Nella sfida con Galdos sullo Stelvio di Maurizio Caravella

Nella sfida con Galdos sullo Stelvio Nella sfida con Galdos sullo Stelvio Bertoglio, un campione cresciuto in 10 minuti Ciò die più colpisco, in Fausto Bertoglio, è lo sguardo: ti fissa con quei suoi occhi grandi e verdi, senza paura e senza diffidenza, e ti accorgi appena che ha il naso troppo lungo, gli zigomi sporgenti e le guance scavate. E pensi: chissà che cosa si prova a diventare un campione in meno di dieci minuti; a diventare famoso di colpo; a ricevere mille lettere tutte insieme da gente sconosciuta che vuol solo dirti bravo. E tutto per quei dieci minuti, magnifici e tremendi: perché se sullo Stelvio, negli ultimi (lue o tre chilometri, Francisco Galdos — un ex seminarista spagnolo che era diventato il favorito del Giro d'Italia — fosse riuscito a staccarlo, Bertoglio si sarebbe svegliato bruscamente nel bel mezzo di un sogno, sarebbe tornato uno qualunque. E gli avrebbero detto le solite cose clic si dicono agli sconfitti nello sport come nella vita: sei In gamba, ragazzo, ma non sai vincere. Chissà die cosa si prova: « Prima c'è la paura — spiega Bertoglio —, perché stai per afferrare il trionfo, per la prima volta, e sai che ti può sfuggire all'ultimo istante. Poi arriva la certezza, e quasi non te ne rendi conto, perché dovresti essere felice e invece sei frastornato, inebetito ». Vengono subito in mente i problemi, piccoli e grandi, da risolvere in fretta, perché hai tutti gli occhi puntati su di te, non puoi sbagliare. Se Merckx vince un Giro d'Italia lascia i premi ai suoi compagni di squadra: un bel gesto, ma lui guadagna più di duecento milioni l'anno, non gli costa mica tanta latica. Bertoglio, invece, in banca non ha quasi nulla, i soldi gli servono. Gli davano 350 mila lire al mese e non lo ingaggiavano neppure per lare i circuiti, che sono un po' il companatico dei corridori, perché II suo era un nome come tanti, non faceva richiamo. Ci fosse o non ci fosse, era proprio la stessa cosa, inutile buttar via soldi per un corridorino così, né carne né pesce. Dovrei lare il bel gesto lo stesso, pensa Bertoglio. Ma pensa anche a sua moglie e a suo liglio e che il mestiere del ciclista per lui, che ha ventisei anni, durerà ancora cinque o sei stagioni, sette al massimo. E poi? Il gregario Proprio pensando al futuro Bertoglio cerca di mettere fieno in cascina, visto che il suo momento magico è arrivato, ma come è arrivato può andarsene in fretta, perché al Giro di Francia lui deve tornare a fare il gregario a Battaglili, cosi vuole il suo principale, e Bertoglio ha detto: « Signorsì, non mi sono mica montato la testa. Datemi solo qualche soldo in più, che ne ho bisogno ». E proprio per mettere fieno In cascina, Bertoglio nella notte tra sabato e domenica ha dormito cinque ore scarse (ed era la notte dopo lo Stelvio), ha latto più di quattrocento chilometri in macchina fermandosi solo per mangiare un panino, poi con gli occhi lucidi di sonno e le gambe — quelle sue gambette che sembrano grissini un po' gonliati — dure come piombo, ha corso a Valdengo, un paesino vicino a Biella. Gli davano mezzo milione, dato che indossava la màglia rosa in meno di tre ore avrebbe guadagnato più di quanto riuscisse a racimolare di solito in un mese. Mica poteva dire di no, abituato com'era a guardare la lira. E' di San Vigilio di Concesio, un piccolo centro vicino a Brescia: dice di essere molto religioso (•< prego prima di ogni corsa, e mi sento più tranquillo ») e la notare, quasi con orgoglio, che il Papa Paolo sesto è nato proprio a Concesio, a due passi da dove abita luì. E poi, ama la musica: nenie tristi e dolcissime, oppure canzoni da montanari. «Si, suono un po' la chitarra, ma solo con gli amici, con i paesani: loro mi capiscono, sanno che son sempre Fausto Bertoglio, uno che non si fa dare del "lei" perché