Le sei "eresie,, di Mao di Alberto Cavallari

Le sei "eresie,, di Mao VIAGGIO ATTRAVERSO LA REPUBBLICA POPOLARE CINESE Le sei "eresie,, di Mao Una visita alla casa natale del Presidente, sulle colline di Shaoshan, ha il senso di un bilancio - Vecchio, stanco, forse malato, l'uomo sembra sublimarsi e dissolversi in una Cina pentecostale, pronta a ricevere ormai le fiammelle del suo spirito (Dal nostro inviato speciale) Shaoshan, giugno. Facciamo visita alla casa dov'è nato Mao Tse-tung. E' la stagione più adatta per traversare l'Hunan, dove sono in fiore bianchissimi, tutti i mèli della pianura rossa, calda, meridionale. Poi la collina sale dolcemente, piena di gradinate d'acqua, di risaie vicine e lontane, che fanno da diffusori di luce, nel paesaggio che riassume la Cina classica, quella delle pitture. C'è sempre un pescatore che si specchia negli stagni, con l'ombra accanto. I fieni sono color lilla, come se li colorasse la luna. Sugli orizzonti si muovono contadini vestiti di seta nera. Infine vengono i boschi, le azalee ocra nell'ombra, valloni gialli di colza, e tutto sfuma nel grigio dei monti, misteriosi, malinconici; con alberelli cinesi controluce, asciutti, tratteggiati alla china. Quel sentiero Ecco la curva famosa della provinciale che viene da Changsha tra filari d'alberi. Un sentiero di polvere, ancora più famoso, sale da qui verso una piccola valle, tra due colline, fin dove comincia il bosco. La casa è gialla, si specchia nel piccolo lago di una risaia, ci sono molte stanze, cortili, stalle, come nelle fattorie dei contadini agiati prima della rivoluzione. Dentro si vedono fornelli di pietra, i letti a baldacchino della famiglia Tsetung, s'indovina la vita che un giorno vi si svolse. Intanto il sole scende dietro il bosco, la casa diventa buia, sepolcrale, nel vuoto che la domina. Mao non ci viene da anni. Altrove è il museo ufficiale. Assume ormai valore di bilancio venire quassù, sulle colline di Shaoshan. Vecchio, stanco, secondo molti malato, il personaggio di Mao è diventato infatti fisicamente remoto. Non vogliono mai dire dove abita, la formula di rito è che «vive dove il clima si presta». Viene data così alla sua figura una ubiquità misteriosa, preparatoria della sua « ascensione», che del resto è già in atto. Naturalmente non uso questa parola con ironia, o per il gusto di paragoni irrispettosi. Sono le vicende cinesi che l'impongono. Mao visse una specie di «resurrezione» dopo il '65, messo in minoranza dal partito. Milioni di statue di gesso celebrano la sua seconda vita nella «seconda rivoluzione». Ora stanno sparendo le statue, s'eclissa la sua figura, quasi sia in corso la sua salita al cielo del marxismo asiatico. Mao non s'è presentato in pubblico nemme- no al varo della nuova Costituzione. In essa, il suo nome non è più citato. Si parla solo dei « mao-tse-tungpensiero», rendendo l'uomo sublimato e dissolto, in una Cina pentecostale: cioè pronta a ricevere solo le fiammelle del suo spirito via via che la sua persona si allontana. Ma in che cosa consiste questo spirito? La bussola che deve guidare la Cina nel difficile trapasso al dopoMao è stata fissata sopra un asse ideologico definitivo. Ma ciò non esclude che l'asse sia rimasto vago, data la espressione usata. La Costituzione dice che la Cina deve essere guidata da una stella polare a tre punte «marxismo, leninismo, maotse-tung-pensiero ». Tuttavia non fissa, né può fissare, in quale dosaggio le tre filosofie debbano coesistere, salvo certi accenti maoisti, più che leninisti, messi sulla dittatura del proletariato. Fatalmente ci s'interroga quindi (ed oggi più che mai) sul vero significato della miscela. Davanti alla casa di Shaoshan viene spontaneo di tentare una risposta. Soprattutto vedendo il viottolo che scende, e dal