uomo. Anche il cervo è in attesa di morire. Sopravvive soltanto, ma in condizioni assolutamente non naturali, là dove è protetto. E' così, per fortuna, in una vasta zona che va dalla Baviera alla Polonia alle montagne della Serbia e della Bulgaria. Può capitare di intravedere ancora oggi branchi di cerbiatti, anche passando in automobile, sui colli a Nord di Sofia. Solo poche catture sono permesse (qui nel parco dello Stelvio e nella zona circostante, non più di una ventina l'anno) autorizzate volta per volta dai tecnici delle bandite e sempre di esemplari vecchi o malati o feriti, già contrassegnati uno per uno per seguirne gli spostamenti. E ogni volta, s'intende, c'è una bella somma da pagare. Caccia spietata Anche dove è più numeroso e in sicurezza (nei 95 mila ettari dello Stelvio, un quadrato irregolare di più di trenta chilometri di lato, vivono 760 capi, secondo l'ultimo rilevamento), il cervo non ha dimenticato la spietata caccia alla quale l'uomo l'ha sottoposto fin dalle epoche più remote. E' un ricordo ancestrale: il cervo teme l'uomo, lo fugge, lo stesso odore dell'uomo gli ripugna. E' curioso che qui nel parco, in particolare sul lato settentrionale che dà sull'Alta Val Venosta, sui ghiaioni del monte Reit, sotto il Piz Umbrail, sui pendii del Trafoi, quando d'inverno tutto è gelo e la vita è stentata e il cervo non trova cibo se non qualche magro ciuffo di muschi e licheni dopo aver grattato per ore il terreno con gli zoccoli sotto il ghiaccio e la neve, ed allora i guardacaccia collocano un po' di fieno in apposite mangiatoie di legno compensato erette in una radura (sono graziosissime, dipinte dì verde chiaro, sembrano tante casette di Biancaneve), allora in queste occasioni i cervi si lasciano avvicinare a pochi passi, la fame prende il sopravvento sulla paura, l'animale dimostra di conoscere benissimo i suoi salvatori. Ma se c'è un estraneo in compagnia del guardacaccia, niente da fare, fuggono o stanno nascosti. E non appena sopraggiunge la primavera, allora anche l'amicizia per il guardacaccia si tronca di colpo, l'animale ritorna diffidente e cauto e scontroso, non riconosce più nessuno, non si lascia più avvicinare. Un tempo, quando l'uomo I non aveva ancora invaso tilt: to il pianeta Terra e lasciava un po' di posto anche agli | animali, il cervo — a dire degli zoologi — abitava nelle zone più elevate della catena alpina, subito al di sotto dei ghiacciai, soltanto in piena estate. Nelle altre stagioni scendeva a valle. Ora anche d'inverno non esce dalle riserve; anche se l'altezza media del parco dello Stelvio si avvicina ai duernii la ottocento metri, non s'az- zarda a scendere. Sana prudenza. Ma, dicono sempre gli zoologi, quell'abitudine di spostarsi a seconda delle stagioni, irrobustiva la specie. Sta di fatto che è molto difficile poter vedere il cer vo con tutta calma nel suo ambiente naturale. L'animale se ne sta rintanato dove il bosco è più folto, attento ad ogni rumore, ad ogni sussulto, ad ogni movimento insolito. Soltanto alle prime luci dell'alba, conoscendo bene i posti, e se si è fortunati, accade talora di sorprenderlo a pochi metri di distanza, soprattutto sul massiccio del Reit e nel vallone di Trafoi. E' quando si avvicina ad un laghetto o ad un ruscello per bere o per fare il bagno. Il bagno del cervo è uno spettacolo fra i più belli che la natura vivente ci possa offrire. L'animale (« sicut cervus ad fontem aquarum, l'anima mia anela al Signore») compare all'improvviso, senza un fruscio, si vedono gli occhi fissi e lucenti prima ancora che le grandi corna. Si accosta al laghetto, si sofferma sulla riva, si guarda attorno molto cauto, poi inscena una specie dì rapida danza. Sembra trasformarsi. Si solleva sulle zampe posteriori, scuote le lunghe corna appena ricresciute dopo la « muda » primaverile, scalpita, s'inarca. Fa una breve corsa tutt'intorno, saltellando, batte gli zoccoli sul terreno in una sorta di rito di cui solo l'animale conosce le misteriose ragioni. Poi si calma ed entra lentamente, con