Dopo la medaglia di bronzo agli "europei,,

Dopo la medaglia di bronzo agli "europei,, Dopo la medaglia di bronzo agli "europei,, Gli azzurri del basket aspettano forze nuove Ci sono sempre due facce di una stessa medaglia, ci sono anche medaglie dello stesso metallo ma di valore molto diverso. Come quelle vinte dalla Nazionale di basket ai campionati europei: bronzo ad Essen nel 1971 e bronzo a Belgrado nel 1975, però quattro anni fa il risultato del torneo continentale rappresentava un premio e un propellente per una squadra in ascesa, oggi il terzo posto conquistato (anzi, strappato) in Jugoslavia ha quasi l'aria di una gratifica per una formazione dalle prospettive incerte e dal presente tentennare. I nostri giganti del canestro sono tornati a casa con la soddisfazione di aver centrato l'obiettivo di partenza, di aver ritrovato il posto giusto nella élite internazionale dopo essere scivolati indietro al quinto posto negli europei di Barcellona del '73 quando la formula della manifestazione (due gironi eliminatori anziché tre) e il « boom » della Spagna padrone di casa ci spinsero fuori dal podio, relegandoci in quinta posizione. Non si discute su questo: il terzo posto in Europa è il verdetto più giusto per il nostro basket, inferiore solo alla Jugoslavia e all'Urss, quasi in linea con la Spagna e ancora più avanti (ma forse non per molto, se le cose continuano così) di una Cecoslovacchia tutta rinnovata. Si discute però sul futuro, anche Immediato, di questa Nazionale che l'anno prossimo a Montreal dovrebbe chiudere un ciclo e ci sembra già giunta nella fase più bassa della sua parabola dopo aver toccato il vertice ai Giochi di Monaco nel 1972. Ouella vista (e sofferta) in Jugoslavia, è una Nazionale usurata, con parecchie falle create allo stesso tempo da titolari ammirevoli per la loro carriera ma con entusiasmo e rendimento calante e da rincalzi troppo poco maturati e troppo poco aiutati a maturare. I dati anagrafici sono di facile interpretazione, come dimostra la tabella qui sotto: se Giancarlo Primo, il et. del canestro, resterà dell'idea di confermare questo gruppo di azzurri per le non lontane Olimpiadi (ammesso che si ottenga la qualificazione, ancora da conquistare e tutt'altro che agevole), ci ritroveremo a Montreal con una squadra più vecchia di quella di Città del Messico, da sempre indicata come un esempio negativo da fuggire. Primo cominciò la sua carriera in azzurro dopo i Giochi del 1968, succedendo a un Paratore accusato giustamente di aver fatto « marcire » stimoli tecnici e carica morale di una Nazionale troppo matura: si era così affezionato a certi giocatori, si diceva, da non accorgersi che il tempo passava e lasciava segni nel loro fisico e nel loro morale. Arrivò Primo e fu la rivoluzione, davvero clamorosa, con l'inserimento di giocatori quasi tutti nuovi, gli alfieri del basket moderno: difesa, forza fisica, gioco controllato, un messaggio da molti osteggiato, portato avanti con tenacia e premiato con risultati importanti. Si cominciò nel 1969. agli europei di Napoli: Zanatta. Bisson, Bariviera, Meneghin, Brumat- ti erano gli elementi-base della | nuova Nazionale, proprio come ogqi sono gli elementi-base delia Nazionale diventata vecchia che per strada ha fatto salire sul suo carro pochi passeggeri nuovi, campioni di rapida esplosione come Marzorati o recuperati come Recalcati, giganti ancora da completare tecnicamente come Serafini e Bertolotti. Ma l'ossatura è quella di Napoli, i « ragazzi » di Primo sono diventati padri di famigli, hanno disputato europei, mondiali. Olimpiadi, riempiono e svuotano canestri per 335 giorni all'anno in campionato o in Coppa o in maglia azzurra: e ora