quale Mao, contadino, si avviò verso le città cinesi degli Anni Venti a predicare un comunismo che si giudica con difficoltà. Molti bilanci, rozzi e faziosi, sono stati tracciati. Da un lato, esistono i giudizi arroganti sul suo marxismo che si vuole solo irrazionale, preindustriale, asiatico, fanatico, confusamente monasticomilitare. Dall'altro, posizioni sbilanciate alimentano una analisi manichea che contrappone la tesi dell'«arricchimento» a quella «della disgregazione». In base ad esse, il maoismo costituirebbe l'ultima tappa di una disgregazione dell'originale teoria marxista avvenuta lungo il suo spostamento ad oriente; oppure significherebbe una conquista che ha portato il marxismo ad un livello nuovo, più alto, di teoria rivoluzionaria universalmente valida. Non è facile muoversi alla ricerca di un filo conduttore. Esistono poi difficoltà obbiettive per un abbozzo corretto del « maotse-tung-pensiero». Le Opere scelte, pubblicate dal '51 in poi, si fermano al '49, e sono appunto scelte, per di più emendate, accendendo tra gli studiosi vaste controversie stille interpolazioni e le omissioni. Sul periodo successivo al 1949 esiste solo la famosa Antologia, cui si aggiungono vari testi sui quali è in corso tata polemica intellettuale non meno vasta, data l'attribuzione problematica. Proprio la rivoluzione culturale ha messo in luce come Mao negli Anni 60, non riuscisse nemmeno più a pubblicare i suoi scritti nei giornali del suo partito; come fosse costretto a superare questo « blocco » organizzato contro la diffusione del « mao-tse-tung-pensiero » coi giornali murali e i tatsebao. Le conseguenze di ciò sono note. Per un verso, gli specialisti vagano in un mare di polemiche per stabilire quali testi siano apocrifi, quali autentici. Per altro verso, il diluvio degli scritti attribuiti a Mao s'è fatto inarrestabile dopo il 73, coi Mao's papers, coi palinsesti delle « Guardie rosse » della biblioteca asiatica, e un nugolo di «conversazioni con Mao » difficili da giudicare. Un primo punto, direi, si può quindi stabilire. Ed è che nello stesso momento in cui il « mao-tse-tung-pensiero » diventa chiave di volta di una costituzione destinata a garantire il « dopoMao », questo pensiero registra una crisi di pubblicità estremamente profonda. Molti scritti di Mao, bloccati dal partito cinese fino al 65, non sono noti; oppure appaiono discutibili. Molti altri scritti sono sospetti di falsificazione da parte dell'« ultrasinistra » o delle varie correnti che nella rivoluzione culturale si battevano a colpi di « istruzioni di Mao » che forse Mao non ha mai impartito, o che adesso smentisce di avere impartito. Molti infine consistono in documenti di partito ancora sotto esame per accertare in che misura Mao parli direttamente, oppure no, attraverso di essi. Senza riassumere tutta la polemica in corso tra gli studiosi /Jerome Ch'en, Mac Farlane, Schram, Edoarda Masi, Enrica Collotti Pischel) va messa agli atti quindi anche una crisi della critica maoista di fronte a un « pensiero » che sfugge alla sistemazione, materialmente poco afferrabile, e ciò proprio nella fase più importante del suo sviluppo finale. Fu censurato Seconda osservazione, allora, è che il « mao-tse-tungpensiero» appare in una luce drammatica che smentisce le presentazioni superficiali che lo riducono a pensiero politico catechistico, fatto di giaculatorie certe, religiose, « sacerdotali» oppure fanatico e grossolano. Esso non solo non ha mai percorso una traiettoria facile, essendo una ideologia «in sviluppo ». mai un sistema statico di valori e d'idee, ma la sua traiettoria è diventata ancora più difficile dopo il 1960 quando il pensiero e azione, cioè Mao e partito comunista, sono entrati in conflitto scontrandosi frontalmente. Il partito ha negato