ha vinto un Giro d'Italia. Son quello di prima, sa ». £ ti fissa negli occhi, come per sottolineare la frase con un punto esclamativo. Quello di prima; ma chi era, "prima", Bertoglio? L'ultimo di otto fratelli, avevano deciso di chiamarlo Fausto perché in casa erano tutti tifosi di Coppi. A dodici anni monta per la prima volta, per caso, su una bici da corsa troppo grande per lui: un vigile lo lerma a un incrocio. Fausto non riesce a sganciare i pedali, finisce a terra. Due anni dopo conosce una ragazzina che si chiama Giusi, è proprio carina, ogni tanto s'incontrano e vanno in giro in bicicletta, anche lei vuol lare le corse, vuol diventare una campionessa. Diventano adulti insieme, Fausto Intanto prende il diploma di disegnatore meccanico, però lo lascia in un cassetto e comincia a correre davvero, diventa professionista, arriva qualche soldo. E con I primi soldi Fausto sposa Giusi. Il fidanzamento dura da sempre, quasi dieci anni, mica si può aspettare ancora. Prima, c'era stato anche il servizio militare. Fausto avrebbe voluto andare nel Battaglione atleti, per potersi allenare, ma vallo a spiegare che sei un atleta: poco più di un metro e settanta di altezza, 65 chili vestito, niente da lare. Cosi, per allenarsi, aveva dovuto scappare di nascosto, magari di notte, pregando la sentinella di stare zitta, con l'aiuto di un biglietto da mille. Aveva rischiato la prigione, ma chi non rischia non arriva lontano, e Fausto non è uno che si rassegni, in paese dicono che ha la testa dura. Due anni di professionismo, a portar borracce agli altri: qualche vittoria, sì, ma robetta, che non ti la uscire dall'anonimato: ti senti uno come tanti, forse ti verrebbe voglia di togliere quel diploma dal cassetto e di provare a usarlo. « Pensavo quasi di andare a lavorare », dice Bertoglio, come se sollrire in bicicletta su salite che sembrano muri non sia un lavoro, anche se tanto diverso. Nella squadra in cui si trova, Bertoglio si sente chiuso, soffocato: e allora cambia, per respirare un po' più di libertà, per cercare qualcosa di nuovo. Dov'è ora c'è Battaglili, deve dire ancora "signorsì". E' l'inizio del '75, Bertoglio pensa al Giro d'Italia: non sarà libero di lare la sua corsa neppure stavolta, ma chissà che non gli riesca di vincere una tappa. Cambiare ambiente a volte serve, pensa Fausto. O almeno lo spera. Trascorre l'inverno come un eremita: cinque o sei ore al giorno a camminare In montagna, per rinforzare i muscoli delle gambe; e magari si porta il fucile, andare a caccia gli piace, e il tempo passa prima. Poi, la sera, un chilometro in piscina, avanti e indietro, da solo. A casa, Giusi e il piccolo Andrea lo aspettano: la cena diventa fredda, ma Fausto dice che non fa niente, vuol provare a vincere qualcosa di importante, deve passare l'inverno così. Vuol seminare mentre gli altri riposano, vuol lare a modo suo. Ha la testa dura. Fausto. La maglia rosa Comincia il Giro d'Italia, Fausto è ancora uno come tanti, deve fare il gregario. Poi diventa capitano, all'improvviso, perché Battaglin crolla. Telefona a Giusi tutte le sere, le spiega che ha paura, che non credeva che losse cosi pesante da portare, quella maglia rosa. Poi, lo Stelvio, in mezzo a muraglie di neve, con quel Galdos che continua a scattare, come se lo spingesse avanti una molla: e Fausto, Incollato alla sua ruota, pensa che non deve cedere, perché se si lascia scappare lo spagnolo tinisce tutto, le camminate nei boschi, la piscina, la cena fredda, tutto inutile. Al suo paese le radio sono a tutto volume, il parroco fuma una sigaretta dopo l'altra, Giusi trema, Andrea è troppo piccolo per capire, un giorno gli racconteranno tutto. Gli racconteranno che suo padre è diventato un campione così, soffrendo su una montagna, in dieci minuti terribili e meravigliosi. Maurizio Caravella Fausto Bertoglio visto da Franco Bruna