aspettano di ritrovarsi a Montreal, più o meno nella situazione di quella famosa (o famigerata) Nazionale di Paratore che fece la parte delle macerie su cui Primo cominciò a ricostruire. A Monaco presentammo una formazione con un'età media di poco superiore ai 24 anni: a Belgrado, tre anni dopo, abbiamo dovuto ringraziare Recalcati, riammesso come un figliol prodigo (trentenne) nella famìglia azzurra dalla quale Primo lo aveva scacciato. La « novità » di questi europei è stata proprio la presenza preziosa di Recalcati, uno che addirittura giocò in » quella » Nazionale di Città del Messico: è stato tra i più costanti in una squadra quasi sempre in altalena, oggi deludente, domani irritante, dopodomani esaltante. Solo Marzorati può stargli alla pari in una teorica « pagella » finale che tenga conto del'e sette partite disputate, tre nel girone eliminatorio a Spalato (contro Turchia, Olanda e Jugoslavia) e quattro nelle finali di Belgrado (contro Urss. Spagna. Cecoslovacchia e Bulgaria): solo Bertolotti. degli altri, merita un bel voto per quanto ha fatto in quasi tutte le partite, eccezione fatta per le ultime due. Sufficienza per Sisson (stanco nel finale, dopo aver fatto moltissimo a Spalato), stentata per Meneghin vittima di sfortune ma anche di fragililà morale che paralizza la sua forza poco meno che ciclopica: « rebus » per Bariviera. campione quanto mai atipico, troppo spesso svagato, rimasto a far la comparsa per sei partite (nelle quali ha giocato solo 63 minuti complessivi) e poi diventato mattatore per 40 minuti su 40 l'ultimo giorno contro la Bulgaria. Ferracini si è salvato con le sue enormi dosi di grinta, distinguendosi in ditesa e ai rimbalzi, dividendo con Della Fiori (più brillante nel tiro, meno ruvido nelle lotte sotto i tabelloni) il compito di rimpiazzare il troppo evanescente Meneghin. Carraro ha fatto brevi comparse, Jellini e Zanatta si sono visti pochissimo costretti com'erano a zoppicare entrambi per nuovi incidenti che li giustificano ma confermano pure una loro precaria efficienza fisica. Rimane Villalta: era il nostro giocatore-sorpresa, a vent'anni ha fatto mirabilie in campionato, duellando bene con i «pivot» americani, con i suoi 202 centimetri poteva affiancare o rimpiazzare Meneghin. E' rimasto seduto in panchina più di tutti, ha giocato cinque minuti (contro l'Olanda) in sette partite. Dice Primo che anche cosi si fa esperienza. Però la Jugoslavia ci ha fatto vedere tipi come Zizic e Delibasic, coetanei di Villalta, utilizzati tutti i giorni, mandati in campo anche nella finalìssima con l'Urss. Anche questo dettaglio spiega la forza della Jugoslavia bi-campione d'Europa; per quanto possa essere meno ricco il nostro vivaio (e lo è di sicuro, anche qualitativamente) è evidente che gli slavi lo valorizzano molto meglio e molto più in fretta. Oualcosa forse cambierà prima di Montreal. Ma Primo sembra troppo attaccato ai suoi veterani, nemmeno per l'imminente Coppa intercontinentale, una manifestazione di secondo piano ha annunciato esperimenti e innesti sul vetusto telaio della Nazionale, chiamata a fare il suo solito dovere anche in luglio ed agosto. I campioni delle ultime leve non esistono, e Primo non ne ha colpa: dicono i tecnici che certe ■ annate » hanno dato frutti non troppo validi, bisognerà aspettare un paio di stagioni per l'affermazione di freschi talenti. Qualcosa di buono p3rò c'è già: un Villalta. un Tombolato (un altro ventenne), un Bonamico (diciottenne) meriterebbero attenzioni non solo teoriche, convocazioni non solo da panchina. Altrimenti a Montreal ripeteremo Messico, dove si arrivò ottavi, fini una Nazionale e chiuse la carriera un commissario tecnico. Antonio Tavarozzi