L'eco del "boia chi molla,,

L'eco del "boia chi molla,, L'eco del "boia chi molla,, A Reggio Calabria, le forze politiche impegnate in una dura operazione recupero, per ristabilire gli equilibri sconvolti dalla "guerra dei poveri" - Il clima è mutato, la realtà rimane preoccupante - Escluso il sindaco uscente, il posto va ad un "uomo nuovo" là7Fra~uncomìzìVa~Cosenza (Dal nostro inviato speciale) Reggio Calabria, 12 giugno. Battaglia senza esclusioni di colpi sulla dirittura d'arrivo di questa campagna elettorale a Reggio. Il tempo della rivolta è lontano, il clima della città è mutato, anche se il «boia chi molla» viene ancora urlato ogni sera ai comizi del msi in piazza Duomo. I partiti democratici sottolineano, con soddisfazione, la ritrovata «agibilità del confronto», rispetto a quando non era loro permesso di tenere discorsi in pubblico, di parlare alla gente, perché la provocazione degli ultras era sempre in agguato e v'erano da aspettarsi ogni momento l'insulto, la minaccia, l'attentato. Scontro acceso Lo scontro acceso, alta vigilia del 15 giugno, denota l'ansia generale per i risultati del voto. La posta in palio è gros- fper rispondere a Mancini) e un altro a Catania, lo stesso Fanfani ha voluto controllare di persona la situazione di Reggio, fermandosi qualche ora fila i «quadri» del partito, impegnato a ranghi serrati nell'operazione recupero, dopo la débàcle del '72. Nelle comunali dì cinque anni fa la de ottenne quasi 39 mila voti 143,2 per cento! e 23 seggi su 50. Alle politiche, dopo i lunghi mesi della sommossa per il capoluogo, lo scudo crociato scese a 24 mila suffragi (25,6). mentre sullo slancio dei moti eversivi il msi divenne il primo partito, passando da 6600 voti (7.3) a oltre 34 mila (36.2). La lacerante «guerra dei poveri», con il suo carico di rancori e di spinte populistiche, tenaci quanto irrazionali, produsse uno sconvolgimento ne- „ eauiliorì polìtici reggìnl Co„ ess0 ancom oggi si dev0. n0 fare ; contj j sociansti !S seggi in Comune) persero 10 mila voti, passando in due anni dal 15,6 al 5,8 per cento; il psdì (6 seggi) usci dimezzato dalle terne, calando dall'11,1 al 4,7 per cento. Tennero le posizioni i repubblicani (un rappresentante in municipio). Aumentarono i consensi per il pei, che sali dal 14,5 per cento (7 seggi) nelle comunali al 17,9. Il psiup (un seggio) si ridusse alla metà. I liberali (un seggio) raddoppiarono. Ora ci si domanda: che consistenza continuano ad avere le forze di destra, attorno alle quali si raccolse nel '72 lo scontento popolare? La realtà di Reggio rimane ambigua, preoccupante. I missini (accreditati di 8-10 seggi in Comune) sembrano aver perduto seguito e baldanza, ma conservano salde radici in una città oppressa dall'arretratezza, dalla disoccupazione e dalla sottocultura. Il reddito medio annuo è di 465 mila lire, 54,3 per cento rispetto a j quello nazionale: solo il 26 I per cento della popolazione è \ attivo su 170 mila abitanti: I sono 25 mila i pensionati con \ il minimo: 12 mila ì dipendenti pubblici. Il settore terziario è tuttora miraggio e rifugio per tanti. La de, guidata dal barone Antonio Nesci, proprietario terriero, sta tentando di far mutare indirizzo alla protesta reggina. Puntando alla rivincita sul '72 ha liquidato persino il sindaco uscente, il fanfaniano Fortunato Licandro, che dal '71 guida la città. Allora il partito giudicò troppo compromesso con i «boia chi molla » il suo predecessore Piero Battaglia facendogli mancare la fiducia. A Licandro però molti rimproverano di essere andato troppo controcorrente, sfidando la piazza e acconsentendo ai dialogo con le sinistre. Per questo ha subito offese di ogjii genere, l'auto della moglie è \ saltata in aria con il tritolo, Licandro mi dice, nel suo | ufficio a palazzo San Giorgio: «La de ha ritenuto di candidarmi alla Provincia. Ho obbedito, come sempre, ma senza entusiasmo». Aggiunge: «Da questo mio posto ho fatto il possibile per sanare le ferite di una situazione economica e sociale lacerata. Il malcontento era ancora vivissimo, c'è voluta molta pazienza, comprensione». Per protesta contro l'esclusione, prima si è dimesso, poi la giunta l'ha convinto a rimanere. Confessa amareggiato: «Non si ha neppure il privilegio di un gesto di dignità». Torna