In mano alla follia le vite di tre bimbe

In mano alla follia le vite di tre bimbe In mano alla follia le vite di tre bimbe Delle due ipotesi sulla morto della piccola Ombretta, non si sa quale sgomenti di più. La prima: è stata uccisa dal padre che le ha fatto inghiottire una dopo l'altra una quindicina di pastiglie medicinali [«Ne aveva lo stomaco pieno", dirà il perito) per un oscuro disegno di morte nato nel suo cervello sconvolto. « Volevo vederci chiaro », dirà al cronista de La Stampa al quale si è presentato il giorno dopo. Vederci chiaro, sembra di capire, soprattutto in se stesso, in questo dramma di due bambine nate da lui, ma che portavano il nome di un altro, del marito di Maria Lombiatti già separata nella realtà, ma non ancora sui documenti anagrafici. Una contraddizione che può avere sconvolto il povero cervello analfabeta di Alfio Catania, anche se ciò appare incomprensibile a una persona colta. Ma lo psicologo sa quanto, nelle mentalità primitive, sia confusa la distinzione tra il simbolo, il nome di una cosa e la cosa stessa, tanto che l'astratto e il concreto finiscono per coincidere. Ha ancora detto Alfio al cronista: «Scrivete questo titolo: Un tutore uccide le sue bambine-. Gli è stato chiesto: «Tutore? Ma lei è anche il padre-. E Alfio Catania si è irrigidito di colpo: «A questo punto non dico più niente-. Come se la domanda innocente avesse toccato proprio il torbido nodo della sua paranoia. La seconda ipotesi è più umana, ma non meno sconvolgente. Ombretta avrebbe trovato le pastiglie che il padre usava per combattere gli effetti collaterali negativi dei tranquillanti e le avrebbe inghiottite per gioco, credendole caramelle. Un infortunio frequente, dice il primario dell'ospedale infantile, nelle famiglie: sono più d'uno i ricoveri settimanali di bambini avvelenati perché non hanno saputo resistere alla tentazione delle pillole con colori vivaci che i genitori hanno lasciato incautamente alla loro portata. Ed è proprio rimproverandosi questa trascuratezza diventata fatale alla piccola Ombretta che nel cervello già turbato di Alfio Catania si sgranano gli ultimi meccanismi, e l'uomo si accusa della morte come se l'avesse voluta e provocata deliberatamente, in un'ansia cupa di autopunizione. Nell'uno e nell'altro caso, suscita più pietà che avversione. E' evidentemente un uomo incapace di provvedere a se stesso: si esprime con frasi incoerenti, nelle quali è raro cogliere un barlume di lucidità. Capace solo di una dura fatica come manovale, silenziosa e bestiale, trafitto dalla lama di un delirio continuo di natura religiosa. «Perché sei già stato in manicomio?-, gli ha chiesto la polizia. Una volta ha risposto: «Perché mi volevano fare santo-, un'altra: «Perché Gesù Cristo si è latto uomo-. Al suo fianco, nella vecchia cascina di Pralormo, che aveva acquistato diroccata e rimesso a nuovo con la sua testarda fatica di uomo capace di lavorare soltanto con le mani, c'era una donna. Ma anche lei distrutta dal¬ temperatura di ieri la miseria, scheletrita e chiusa in una sorta di impenetrabile cupezza: incapace di rendersi conto di vivere accanto a un paranoico, debole di niente al punto di accettarne l'autorità e la guida. Alfio Catania, che i medici avevano giudicato pazzo sì, ma innocuo, era invece ossessionato da lucidi, incessanti propositi di morte. L'idea di uccidere quelle due bambine che per un mostruoso e incomprensibile caso erano sue, ma non portavano il suo nome, l'aveva manifestata più volte. Agli agenti che lo interrogavano ha ripetuto, quasi in tono d'angoscia: «Dovete mettermi dentro. Se no le uccido. Se le uccido, la colpa sarà vostra perché non mi avrete messo In prigione-. Come se solo i quattro muri di una cella avessero potuto proteggerlo dai mostri che tormentavano la sua mente. Ora, qualunque ipotesi le indagini finiscano per accreditare, c'è in ogni caso un aspetto della vicenda che lascia sgomenti: come mai quest'uomo non abbia ricevuto adeguate cure psichiatriche e soprattutto come mai tre creature innocenti siano state affidate a lui (ne abbia o no ucciso una) e alla sua pallida, debole compagna. Senza che ci fosse almeno un'assistente sociale, una visitatrice, che tenesse d'occhio la sperduta cascina di Pralormo, che ricevesse le confidenze di Maria Lombiatti, che vigilasse sulla sorte di tre bambine. In questi giorni tutti gli assistenti che la Regione aveva assunto proprio per aiutare le frange più disperate e sole della miseria del Sud che l'immigrazione ha spinto nella nostra città, sono stati licenziati «per mancanza di fondi»- g. mart,

Persone citate: Alfio Catania, Gesù

Luoghi citati: Pralormo