maestosa dignità, nell'acqua gelida. Solo il capo emerge, sembra che galleggi, in realtà si spinge raramente dove non « tocca », come l'inesperto che impari a nuotare. Solleva il capo, bramisce, come se già fosse giunta la stagione dell'estro, due. tre volte, bramiti lunghi e pacati, poi ritorna a riva con un balzo e se ne va al piccolo trotto. Come è affascinante il bagno del cervo, così è un'esperienza paurosa osservare le battaglie fra i vecchi maschi nella stagione degli amori, settembre. A differenza dello stambecco e del camoscio, il cervo non combatte soltanto per liberarsi di un rivale ma s'incattivisce con l'età e combatte per uccidere. Le notti di luna Gli scontri avvengono in una radura, quasi sempre la stessa ogni anno, quando c'è la luna, tra notte e alba. Tutt'attorno cinque o dieci femmine stanno a guardare, con aria indifferente, sanno che apparterranno al vincitore. I due avversari si avventano furiosamente uno contro l'altro, con calci e cornate, i bramiti e lo scalpitar degli zoccoli sì sentono di lontano. La lotta dura anche un'ora o più, senza un'interruzione, senza che un altro maschio e tanto meno una femmina intervenga. Chi alla fine prevale non si limita a battere l'avversario, gli si accanisce contro con spietata ferocia, non di rado finisce per ucciderlo con una cornata che trafigge il cervello. Spesso anche restano tutti e due sul campo, trafitti a vicenda. Alla fine il vittorioso si ritira con il suo harem, pronto sempre c difenderlo. Per un mese farà vita in comune con le sue suddite che negli altri mesi non guarda nemmeno. Per tutto questo pe¬ riodo resta quasi senza mangiare (per l'esattezza qualcosa mangia anche in questi frangenti, ma soltanto funghi anche velenosi, che forse hanno un effetto afrodisiaco). E' occupato sempre e soltanto ad amare, diventa magro e sparuto. Poi, ai primi d'ottobre, tutto ritorna come prima, si riformano i grossi branchi con le femmine ai lati e i piccoli cerbiatti nel mezzo. I maschi formano altri branchi, per conto loro. Non vi sono gerarchie, al¬ meno non riusciamo a riconoscerle, non vi sono più risse. Gli an'.mali pascolano tranquilli l'uno accanto all'altro, non si mescolano mai con i caprioli, anche se l'habitat delle due specie coincide quasi esattamente. Soltanto se si avvicina un nemico (un tempo l'orso o il lupo o la lince, oggi unicamente l'uomo) il primo del branco che lo avvista o ne sente l'odore dà l'allarme, una sorta di fischio prolungato di bassissima tonalità. Di colpo tutti fuggono, sono scomparsi. Come il cervo, anche il capriolo, più esile e sottile ma forse più aggraziato nei movimenti, diffida dell'uomo. Si lascia tuttavia vedere più facilmente, ama le radure e ì pascoli in lieve pendio più che il fitto dei boschi. Qui nel parco dello Stelvio si contano almeno duemila caprioli adulti, dal manto rosso-rugginoso o grigio-bruno, o pezzato, alcuni rarissimi esemplari albini. D'inverno l'animale scende spesso a valle, talora una femmina (più coraggiosa o più affamata del maschio) si avvicina alle case dei montanari, penetra persino nelle stalle, guarda con gli occhi acquosi e dalle lunghe ciglia l'uomo che gli offre del cibo, si china sulla sua mano. Ma guai se l'uomo fa un gesto brusco o vuole afferrarlo o se compare un cane che gli si avventi contro. Il capriolo è l'animale più timido del mondo. Può accadere che, spaventato, semplicemente si accasci di colpo al suolo, fulminato da un infarto. Altre volte tenta la fuga, disperatamente, una corsa pazza, irrefrenabile. Ma in questi casi dura poco. L'animale si arresta dopo poche centinaia di metri, si abbatte sulle zampe, rimane qualche minuto con la testa in aria, quasi voglia guardare il cielo, poi ripiega il capo in avanti. E' morto. La paura, spiegano gli scienziati, gli ha letteralmente spaccato il cuore. Umberto Oddone Parco nazionale dello Stelvio. Diffidente e solenne, un bell'esemplare di cervo contempla il suo regno (Foto Dolfini)

Persone citate: D'annunzio, Foto Dolfini, Marco Visconti, Umberto Oddone Parco