addirittura spazio nei giornali al pensiero di Mao, cioè del suo profeta. Mao è stato quindi un « profeta censurato », costretto a compromessi, negli stessi documenti di partito resi ufficiali, come nel famoso « Comunicato in sedici punti » del '66. Un pensiero che viene soffocato così, dagli stessi apparati che guida, per poi esplodere nella « seconda rivoluzione», e placarsi in una costituzione per molti versi oscura, non ha molti precedenti. Detto questo, è però possibile stabilire in che quadro debba collocarsi oggi il problema del « pensiero » di Mao, tenendo conto non solo dei testi, ma della possente trasformazione storica con cui il maoismo s'identifica. Personalmente mi pare infatti perfetta l'impostazione data al problema da Maurice Meisner, che ha suggerito la via da battere per uscire dalla crisi. Per Meisner, il maoismo si rivela pienamen¬ te soltanto nella sua reale pratica sociale e politica; il corpo testuale della teoria maoista è certo altamente ideologico, ma non bisogna dimenticare che Mao e i maoisti sono più importanti per ciò che hanno fatto e fanno, che per ciò che hanno detto e scritto. Per Meisner Mao deve essere considerato un <; interprete » di Marx. Nessun dubbio c'è su questo punto. Al tempo stesso, è il portatore di una teoria che ha « sorprendenti » capacità di cambiare quando si trovi di fronte a nuove circostanze storiche e a problemi imprevisti. Bisogna quindi riconoscere che si sono compiute alcune deviazioni del maoismo rispetto al marxleninismo, rese necessarie dalle circostanze storiche che Marx e Lenin non avevano previsto o non avevano potuto anticipare. Poi, bisogna stabilire in che misura queste deviazioni si sono corrette nel tempo, per poter fare il punto sull'apparato ideologico reale che resta in eredità alla Cina oggi, e dire che cosa significa ciò per il suo futuro. Naturalmente si tratta di una operazione complicata. Per di più spiacevole per chi preferisce giudicare il maoismo sulla base di un astratto modello marx-leninista considerato «universale e superiore ». Ma solo con questa operazione si può chiudere l'inutile processo al maoismo e alla sua « compatibilità » col dogma marxista. E si può aprire, semmai, la questione storica più importante. Quella che porta a chiedere se le teorie di Marx e Lenin siano compatibili ormai con le realtà rivoluzionarie d'oggi. Per Meisner (riepilogando in fretta) Mao è stato un marxista che. avanti il 1949, ha deviato rispetto ai « dogmi » su cinque punti fondamentali. Primo: con la fiducia volontarista verso la coscienza umana, considerata come creatrice di storia, contro Marx che pensa la storia (e quindi la rivoluzione) come prodotto « oggettivo ». Secondo: col rifiuto dell'asserzione per cui il socialismo presuppone sempre il capitalismo e l'esistenza di un proletariato industriale, e con la pratica di una rivoluzione basata invece sulle masse contadine e una diversa dinamica delle classi che vi sono coinvolte. Terzo: con la fiducia nazionalpopulista nella capacità rivoluzionaria dei contadini, che inverte la visione marxista sul rapporto città-campagna nelle rivoluzioni moderne. Quarto: con lo sviluppo della tendenza nazionalista che tradusse in mobilitazione armata dieci milioni di contadini, associando il processo rivoluzionario alla liberazione nazionale. Quinto: con la decisione di fare fino al '49 una rivoluzione « democratico-borghese » completamente diversa da quella codificata da Marx e Lenin, cioè senza « borghesia attiva » e senza « proletariato attivo ». Dal 1949 in poi queste deviazioni e revisioni maoiste sono sfociate quindi sopra una piattaforma politica del tutto nuova per il socialismo. La rivoluzione « democratico-borghese » è stata realizzata in Cina senza gli «oggettivi rapporti-di classe» previsti