Battaglia La ripresentazione dell'ex sindaco della rivolta, geom. Battaglia, è considerata sinto- matica delle intenzioni de. E' attivissimo, sta «battendo» tutte le frazioni, ad una ad una: Sbarre, Santa Caterina, i luoghi storici delle barricate, «sono l'unico della lista che parla» ripete con orgoglio, Ammette: «Le forze politiche non hanno molta credibilità, ma Reggio sta vivendo un momento di grande riflessione, l'elettore fa funzionare di più il cervello, bisogna dargli un discorso chiaro sul futuro della città». Non rinnega nulla del passato, insiste sul «ruolo di Reggio nella Calabria», rivendica ima funzione direzionale della città nei confronti di tutta ta Regione. I punti centrali del programma sono gli stessi del periodo caldo: capoluogo, l'università, industrie e infrastrutture, l'area dello Stretto, guardaìido all'«altra sponda» siciliana. Tutto questo — ribadisce — «non è solo un discorso di pennacchio». Battaglia lamenta però che nello scontro elettorale manchi un «dibattito sui programmi e sulle idee». Tutto si riduce alla «ricerca affannosa delle preferenze, a livello fa miliare». Prevede che la de li- miterà le perdite a 3-4 seggi, che il msi verrà ridimensionato rispetto al '72 ('«Quei voti non erano fascisti»;, che aumenteranno le sinistre. Per dopo, «sarà centro-sinistra sicuro». Ma non con lui sindaco: capolista della de è un avvocato di 34 anni. Franco Quattrone, basista ora molto vicino ai fanfaniani, da anni presidente degli Ospedali Riuniti. A giudizio unanime egli andrà a occupare la poltrona di primo cittadino, che negli Anni 60 fu già di suo padre. Si presenta con lo slogan: «Una città che cambia ha bisogno di uomini nuovi». Mi dice: «Reggio si deve mettere al passo con i tempi. Punteremo soprattutto sullo sviluppo civile e sociale. La protesta è ri ì masta nel cuore della gente». Da un anno la giunta di Reggio è formata dal binomio dc-psi, dopo che agli assessori socialdemocratici sono state tolte le deleghe. Il capogruppo socialista Nocera, lombardiano, afferma: «L'accordo con i democristiani si è inserito nell'azione per ricostituire il quadro democratico cittadino. Sbaglia chi ci critica dicendo che l'operazione ha giovato alla de. Essa ha costituito invece un vero choc psicologico per la città, proprio per l'esclusione del psdi». I socialisti chiedono agli elettori fiducia, puntano sui 10 mila voti (il doppio rispetto al '72) per ottenere 7 seggi. I comunisti. Il capolista Vincenzo Fantò. trentenne, segretario della federazione, non risparmia accuse alla de che, a suo giudizio, insiste «su una piattaforma municipalistica e riduttiva (Università, corte d'appello)». Denuncia la «vasta campagna clientelare in atto con centinaia di assunzioni elettorali». Aggiunge: «De e destre hanno tentato di tenere Reggio isolata dalla regione e dal Paese, noi vogliamo rompere l'isolamento; agli elettori di destra diciamo che la città ha ancora bisogno di protestare, ma nel modo giusto. Con questa de immutata non ci sono prospettive. Neppure il rapporto preferenziale dc-psi ha prodotto cambiamenti nei contenuti e nel modo di governare. La nostra proposta, appoggiata da un appello di intellettuali reggini, è per una città produttiva, contro la logica di lottizzazione del potere». Cambierà qualcosa a Reggio? Se lo augurano soprattutto i 20 mila disoccupati, I migliaia di giovani con diplo' Tiza e laurea inutilizzati, che consumano ogyii giorno il corso Garibaldi: i baraccati della periferia. Tutti ascoltano con scetticismo le nuove promesse affioranti dalle maratone oratorie, pompose e retoriche. Come si comporteranno davanti alla scheda? E' l'incognita principale che preoccupa tutti gli schieramenti, compresa la lista civica capeggiata dall'armatore Amedeo Matacena. un altro dei leaders della rivolta, e i fascisti che si mordono la coda con il fiato ormai corto. Reggio non è più come la voglio no loro. Il marchese Nunzian te. al fianco di Ciccio Franco non trova di meglio che arrin jare dalla tribuna la piazza, prendendosela con le «parolacce» dell'ultimo romanzo (finalista al Premio Sila, sequestrato su denuncia dello stesso caporione missino) dell'operaio Vincenzo Guerrazzi, calabrese ingrato, sovversivo e per giunta socialista manciniano. Antonio De Vito