Pazzo di gelosia avvelena le figlie dell'amica con cui vive: una (2 anni) morta, l'altra salva

Pazzo di gelosia avvelena le figlie dell'amica con cui vive: una (2 anni) morta, l'altra salva Si presenta a "La Stampa,, e dice: "Ho ucciso le mie bimbe, fatemi mettere dentro,, Pazzo di gelosia avvelena le figlie dell'amica con cui vive: una (2 anni) morta, l'altra salva L'uomo ha un carattere strambo: mania religiosa, idee squilibrate - L'altra sera rincasa, l'amante non vuol dirgli dove ha trascorso il pomeriggio, litigano e lui fa inghiottire alle piccole una quindicina di pastiglie medicinali - Poi le porta all'ospedale - Ieri viene al nostro giornale e confessa « Mettetemi dentro, altrimenti uccido anche gli altri ». Con queste parole un operaio di Pralormo ha confessato ieri alla polizia di aver avvelenato, la sera prima, le due gemelle della donna con cui vive. Ha somministrato loro una ventina di pastiglie di un farmaco che il medico gli aveva prescritto per combattere gli effetti di alcuni ansiolitici. Preso da un tardivo rimorso, le aveva ricoverate entrambe durante la nottata all'ospedale infantile dove una delle bimbe è morta quattro ore dopo, in preda a convulsioni. L'altra è invece sopravvissuta ed è tuttora trattenuta in osservazione, ma sembra fuori pericolo. Prima di recarsi in questura per fare la sua confessione, l'uomo, che si chiama Alfio Catania, ha 35 anni e risiede nella vecchia cascina Nobel della frazione Spina di Pralormo, si era presentato a La Stampa. Aveva detto di avere una notizia sensazionale, che avrebbe ceduto solo in cambio di una grossa somma. Aveva anche indicato il titolo dell'eventuale « pezzo » da dedicargli: « Un tutore uccide le figlie per vederci chiaro », una frase farneticante che si riferiva al ménage familiare. Le due bimbe infatti sono di Maria Lombiatti, di 23 anni, sposata in Curti e separata da tre anni. Ora vive con il Catania e dall'unione con lui è nata sei mesi fa anche una terza bimba, Nunzia. Le prime due portano il nome del marito. Era sembrato In un primo momento al cronista di trovarsi di fronte ad un padre con la mente sconvolta dal dolore per una recente, tragica esperienza. Una telefonata all'ospedale infantile aveva confermato la morte di una bimba e il ricovero dell'altra, il ferto dei medici attribuiva il decesso all'ingestione di « una dose eccessiva di farmaci » e tutto sembrava indicare una delle disgrazie molto frequenti in famiglia: quasi quotidianamente all'* Infantile» vengono ricoverati bimbi che hanno trovato un flacone di pastiglie colorate e ne hanno inghiottito, credendole caramelle. Ma qualcosa nell'aspetto insòlito nell'uomo, la sua terribile ostinazione a volere a tutti i costi denunciarsi colpevole della morte della figlia, hanno fatto pensare a qualcosa di più di un incidente. In questura Alfio Catania è stato lucido e preciso: « Ho dato a mia figlia Ombretta quindici pastiglie di Dlsipal », cioè una sostanza che i medici prescrivono a chi è costretto a prendere dei tranquillanti a causa di qualche turba nervosa, per combatterne gli effetti collaterali. L'uomo infatti, lo si è scoperto successivamente, è stato diverse volte ricoverato a Villa Cristina, è soggetto a diverse crisi che lo tengono per lunghi periodi lontano dal lavoro. Soffre di mania religiosa, crede di essere un santo. Per questo suo stato di salute è anche stato riconosciuto invalido ed ha una pensione. « Mia figlia — ha ha detto ancora l'operaio — credeva che fossero dolci. Inghiottendole una dopo l'altra diceva: "Che buone, papà", e ne voleva ancora. Altre quattro o cinque ne Ita date a Katia, la gemella ». Tutto questo secondo il racconto fatto al vicequestore Montesano e poi ribadito al sostituto procuratore Moschella, sarebbe successo poco dopo le 19 della sera precedente. Il Catania, che fino a ieri lavorava come piastrellista presso un'impresa edile di Pralormo avrebbe propinato alle figlie il farmaco subito dopo essere tornato dal lavoro, approfittando della temporanea assenza della convivente. Concorde alla sua versione è quella del vicino, Giovanni Cavallo, di 58 anni, 11 quale ha dichiarato agli inquirenti di aver visto la coppia, coi tre figli, « in un prato nei pressi di casa, ìnten-i ti a raccogliere ciliege » poco dopo le 19. Totalmente diverso quanto ad orari e modalità è invece il racconto della madre. Al dottor Moschella, la donna ha detto che re- 1 le bambine hanno ingerito il far- i maco « prima 11 che l'uomo ritor- ! nasse dal lavoro cioè verso le | 20. Quando il Catania ha raggiunto la sua abitazione infatti, Ombretta cominciava già, a dare i primi segni dell'avvelenamento. A questo punto si inserisce il racconto di Giuseppe Peracchi, il titolare del distributore Agip di Pralormo, testimone dei tentativi della coppia di salvare la bimba, ormai in coma. « Erano da poco passate le 20. Avevo ap pena chiuso il mio distributore e stavamo per sederci a tavola quando ho sentito delle urla ventre dalla piazza. Era la moglie del Catania, disperata, con tra le braccia le bimbe ormai bluastre in viso. Dopo aver telefonato alla Croce Rossa di Carmagnola si erano precipitati nella piazza per venire incontro alla ambulanza poiché, abitando in una cascina isolata, credevano che l'autista non li avrebbero trovati. Mi sono offerto io di portarli con la mia Flavia — ricorda l'uomo — almeno sulla strada per Carmagnola, incontro ai soccorsi. Li abbiamo visti infatti, ma non si sono fermati perché andavano a tutta velocità ». La corsa è proseguita fino all'ospedale di Carmagnola, dove 1 sanitari vista la gravità delle due bimbe, hanno consigliato al genitori di portarle immediata¬ mente al reparto rianimazione dell'Infantile Regina Margherita a Torino. Il teste ricorda ancora: « In macchina il più disperato sembrava proprio lui, il padre. Lo conosco da tempo, so che voleva molto bene alle figlie. Quando la moglie ha detto che le due bambine avevano inghiottito le sue compresse, l'uomo l'ha rimproverata aspramente, accusandola di non averle tolte dalla cir¬ colazione, come le aveva detto altre volte ». Al Regina Margherita la Flavia è giunta poco dopo le 21,30, ma è apparso subito chiaro ai medici della rianimazione che rimaneva poco da fare. « A questo punto — ricorda ancora il Peracchi — all'angoscia per le sorti di Ombretta si è aggiunta quella di Katia. lasciata sola In casa, forse morente anche lei. Siamo ritornati di corsa alla cascina, ma per fortuna la bimba non appariva In gravi condizioni ». A tarda sera quando gli è stato comunicato che era in stato di fermo per tentato omicidio, è sembrato che il Catania avesse un attimo di sollievo. « Mettetemi le manette — ha detto agli agenti che lo portavano via — perché non /accia altri spropositi ». Alfio Catania ha avvelenato anche Katia, che si è salvata - La convivente, Maria Curti, sconvolta dalla tragedia con in braccio l'ultima figlia, Nunzia st

Persone citate: Alfio Catania, Giovanni Cavallo, Giuseppe Peracchi, Maria Curti, Montesano, Moschella, Peracchi

Luoghi citati: Carmagnola, Catania, Pralormo, Torino