da Marx-Lenin. E' stato quindi chiesto a un partito marxista, che si basa sul sostegno dei contadini, di guidare il processo rivoluzionario dalla sua fase « borghese » a quella « proletaria » senza che le sue strutture di partito fossero leniniste. Si è pertanto verificato che un partito « anomalo » (secondo Marx e Lenin) dovesse decidere quando le condizioni fossero sufficientemente mature per il passaggio alla fase socialista senza definire il suo ruolo e la sua legittimità. Si colloca allora qui la sesta, e forse principale, deviazione di Mao. La sua concezione del partito comunista come portatore di una « rivoluzione ininterrotta » (e quindi di un'eresia trockista) si delinea intorno al '59. Ma resta ferma, e fondamentale, la sua « ambiguità » nel definire il ruolo del partito comunista cinese in questa rivoluzione. Il punto-chiave della traiettoria compiuta dal «mao-tsetung-pensiero » verte infatti sopra un partito comunista lasciato sempre nel vago, e del quale è oscura la legittimità ideologica nel condurre la trasformazione socialista della Cina. Per Mao il partito non è ciò che fu per Lenin: cioè l'avanguardia del proletariato, cui si affida la missione storica che al proletariato appartiene. Per lungo tempo resta solo l'ambiguo « nocciolo del popolo cinese », un apparato formatosi in un ambiente rurale, che deriva il suo sostegno dai conladini. Poi diventa l'ancora più ambiguo «specchio» delle contraddizioni della società e delle sue lotte di classe. Infine, con la rivoluzione culturale, è definito « forza e bersaglio della rivoluzione ». Il suo compito è quindi di svolgere un ruolo doppiamente contraddittorio. Rappresenta sulla carta l'avanguardia di una classe operaia la cui funzione è stata negata nella rivoluzione e. nei fatti, le sue basi restano sempre contadine. Rappresenta il « motore » politico del socialismo cinese, ma la sua legittimità è messa in discussione prima ancora che « muova » le masse in qualche direzione. Addirittura è un « motore » che le masse sono invitate a colpire come un « bersaglio » in date circostanze. Le domande Spingendo a fondo l'analisi di questo punto-chiave, ormai gli studiosi concordano che qui sta la sostanza della questione cinese. La conclusione è che Mao e i maoisti si sono affidati la missione storica che Marx e Lenin avevano attribuito al proletariato e al partito, al! fidandosi anche l'incarico dì individuare ì traguardi socialisti da raggiungere. Non il partito, leninisticamente inteso, ma una « intelligencija» socialista ha svolto in Cina il ruolo di determinare la natura sociale della rivoluzione a base contadina e, poi, la direzione della storia rivoluzionaria. Perciò il pensiero maoista sviluppa con coerenza questa sua visione del partito. Negli Anni Venti lo contesta profondamente, mutandolo in avanguardia contadina. Negli Anni Sessanta lo « bersaglia », lo scioglie, per fare la « seconda rivoluzione ». Ma negli Anni Settanta si è però verificato un « salto » improvviso che la Costituzione rispecchia. Al partito si è attribuito per la prima volta il ruolo di supremo dirigente dello Stato, aggiungendo la parola « dirigente » alla vecchia definizione di « nocciolo del popolo cinese ». Nell'articolo 2 si parla di « direzione dello Stato della classe operaia tramite il proprio intermediario d'avanguardia, il partito comunista ». E' questa una inattesa variazione leninista che sposta il giudizio sul pensiero maoista? E' un passaggio di mano dei maoisti al tramonto in vista del dopoMao? Dopo tante revisioni, è un ritorno al « dogma » principale di Lenin? Prima di passare ad altro, davanti alla casa di Shaoshan bisogna rispondere anche a queste domande. Alberto Cavallari Il giovane Mao in una foto, ormai storica, nel periodo della guerra contro il Giappone